Furlani e l'età dell'oro - C'è un ventenne che vola sul mondo


Mattia Furlani, 20 anni, oro nel lungo con 8,39:
a marzo ha vinto il Mondiale indoor.

Mondiali di atletica - Furlani e l'età dell'oro c'è un ventenne che vola sul mondo
Dopo due argenti e due bronzi l'Italia a Tokyo si gode il trionfo del giovanissimo romano con il mito di Howe

Più veloce di Carl Lewis a salire sul gradino più alto nel salto in lungo 
La gioia di mamma Khaty che lo allena da sempre "Vieni, fatti abbraccia'" 

Non mi sembra ancora vero finché non ho sentito l'inno non ci ho creduto 
È una medaglia che pesa è successo qualcosa di magico 
Con la mia testa rimarrò per sempre in questo stadio il mio cuore ormai è qui 
Fino a due anni fa sognavo soltanto tutto questo adesso è realtà 

EMANUELA AUDISIO
La Repubblica - Giovedì 18 settembre 2025
Pagina 45-46

TOKYO - Non c'è un'età giusta per volare sul mondo.

Lui lo fa a 20 anni, 7 mesi e 10 giorni. E smentendo Paul Nizan dice: «Saranno anni bellissimi». Atterra a 8,39, primato personale, con la sabbia mista a sudore che gli resta appiccata addosso in una delle notti più umide e più afose di Tokyo. Mattia Furlani vince l'oro nel lungo e diventa il campione mondiale più giovane della storia. Carl Lewis aveva 22 anni quando nell'83 conquistò il successo a Helsinki.

Non si vive di solo Sinner, c'è vita anche in altri pianeti dello sport italiano. Penserete: è un ragazzino che studia da Spiderman, uno di quei talenti a cui viene tutto facile, uno che disegna voli senza rete, roba da fumetti, solo che lui poi li fa sulla terra.

Mattia da Rieti il mondo non l'ha scalato da Peter Pan, ma da adulto che deve prendere le misure, confrontarsi, correggersi, risalire. La sua magia è stata non abbattersi, soffrire, crederci. Questa è la lezione che viene dal ragazzino: era settimo al terzo, quarto al quarto, e primo al quinto. Non è partito in vantaggio, se lo è costruito e conquistato, bisticciando un po' con Khaty, la mamma-coach che gli diceva di arretrare un po': «Lo so, lo so quello che devo fare, ma adesso voglio fare di testa mia». Ma la ribellione o forse solo l'irruenza è durata un attimo, ha dato ascolto, anche se il momento non era facile e la fatica si faceva sentire. La sua serie: un nullo, 8,13, un altro nullo, 8,22 (lasciando 1,6 centimetri alla battuta), 8,39, 8,07. Ha dovuto capire, capirsi, modificare un po' la sua rincorsa da 18 passi con preavvio, renderla meno aerea, con passi meno rimbalzanti e meno lunghi. Doveva avanzare e così ha cercato la velocità più che la parabola. Ha combattuto contro il greco Tentoglou, 27 anni, due volte campione olimpico, sua la miglior prestazione dell'anno (8,46), che però ha avuto problemi a un polpaccio, contro Gayle, 29, primo giamaicano a vincere (con 8,69) l'oro nel lungo ai Mondiali (Doha 2019). Con chi aveva più titoli e esperienza.

Fragili i giovani? Pronti a esaltarsi quando le cose vanno bene e a sgonfiarsi subito quando vanno male? Non ditelo a Mattia che ieri ha fatto tremare la terra giapponese (scossa sismica 4.7 con allarme tsunami e interruzione della diretta sulla rete Nhk) e che ha saputo ricucire il suo sogno appena gli avversari glielo strappavano.

Mamma Khaty dalla tribuna lo ha guidato, lui ha acceso i fari e ha evitato i burroni. Mattia non è sbocciato oggi, l'anno scorso ha vinto l'Oscar dell'atletica come "Stella nascente". Per il salto più lungo del mondo, 8,38, nella sua categoria d'età. Il migliore della sua generazione. Bronzo ai Giochi di Parigi, il più giovane tra i 12 concorrenti. E ora primo oro azzurro nel lungo maschile dopo l'argento di Andrew Howe a Osaka 2007.

Mattia in questa stagione ha vinto medaglie in tutte le manifestazioni in cui ha partecipato. Al chiuso e all'aperto non ha fatto differenza. E quando preso dall'emozione si è staccato il pettorale, se lo è subito rimesso perché la sua allenatrice gli ha detto: attento, perché ti possono sanzionare.

Per poi aggiungere da mamma: «Vieni qui, fatti abbraccia'». E poi finalmente Mattia che viene da una famiglia di sportivi è tornato ragazzino e si è commosso e si è messo a ringraziare tutti: la sorella Erika, incinta, il fratello Luca, la sua fidanzata Giulia che vive a Roma: «Ancora non ci credo, quel che è successo è qualcosa di magico, mamma è stata sempre lucida e concentrata, abbiamo aggiustato la tecnica ad ogni salto, è stato un anno fantastico, fino a due anni fa sognavo tutto questo. Abbiamo lavorato tantissimo e programmato meglio, ho avuto l'onore di avere un team fantastico e sono riuscito a ripagarlo nel miglior modo. La mia gara non è stata perfetta, ma l'abbiamo gestita bene. Tra qualche giorno andrò in vacanza ma con la testa rimarrò per sempre in questo stadio, il mio cuore è qui».

Già, lo stadio (rifatto) che nel destino ha quello di aver ospitato la più grande notte del salto in lungo quando ai Mondiali del '91 Mike Powell riuscì finalmente per la prima e ultima volta a battere Carl Lewis. Con il record del mondo: 8,95 che cancellava l'8,90 di Bob Beamon del '68 e che a tutti sembrò l'atterraggio nel futuro. Ora arriva il decollo di Furlani. L'incredibile leggerezza dell'essere.

***


l'intervista
"Sembra fantascienza impresa costruita con la mia famiglia "

EMANUELA AUDISIO

TOKYO - Il suo simpatico cespuglio di capelli spunta sotto il tunnel dello stadio.
Mattia Furlani è il più giovane oro mondiale dell'atletica azzurra, un anno in meno di Michele Didoni che vinse nel '95 sui 20km di marcia. Dice che si convincerà che è tutto vero e fantastico solo quando sentirà l'inno. Chiede un po' d'acqua.

- C'è qualcuno a cui ispira?

«Io mi ispiro a tanti. Il più importante è Marcell Jacobs, ho un sacco di rispetto per lui e per il suo percorso, credo sia un campione vero. Spero con il mio successo di poter onorare quelli di Marcell e di Tamberi, di stare sulla loro scia. Ma il segreto di questa impresa è perché ci ho creduto, sono rimasto sempre concentrato. Non è stato semplice. La finale si è disputata su un'altra pedana rispetto a quella delle qualifiche, forse è stato meglio così, mi ha dato sensazioni diverse. La difficoltà che ho avuto già dal primo salto è che non rispettavo le ritmiche. Il mondiale a fine stagione a me non piace, lo preferisco a metà, perché così non è facile raggiungere il picco della forma quando serve. E infatti molti atleti non sono riusciti a performare».

- Emozioni?

«È qualcosa di incredibile. Che notte, ne sono molto fiero, anche perché sono stato calmo e paziente, con la foga non si arriva lontano, il disordine non porta a niente. L'abbraccio con mia madre dice tutto, non ho iniziato la gara al top, sono contesti delicati, bisogna restare concentrati, essere capaci di restare in una propria bolla. Ma dietro ci sono anni di sacrifici e di lavoro, è un successo che viene da lontano, che è stato preparato. Non ci sono solo io, questa è un'impresa che abbiamo costruito tutti insieme con la mia famiglia. È un pezzo di storia, io vorrei scrivere la mia».

- Almeno sull'età ha battuto Carl Lewis, il signore del lungo.

«Per me è fantascienza. Essere non dico paragonato, ma citato tra questi grandi nomi è un onore. Nel '91 Lewis e Powell hanno scritto la storia della nostra disciplina e io sono andato spesso a rivedermi la loro gara».

- Andrew Howe ha inviato un messaggio.

«Non avevo dubbi. Andrew è un grande. Io devo ringraziare Rieti che per me è stato un ottimo ambiente e un uomo come Andrea Milardi che mi ha accolto nella sua società e che mi ha dato l'opportunità di crescere.
Spero a mia volta di poter essere un modello per i bambini e di spingerli a fare atletica».

- È cambiato il modo in cui affronta le gare?

«Se ora arriva la medaglia è perché sono maturato e ho vissuto più situazioni. A cambiare non è stato il mio atteggiamento, ma l'esperienza. Se sono riuscito a vincere una gara così difficile e importante è perché non mi sono accontentato dei miei confini. Ai miei primi mondiali a Budapest sono uscito nelle qualificazioni, senza quella delusione ora non sarei qui. Per questo voglio mandare dare un messaggio ai giovani, buttatevi, fate esperienze, è importante confrontarsi non solo con sé stessi, ma con il mondo. Perché è quello che fa crescere un atleta». — e.a. 

***


La madre di Mattia Furlani, Khaty Seck, e (sotto) la sorella Erika.

la storia
L'universo di Mattia lacrime, preghiere e sere alla Playstation

MATTIA CHIUSANO

Per Erika, Mattia Furlani ha pianto le lacrime più calde e abbondanti. «Perché sono incinta, e il medico ha detto che è meglio che mi riposi» spiega la sorella del campione del mondo dalla sua casa di Rieti.

«Ho pianto tantissimo anch'io, non so se per gli ormoni, o perché quando stai per diventare mamma vedi una storia come quella di Mattia da un altro punto di vista. Sapevo che non avrei potuto seguirlo, ma dopo il mio matrimonio del 27 aprile ho fatto il viaggio di nozze proprio in Giappone: e in ogni tempio di Kyoto, Tokyo, Kanazawa, ho fatto una preghierina affinché mio fratello potesse vivere una giornata così. Gli ho portato qualcosa da quella terra».

Quando Khadidiatou Seck detta Khaty, figlia di un diplomatico senegalese, sprinter agli Europei Master, allenatrice di Mattia Furlani, ha gridato al figlio «Fatti abbraccia'» in un romanesco addolcito dalla cadenza francese, ha in realtà abbracciato tutta una famiglia diventata sistema, fortino, nido accogliente. Un club esclusivo in cui lo slogan della mamma è "vi porto tutti al campo", e i risultati sono una nidiata di figli con lo sport nel sangue. La stessa Erika, argento mondiale under 18 nel salto in alto, nel 2013 a Donetsk, dieci volte campionessa italiana giovanile e una volta assoluta, un personale di 1,94: «Mattia diventerà zio di un maschietto, speriamo prima di Natale, io intanto continuo ad allenarmi perché voglio tornare». Poi il fratello Luca, calciatore che tra una partita e l'altra atterra a 7,19 metri nel lungo. Tutto straordinariamente normale, se si pensa che papà Marcello saltò 2,27 nell'alto nel 1985. Ma il bello dei Furlani è il legame che vincola l'uno all'altro nel segno dello sport.

«Farò un corso di pilates reformer, anche perché voglio aiutare Mattia, gli serve un po' di posturale» continua Erika. «Mio fratello invece è bravissimo con la tecnologia, e cura il canale YouTube. A proposito, Luca e papà sono in Giappone per fare il tifo, è stato meglio anche per mamma che nei primi giorni ha sofferto per un'intossicazione ed è preoccupata per me: si sente già nonna».

Nato a Marino nei Castelli Romani, Mattia Furlani era troppo piccolo per allenarsi con la madre nel campo di Frascati, su cui si affaccia Villa Grazioli, set de Il Marchese del Grillo. Dal 2010 la famiglia si è trasferita a Rieti, dove la vita del predestinato si è adattata alla perfezione: «A lui piace stare in casa, fare cene e pranzi in famiglia, giocare con gli amici alla Playstation», dice ancora Erika.
Dalla casa di Maglianello sulla Salaria allo stadio "Guidobaldi" un chilometro per il figlio e la madre reduce da notti insonni a studiare le ultime tendenze dell'allenamento.
Sulla pedana del lungo c'è una fettuccia che segnala il record di Furlani e quello italiano di Andrew Howe, concittadino illustre, amico e ispiratore. Ma su quella stessa pedana appena rifatta saltano anche cento bambini, che incrociano le traiettorie del campione e ogni volta che atterrano nella sabbia urlano: "Ecco Mattia Furlani!".

©RIPRODUZIONE RISERVATA 

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