L'INSEGNAMENTO DI SOWETO '76
Dalla rivolta studentesca contro l’imposizione dell’afrikaans, di cui cadeva ieri l’anniversario, al movimento che boccia l’inglese come lingua unica di produzione del sapere. La lotta continua
Il Manifesto
Martedì 17 Giugno 2025
Pagina 20
Ieri, 16 giugno, in Sudafrica si è celebrato lo Youth Day, una delle festività nazionali più sentite, in ricordo delle sommosse di Soweto del 1976, quando gli studenti delle scuole superiori organizzarono una marcia per contro la politica linguistica del 1974, che imponeva l’afrikaans come lingua di insegnamento.
L’afrikaans che è stata la lingua ufficiale dell’Università di Stellenbosch fino al 2017. La polizia rispose con gas lacrimogeni e proiettili, causando il ferimento e la morte di molti studenti.
L’IMMAGINE scattata da Sam Nzima, che ritrae Hector Pieterson portato in braccio da Mbuyisa Makhubo e seguito dalla sorella Antoinette Sithole, è diventata il simbolo della brutalità della South African Police, strumento repressivo centrale del regime dell’apartheid. La rivolta rappresentò un punto di svolta nel movimento anti-apartheid, sensibilizzando la comunità internazionale sulla violenza del regime e rafforzando l’opposizione a esso.
Gli eventi di quella giornata, raccontati da Ndlovu Mxolisi Sifiso nel suo libro The Soweto Uprisings (1998), possono essere ricondotti alle politiche attuate dal regime dell’Apartheid con l’entrata al potere del National Party nel 1948, in particolare all’introduzione del Bantu Education Act nel 1953, un sistema educativo progettato per "formare e preparare" gli africani al loro ruolo servile. L’ideatore della legge, H.F. Verwoerd, cosí ne riassumeva la ratio: «Al di sopra di certe forme di lavoro non c’è posto per loro nella comunità europea, quindi non gli serve ricevere una formazione che ha come obiettivo l’integrazione a tale comunitá». La ratio razzista accomuna il colonialismo all’apartheid. Per questo motivo il termine bantu, riferito al bantu education e ai bantustan riferito alle aree definite etnicamente al fine di espellere i cittadini neri dal resto del Paese e creare dei "senza terra" a casa loro, ha una forte carica politica. Per questo probabilmente nessuno più di un/a nero/a sudafricano/a può sentire empatia con la storica sofferenza del popolo palestinese.
SISTEMI EDUCATIVI DISEGUALI non erano comunque esclusivi dell’apartheid. Mentre l'istruzione per i bianchi era gratuita, obbligatoria e in espansione, quella per i neri era gravemente trascurata. Nel 1953, l’introduzione del Bantu Education Act separò il finanziamento dell'istruzione per gli africani dalla spesa pubblica, relegandolo alle imposte dirette versate dagli africani stessi, con il risultato che si spendeva molto meno per i bambini neri che per i bambini bianchi. Pur se in un contesto radicalmente diverso, si possono riscontrare somiglianze con il sistema italiano, dove scuole situate in quartieri o regioni con un reddito medio-basso possono affrontare problemi legati alla carenza di fondi, alla scarsa manutenzione degli edifici, alla mancanza di attrezzature moderne e alla difficoltà di attrarre insegnanti qualificati.
L'Extension of University Education Act, nel 1959, proibì l’ingresso di studenti neri alle università bianche, principalmente UCT e WITS, e originò le cosiddette bush universities come Fort Hare, Vista, Venda e Western Cape. Nello stesso periodo, la spesa per l'istruzione bantu registrò un piccolo aumento quando il governo nazionalista si rese conto della necessità di una forza lavoro africana qualificata. Il Coloured Person's Education Act nel 1963 e l'Indian Education Act nel 1965 resero l’istruzione di coloured e indian people obbligatoria, ma crearono ulteriori sub-divisioni etniche. Una matriosca di perfidia bianca.
POICHÉ SOWETO ERA META di molte persone in cerca di lavoro nella City of Gold ( Johannesburg), e a causa delle pressioni delle industrie che richiedevano manodopera nera più qualificata, nel 1972 furono costruite a Soweto 40 nuove scuole, portando a un aumento significativo del numero di studenti: tra il 1972 e il 1976 un bambino su cinque a Soweto frequentava la scuola secondaria.
Sebbene l'istruzione bantu fosse stata concepita per privare gli africani e isolarli dalle idee "sovversive", l'indignazione per l'istruzione impartita, considerata "inferiore", divenne un punto focale della resistenza, che si manifestò particolarmente durante la rivolta di Soweto del 1976. L'ascesa del Black Consciousness Movement e la formazione della South African Students Organisation nella fine degli anni ‘60 contribuirono nel rinforzare la coscienza politica di molti studenti e il sentimento anti-apartheid all'interno della comunità studentesca. Le proteste non cessarono durante gli anni '80 e il malcontento continuò anche dopo l'introduzione di un sistema educativo unico nel 1994, con le prime elezioni democratiche, e la vittoria dell’ANC di Mandela.
Gli ultimi eventi risalgono ai movimenti studenteschi del 2015-16 che, originatisi nelle due storiche università bianche, il Rhodes Must Fall (RMF) a UCT e il Fees Must Fall (MFM) a WITS, si sono poi diffusi in molte università sudafricane e hanno coinvolto anche vari atenei inglesi in quello che è poi diventato l’opportunistico mantra dell’accademia europea: la decolonization of knowledge.
LA SPETTACOLARE rimozione dall’università di Città del Capo della statua di Cecil Rhodes, padre di tutte le politiche segregazioniste, ha segnato l’inizio di un’ondata globale di rivendicazioni per la decolonizzazione toponomastica e ha innescato un ampio movimento iconoclastico. La denuncia dell’università come luogo di segregazione economica e razziale ha messo in luce l’intersezionalità del movimento, non limitandosi alle tasse universitarie, ma facendosi portavoce dei diritti della “manovalanza universitaria”, spesso terzerizzata. A livello curriculare ha imposto, e non sorprendentemente ottenuto, risultati enormi, affrontando il razzismo istituzionale intrinseco ai curricula eurocentrici. Le richieste tracciano un percorso verso l’equità razziale per insegnanti e studenti. Come nel 1976, il movimento ha denunciato l’ingiustizia di un sistema accademico che non solo impone l’uso della lingua inglese a persone alfabetizzate in una delle 11 lingue ufficiali africane, ma la legittima anche come unica lingua di produzione del sapere, riprendendo i dibattiti degli anni ’60, quando il resto del continente stava conquistando l’indipendenza. Gli effetti di tali dibattiti sono visibili nella globale rivalsa per il riconoscimento dei sistemi di conoscenza indigeni e le loro lingue.
Pur riconoscendo i vari problemi al suo interno, a partire dall’accusa di comportamenti patriarcali rivolta ad alcuni dei suoi leader, il movimento creato dagli studenti in Sudafrica «ha avuto un impatto enorme sul progetto coloniale, più di qualsiasi partito politico», ha affermato Athi-Nangamso Nkopo, co-autore di Rhodes Must Fall: The Struggle to Decolonise the Racist Heart of Empire. Tale impatto si è esteso globalmente alle università statunitensi ed europee, che non solo si sono appropriate delle rivendicazioni, cancellandone l’origine, ma continuano a detenere il potere di definire l’agenda e i contenuti della presunta "decolonizzazione" attraverso fondi gestiti dai loro capofila di progetti. Fondi elargiti da quella stessa "comunità europea" che continua a riaffermare l’assenza di spazio per una conoscenza che non sia endogamica.
LA RIVOLTA DI SOWETO compirà 50 anni nel 2026, il regime democratico che ha abolito l’apartheid ne compie 30 quest’anno, i fallists (come vengono chiamati gli studenti parte del movimento RMF/FMF) 10 anni. È possibile tracciare una linea di continuità di un movimento che sfida il radicato e criminale senso di superiorità bianca, insito in un sistema di oppressione e denigrazione dell’altro. Un movimento consapevole dell’uso strategico dell’istruzione per formare individui con bassa autostima, privati della capacità di pensiero critico e quindi facilmente controllabili. È quello che ha fatto, e continua a fare, l’educazione fascista sia in patria, che oltremare.
Quello a cui assistiamo mentre l’educazione viene privatizzata, a-politicizzata, commercializzata, e/o ridotta a una utilitaristica deformità euro-decoloniale.
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