Tra castelli e ceramiche di Sèvres il congedo di Downton Abbey




Dopo sei stagioni tv e tre film, chiude la saga creata da Julian Fellowes

ANTONELLO CATACCHIO
Il Manifesto
Giovedì 11 Settembre 2025
Pagina 23

Dopo 52 episodi televisivi con il terzo film siamo arrivati a Downton Abbey The Grand Finale. Un finale in grande stile, come si conviene a una delle serie più fortunate della televisione a livello mondiale. 1930, costumi fantastici, scenografie sontuose e quell’understatement inglese che lo rende irresistibile. Tutto comincia con uno scandalo, lady Mary, la rampolla di famiglia che dovrebbe prendere in mano le sorti di Downton Abbey e dell’intera nobile casata dei Grantham ha divorziato. Quindi al ricevimento cui partecipa anche la famiglia reale viene cacciata in malo modo. Non dimentichiamo che pochi anni dopo, nella realtà, Edoardo VII ha dovuto abdicare pur di sposare una donna divorziata. Per fortuna della famiglia, caduta in disgrazia e schifata da tutti, entrano in contatto con Noël Coward artista poliedrico e geniale che accetta un invito nella famosa magione. E tutti i nobilotti di campagna si rimangiano le maldicenze pur di partecipare al ricevimento. Lo spirito è quello di sempre. Di sopra l’aristocrazia, di sotto la servitù lo sguardo di tutti è rivolto al passato, così confortevole, ma il futuro incombe con gli anacronismi destinati a sbiadire. Anche perché ci sono stati amori, morti, guerra e la crisi del 1929 che scuote anche la famiglia.

CI SONO MOMENTI esilaranti nel film, come quando il servitore d’un tempo, ora assistente-amante di un attore famoso, viene invitato al piano superiore per un drink, o ancora quando le confessioni di lady Mary suggeriscono a Coward la commedia Private Lives. Ancora più ironico il momento in cui, per questioni economiche, i Grantham potrebbero dover prendere un appartamento d’appoggio in un condominio a Londra, lasciando il loro abituale palazzo di città. Il conte Grantham si aggira perplesso, la figlia Mary pragmatica cerca di convincerlo, sino a quando lui sente dei rumori provenienti dal piano superiore, scopre così che ci sono altri inquilini sopra e sotto e si chiede indignato se si tratti di una torta multistrato dove abitare con altri. Su tutto incombe la figura scomparsa della contessa Madre, a suo tempo interpretata da Maggie Smith, rigorosamente legata ai modi della tradizione («cos’è un week end» esclamava sdegnata) e il suo ritratto domina la scena guadagnandosi la dedica dell’intero film.

IL PUBBLICO più accorto e più cinefilo aveva notato l’affinità della serie con quel gioiellino firmato da Robert Altman: Gosford Park. A ragione, perché alla base c’è Julian Alexander Kitchener-Fellowes, barone Fellowes di West Stafford, ineffabile autore delle sceneggiature sia della serie che dei film ispirati alla serie, ma anche del titolo di Altman.

Il radicato conservatorismo britannico, interclassista, domestici, padroni, notabili, campagnoli, tutti sono pervicacemente legati alla intoccabile tradizione, ma non è più quel tempo, cent’anni dopo si può sorridere per quegli atteggiamenti e quell’orgoglio tutto british, che vorrebbe rifuggire qualsiasi novità, purtroppo per loro la volgarità del week end ha decisamente vinto sulle raffinate ceramiche di Sèvres.

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