Messi, rosarino nel fondale del cuore


Nessun uomo entra mai due volte nello stesso fiume, perché il fiume non è mai lo stesso, ed egli non è lo stesso uomo.

Figurarsi vent'anni dopo che il Paraná lo hai lasciato da bambino, tredicenne solo all'anagrafe, e il tuo Eraclito era - semmai - "el Payacito" Aimar. Che però poetava al River, il club che non volle (o poté) pagarti i 900 dollari mensili di iniezioni per farti crescere.

Rosarino lo sarà per sempre, Leo. Ma forse neanche lui tornerà dove è stato felice. Là, dove tutto è incominciato.

All'ospedale Garibaldi, al potrero del Grandoli, alla escuela 66 General Las Heras al 4800 di calle Buenos Aires. Alcuni dei luoghi -- fisici ma anche della memoria -- toccati dal Latam Messi Tour.

Ancora oggi in città la "presenza" di Messi è immanente. Sui murales de La Bajada, il quartiere dove è cresciuto. Al centro sportivo Malvinas, la "escuela de vida " prima e più ancora che di futbol del "Nuls", la squadra di famiglia.

E nele cui giovanili han giocato prima di lui papà Jorge e i fratelli maggiori Rodrigo e Matias. Generazioni e generazioni di rosarini con un sogno nel cuore.

È su quel campetto del Grandoli, eroe di guerra del 1865, che al Messi di cinque anni, gridavano incantati "Demuestre, Leo, duemuestre...". (Fagli vedere, Leo, fagli vedere...)

Prima fra tutti nonna Celia. Fu lei a convincere l'allenatore, Salvador Ricardo Aparicio, a farlo giocare la prima volta nel sette contro sette a cui ne mancava uno. Leo l'ha persa a undici anni, e ancora oggi, a ogni gol, per ritrovarla alza sguardo e indici al cielo. 

Neanche lui entrerà due volte nello stesso fiume in cui è stato felice, ma solo perché il fondale del cuore gli è rimasto là.

PER SKY SPORT 24, CHRISTIAN GIORDANO
14 aprile 2020

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