Addio a Benni: raccontò l’Italia


Stefano Benni era nato a Bologna e aveva vissuto 
sull’Appennino Emiliano (Sintesi / Controluce /Afp)

Erede di Gadda e Flaiano, maestro di ironia, ha raccontato l’Italia. E anche noi
Oltre i limiti del comico 
Le sue storie si spingono dal grottesco verso il tragico, trattando di vita e morte, dolore, solitudini

10 Sep 2025
Corriere della Sera
di Paolo Di Stefano
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L’arte più difficile, nella scrittura, è scatenare non il pianto ma la risata. In questo, Stefano Benni è stato un maestro, nel solco di una tradizione italiana illustre: che parte, come sappiamo, dal Contrasto di Cielo d’Alcamo e arriva a Campanile e Flaiano, passando per Ruzante, Folengo, Goldoni, Dossi, Gadda eccetera. Compagni di strada ideali di Benni, con molti altri (e per ragioni diverse), si possono intravedere nei più vecchi Luigi Malerba (classe 1927) e Gianni Celati (classe 1937) e nei coetanei Aldo Busi ed Ermanno Cavazzoni. Malerba e Celati hanno abbandonato presto la vena comica: il primo per darsi al romanzo storico; il secondo, dopo le grandi prove degli anni Settanta (poi raccolte nei Parlamenti buffi), per intraprendere le narrazioni delle pianure e delle apparenze. Cavazzoni è sempre rimasto fedele a sé stesso, così come Benni, mentre Busi va invece considerato un genio a sé. Si tratta comunque di un filone che, in questa declinazione particolare, ha un comune denominatore nelle origini padane (emiliano-romagnole-lombarde): un altro nome da ricordare è quello di Gene Gnocchi, che prosegue nelle sue sperimentazioni spericolate. Spesso, ma per fortuna non sempre, il destino della scrittura comica è quello di essere relegata a genere minore rispetto a quella tragica o sedicente impegnata. Ma il comico, che può essere più o meno impegnato, è impegnativo, certo più del patetico. Benni, che è morto ieri a Roma a 78 anni (era nato a Bologna nel 1947), ha saputo suonare su varie tastiere del genere, tra il comico realistico e fantastico, la satira, la poesia, la favolistica, l’umorismo infantile, spesso mescolando tutto ciò.

Spregiudicato e intelligente, lieve ma sferzante poligrafo: non solo giornalista, narratore e poeta, ma anche sceneggiatore, drammaturgo, autore televisivo (paroliere del primo Grillo). Benni è stato un caso, rarissimo, di scrittore autentico venuto dalla satira politica, di cui è stato un maestro («Linus», «il manifesto», «Cuore», «Tango»…). Ha scritto libri derivati dalla sua attività di giornalista e rubrichista, a cominciare da Bar Sport del 1976, una raccolta diventata un classico dell’umorismo della provincia italiana, dove si trova l’indimenticabile Luisona, la decana delle paste mai mangiate e destinate a rimanere in bacheca per anni. Da Bar Sport derivano altre filiazioni di forma breve, tutte straordinariamente divertenti, da La tribù di Moro Seduto (1977) a Il bar sotto il mare (1987), a Bar Sport Duemila (1997), fino a Cari mostri (2015). Il caffè come «luogo magico» della fantasia inventiva, con i suoi avventori bizzarri e le sue macchiette, si apre verso una polifonia affascinante e variegata, formando una sorta di foto di gruppo della società italiana.

La rappresentazione della quotidianità, tra conformismo e stravaganza emarginata, si avvale in Benni di una fantasia sfrenata e deformante. Il meglio però si ha con i romanzi, dove il fantastico, l’avventuroso, il paradossale, il rocambolesco, la parodia trovano una notevole compattezza. Terra! (1983) è un romanzo apocalittico fantascientifico, ambientato nel 2157 in uno scenario post-nucleare, con tre astronavi che si contendono un pianeta abitabile, in un ventaglio ricchissimo di gag. Oreste Del Buono salutò con entusiasmo questa storia plurale di viaggi nello spazio e nel tempo, con una quarantina di personaggi, su cui spiccano il cacciatore di comete Van Cram, il vecchio saggio cinese Fang Kwain, il bambino prodigio Einstein, il supercomputer Genius, un popolo di topi ammaestrati. Ma è con Comici spaventati guerrieri (1986) che Benni tocca il punto più alto nella sua narrativa, superando il limite del comico e acquistando una dimensione che dal grottesco si spinge anche verso il tragico, trattando di vita e di morte, di dolore e di solitudini. Il richiamo a Gadda è valido non solo per la qualità espressionista del linguaggio, ma anche per lo scenario metropolitano che ricorda la trama gialla del Pasticciaccio: qui il delitto non è in via Merulana ma in un palazzo di via Bessico, in una città non specificata. L’umanità che incontriamo è composta di periferici emarginati, folli, bambini, vecchi, donne, «comici spaventati guerrieri» in lotta continua contro il cinismo della società del benessere. E mentre in Gadda prevale la distanza ironico-grottesca, in Benni si sente la partecipazione al destino dei vinti, il professore in pensione Lucio Lucertola, l’undicenne vagabondo Lupetto, l’ex terrorista Lee, Lucia Libellula… Una folla di personaggi, tra cui, anche qui, umani animalizzati nel nome e nei tratti caratteriali.

L’apice del successo arriva però con La Compagnia dei Celestini, nel 1992, che è un’odissea di bambini in contrasto con il Potere per riuscire a disputare il campionato sovversivo di pallastrada. Il Paese in cui si svolge il tutto è Gladonia, chiara metafora dell’italia anni Novanta, con le eterne maschere italiche, dal Politico, al Giornalista, al Potente, al Generale, al Priore, alla schiera degli squallidi servi zelanti. Quasi una commedia dell’arte. Una sorta di poema satirico, in cui il rischio della didascalia moralistica troppo esplicita viene, quasi miracolosamente, superato dalla esplosività espressiva, dal gioco pirotecnico, dalla risata (malinconica o sguaiata) che l’insieme riesce a produrre. L’attitudine di Benni è la sperimentazione, il suo carattere multiforme, il desiderio di provare e provarsi fino alle malinconie degli ultimi anni. Fatto sta che per diversi decenni, alla satira giornalistica, al racconto breve e lungo si sono alternate le favole in versi, le ballate, le drammaturgie, le fiabe illustrate (La bambina che parlava ai libri è del 2019). Quella di Benni è stata una presenza notevole nel filone comico (e anzi si direbbe tragicomico) italiano che ha affiancato, spesso (come nel suo caso) con straordinaria fantasia espressiva, la letteratura cosiddetta «seria». Amato da critici non proprio accomodanti, come quelli provenienti dall’esperienza di «Quaderni piacentini» (su tutti Goffredo Fofi e Grazia Cherchi, di Stefano amica e madrina), il nome di Benni, dopo le prime uscite, è rimasto legato a un unico editore, Feltrinelli, quasi a formare un binomio inscindibile che ha anche una valenza politico-civile.

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