I 40 anni di Darko Milicic, l'anti LeBron James


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la storia
20 giu 2025 - 09:00
Simone Dagani - Sky Sport Insider

Doveva esserlo almeno sulla carta, invece è diventato uno dei più grandi 'bust' della storia della NBA. Uscito dalla lega dopo sole nove stagioni, è diventato prima un lottatore e poi un commerciante di frutta (con grande successo), tagliando del tutto i ponti con quel mondo del basket che gli aveva dato fama, denaro ma anche tanta infelicità. Nel giorno del suo compleanno, il racconto della sua storia

Manhattan, New York, 26 giugno 2003. Al Madison Square Garden, uno degli impianti più famosi del mondo, ‘La Mecca’ del basket, è serata di draft NBA. Tra i migliori prospetti del mondo, in una classe considerata dagli esperti tra le più talentuose di sempre, uno si staglia su tutti gli altri: LeBron James, già prima scelta annunciata dei Cleveland Cavaliers. Dietro di lui, il caos. Chi scegliere tra Carmelo Anthony, ala di Syracuse e neocampione collegiale, Chris Bosh, lungo versatile in uscita da Georgia Tech, e Dwyane Wade, guardia di Marquette da più di 20 punti di media? La decisione spetta al front office dei Detroit Pistons, squadra in quella stagione da 50 vittorie, appena eliminata in finale di Conference dai New Jersey Nets (poi Brooklyn Nets). Per uno strano incrocio di scambi risalenti addirittura al 1997, i Pistons si trovano ad avere la seconda chiamata assoluta nel draft 2003, convinti di poter selezionare quel tassello necessario per arrivare fino all’anello NBA. A sorpresa quel tassello fu Darko Milicic, centrone serbo appena diciottenne proveniente dal Hemofarm Vrsac, risalito fino alla numero 2 negli ultimi giorni prima del draft grazie ad alcuni allenamenti sotto lo sguardo dei dirigenti di Detroit. Questa è la storia, nel giorno del suo 40° compleanno, di chi sarebbe dovuto essere la ‘risposta’ europea a LeBron James.

Il nome di Darko Milicic ai più non dice nulla, e non c’è niente di strano. Perché quella notte del 26 giugno 2003 (spoiler) è stata per distacco il punto più alto della sua carriera in NBA. Dopo Dirk Nowitzki (draft 1998) nella lega si diffuse l’idea che ogni ‘sette piedi’ europeo potesse essere lo stesso prototipo di giocatore del tedesco, capace di abbinare stazza – ‘sette piedi’ è il modo in cui vengono chiamati i centri in NBA, per un’abitudine secondo cui un lungo deve essere alto almeno 210 centimetri – e mano educata per tirare anche lontano da canestro. I Pistons, che dall’esperienza appena conclusa ai playoff si erano resi conto di aver bisogno di un ‘big man’, decisero che Milicic sarebbe diventato per loro quello che Nowitzki era per i Mavericks, e che sarebbe diventato l’uomo su cui costruire i futuri successi della franchigia. Questo nonostante la pochezza di informazioni che lo avevano accompagnato dalla Serbia agli Stati Uniti: “Il materiale che avevamo su Milicic non arrivava neanche al 20% di quello che avevamo raccolto per tutti i giocatori venuti dopo di lui. Dal 2003 in poi, la cura nello studio di ogni nostra scelta è diventata maniacale”. Parole di Joe Dumars, ex leggenda dei Pistons e general manager della franchigia in quegli anni.

Le quotazioni di Milicic in quel draft si erano impennate per una strana coincidenza. I suoi due anni da professionista al Hemofarm Vrsac non erano stati esaltanti, ma caratterizzati da molti alti e bassi. L’interesse nei suoi confronti, in un periodo in cui non c’erano social media e sistemi di scouting efficienti come quelli di oggi, era scaturito più per i lampi che aveva mostrato, con una rapidità di piedi e abilità tecniche tali da aver lasciato ipotizzare – dopo parecchio lavoro – un futuro da grande giocatore. Ma mai nessuno avrebbe ipotizzato di vederlo finire tra le primissime chiamate. Le cose cambiano il 22 maggio 2003 quando i Pistons, impegnati in gara 3 contro i Nets, si recano presso la palestra del John Jay College di Manhattan per la sessione mattutina di allenamento. Per una coincidenza, quello era lo stesso giorno della Draft Lottery e Darko Milicic, in quel momento nemmeno ancora maggiorenne e sbarcato pochi giorni prima negli USA, si trovava nella stessa palestra per dei workout in vista del Draft.

Sempre per quella coincidenza, Milicic, che quel giorno si trovava sul parquet da solo, si esibì davanti a Dumars, a coach Rick Carlisle (lo stesso impegnato in queste settimane nelle Finals sulla panchina degli Indiana Pacers) e agli scout dei Pistons in un allenamento impeccabile, sia nel tiro sia nei movimenti. Così perfetto che Chad Ford, analista di ESPN con quasi 30 anni di esperienza, dirà poi di aver assistito a uno dei migliori workout mai visti nella sua carriera. Nel giro di un pomeriggio la seconda scelta assoluta al draft NBA del 2003, che sembrava appartenere quasi in maniera scontata a Carmelo Anthony, aveva appena cambiato padrone: “Darko diventerà il padrone del gioco del futuro, lo rivoluzionerà. Dovremo costruire un’arena più grande per l’entusiasmo che susciterà”, disse Will Robinson, scout dei Detroit Pistons dal 1976 al 2003. Soddisfatto dalla competitività della destinazione, il giocatore e il suo agente decidono di cancellare i provini con tutte le altre franchigie interessate, pronti a sbarcare in NBA.

Come da programma, la sera del 26 giugno 2003, Darko Milicic diventa un nuovo giocatore dei Detroit Pistons, posando con la maglia rossa e blu numero 31 della ‘Motor City’ e un improbabile taglio di capelli biondo ossigenato molto in voga nei primi anni Duemila. Per sua sfortuna coach Rick Carlisle saluterà a breve la franchigia, sollevato dall’incarico dopo la brutta sconfitta (0-4) incassata dai Nets nelle finali di Conference. Al suo posto Larry Brown, allenatore vecchia scuola, poco incline a puntare sui giovani e convinto dell’importanza dell’esperienza dei veterani, soprattutto in una squadra come quei Pistons, molto vicini a competere per il titolo NBA, che infatti arriverà nell’estate del 2004, durante l’anno da rookie di Milicic, primo di quella classe draft a conquistare un anello. Il suo impatto, però, è quasi nullo: solo 34 presenze sul parquet, nessuna in quintetto, per cinque minuti scarsi a sera. Numeri che si assottigliano ulteriormente nei playoff, dove mette insieme solo 14 minuti durante tutta la cavalcata verso il titolo, conquistato con un netto 4-1 contro i Lakers di Shaquille O’Neal e Kobe Bryant.


Uno dei rarissimi momenti di Milicic con la maglia dei Pistons, 
durante gara 3 delle Finals del 2004 - ©Getty

Da quel campionato in avanti le cose non sono mai davvero migliorate per Milicic. A inizio 2006, dopo più di due stagioni e meno di 100 partite giocate, si spostò agli Orlando Magic. Giocò anche per i Minnesota Timberwolves e per i Memphis Grizzlies – dove trovò spazio, tra i 15 e i 25 minuti in campo – con una brevissima parentesi ai New York Knicks, prima di rescindere il suo contratto con i Boston Celtics nel novembre 2012 per presunti problemi di salute mentale e annunciare il ritiro ufficiale nell’estate del 2013, dopo appena nove anni di carriera. Lasciati gli Stati Uniti torna in Serbia, dove per un breve periodo cerca di fare carriera come lottatore professionista di kick-boxing, prima di provare a rientrare nel giro nel basket professionistico serbo, ma senza successo. In questi anni la vera sfida, più che contro degli avversari, è contro sé stesso, per scacciare il demone dell’alcool, che lo tormentava dai tempi della NBA. Dal 2017 Milicic ha cambiato settore, investendo i soldi guadagnati grazie al basket per creare un piccolo impero ortofrutticolo che oggi con discreto successo esporta mele e ciliegie verso l’Asia, l’Africa e l’Est Europa.

“Forse non sarebbe cambiato nulla, forse sono solo scuse. I giocatori giovani devono dimostrare di valere in allenamento e aspettare pazientemente una occasione. Io ho sempre avuto un approccio sbagliato: venendo scelto alla numero 2, ho creduto di essere mandato dal Signore e che quindi potevo permettermi di fare quello che volevo. Vedevo nemici ovunque ma alla fine era io il peggior nemico di me stesso. Di sicuro rifarei le cose in modo molto diverso ora”. Così commentava la sua carriera qualche anno fa, un diciottenne schiacciato dal peso delle aspettative e da un ambiente in cui lui stesso non è mai stato in grado di ambientarsi. Doveva essere la risposta a LeBron James, invece è passato alla storia come una delle peggiori scelte della storia del draft NBA. Non ha mai saputo ripagare sul parquet quello che la gente gli chiedeva ma oggi, nel giorno del suo 40° compleanno, di certo ha saputo trovare qualcosa che in America non ha mai avuto: felicità e serenità.


Un duello sotto canestro tra Milicic e LeBron James 
in un Timberwolves-Heat del 2010 - ©Getty

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