Maratona Keflezighi - La favola del profugo


Ex eritreo, 2 anni in Italia ha riportato la vittoria agli Usa dopo 26 anni di digiuno

L’attacco in Central Park fa l’ultima vittima, il keniano Cheruiyot: «Sognavo un’impresa così»

2 Nov 2009 - La Gazzetta dello Sport
MASSIMO LOPES PEGNA

NEWYORK - Un milione di persone in uno stadio lungo 42 km a fare un gran fracasso per un omino nero con cappellino scuro e maglia bianca con la scritta Usa: Meb Keflezighi, uno statunitense, appunto. Era un’eternità che uno dei ragazzi di qui non emulava Alberto Salazar, ultimo conquistatore yankee di New York, nel 1982.

La storia 

Sul saliscendi di Central Park, quando Meb ha mollato l’ultimo dei superstiti ancora incollato ai suoi piedi, il keniano Robert Cheruiyot, re di Boston (4 successi) e Chicago e si è presentato solo al Columbus Circle, a menodi unkmdalla finish-line, il frastuono è diventato insopportabile. Allora Meb, nato in Eritrea ma statunitense dal 1998, ha sorriso e alzato entrambi i pollici. Forse perché all’ingiù, quei pollici, c’erano finiti troppe volte. L’ultima nel 2007, quando si procurò una frattura da stress nei trials olimpici: «Ebbi paura di non poter più correre. Solo le rassicurazioni dei medici mi tranquillizzarono». I pollici in sù erano per suo padre Russom: «E’ stato il primo di famiglia a correre una maratona: andò a piedi dal nostro villaggio di Adingobolo fino al Sudan, dove speravamo di cominciare una vita migliore. Per molti viaggiare significa prenotare aerei su internet. Papà lo fece per sopravvivere alla guerra, sfuggendo a serpenti, iene e soldati etiopi». Ma il viaggio non era finito: «Due anni a Milano, dove mia mamma faceva la cameriera. Io in una boarding school di Monza e un’insegnante con cui sono ancora in contatto, la signora Angela Lippi». Poi gli Stati Uniti. Pollici in su per i professori della High School di San Diego e della UCLA, perché intuirono il suo talento per la corsa. «E per Salazar. Lavorava per la Nike, nell’estate 1998 gli scrissi una lettera. Gli chiesi aiuto per diventare professionista. Me lo dette». Pollici in su per quel pazzoide di Cornelius Horan, il teologo irlandese che ad Atene 2004 spinse via il brasiliano de Lima in testa al 35˚ km e lo aiutò a conquistare l’argento alle spalle di (Stefano) Baldini. Pollici alzati anche per sua moglie Yordanos, che gli suggerisce la tattica: «Anche oggi: "Meb devi essere paziente, hai sbagliato in troppe occasioni", mi ha detto. Aspetta le ultime miglia per partire».

La gara 

E così è rimasto mansueto in mezzo a una manciata di potenziali vincitori con cui era sceso dal Queensboro Bridge e ha atteso la selezione sulla interminabile 1st Avenue. Dentro il Parco sono rimasti in due, lui e Cheruiyot dopo che Kwambai e Bouramdame avevano issato bandiera bianca. Poi al miglio n. 24 ha mandato la folla in tilt prendendosi la prima maratona della carriera in 2h09’15": «Me l’ero immaginato spesso un successo così, ma quando succede è molto più bello. Festeggerò con un bisteccone». 

Per la etiope Derartu Tulu non è la prima vittoria (Londra 2001), ma è un po’ come se lo fosse. Dopo che il primo vero trionfo in pista è datato Barcellona 1992 ( oro 10.000, bissato a Sydney, bronzo ad Atene), quando torni in cima al mondo a 37 anni ti sembra di risorgere. «Ero sicura di far bene, non di vincere», dice. Quando spopolava in pista negli anni ’ 90, in Etiopia, il nome Tulu era diventato di moda fra le neonate. E non sorvegliava più le detenute in carcere, anzi con i soldi guadagnati costruiva ospedali. A New York era stata terza nel 2003, ieri è stato più semplice del previsto: 2h28’52". E’ bastato rimanere nella scia di una spenta Paula Radcliffe (4ª), che si era procurata una tendinite a un ginocchio un paio di settimane fa. Infatti il suo celebre passo non aveva stroncato nessuno. Mentre l’inglese cedeva in Central Park («Ho cercato di incoraggiarla a non mollare, perché a me piace battere le mie rivali al meglio»), in vista del traguardo la Tulu lasciava anche la 41enne russa Ludmila Petrova. «Stupenda sensazione. Chissà, magari mi vedrete anche a Londra 2012».

***

Pizzolato ritirato, Bergomi 3h59’, Morissette 4h28’

NEW YORK — Maratona di vertice, ma soprattutto degli amatori. Mai come quest’anno l’Italia ha recitato da protagonista: con 3460 iscritti, è stato il Paese straniero più rappresentato. Tra i tanti «vip», il migliore è stato Davide Cassani: l’ex ciclista ora telecronista ha chiuso in 3h13’24". Poi, in una sorta di classifica, il dj Linus (3h34’13"). Alberto Cova ha corso senza impegno in 3h45’54". Per l’onorevole Maurizio Lupi 3h48’12". Beppe Bergomi è rimasto sotto le quattro ore (3h59’35"). Poca gloria per Orlando Pizzolato che celebrava il 25ennale della sua storica vittoria: s’è ritirato dopo il 25 km (1h23’26" alla mezza). Stop anche per Giovanni Terzi, assessore a Milano. Tra gli stranieri, la cantante canadese Alanis Morissette ha finito in 4h28’45". Il sindaco di Geruselemme, Nir Barkat ha festeggiato il 50˚ compleanno in 4h42’46". Dan Jansen, olimpionico in pista lunga 1994, ha chiuso in 3h41’43", Pat LaFontaine, ex gloria dell’hockey ghiaccio Nhl, in 4h27’08". 

Gli attori: Anthony Edwards 4h08’20", James LeGros 3h29’37", Matthew Reeve 4h23’36". 

I migliori italiani dopo Bourifa (13˚ in 2h16’01"): 22. Liuzzo (2˚ europeo) 2h22’36"; 26. Lo Piccolo 2h24’04"; 34. Achmuller 2h26’14"; 35. Santi 2h26’23"; 37. Tiberti 2h26’34"; 43. Canaglia 2h27’52"; 47. Duca 2h28’15"; 51. Ruggiero 2h29’02". 

Miglior donna, Mustat 3h01’49" (63ª).

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