Bontempi: «Come mi piaceva essere chiamato Ciclone. Hinault mi tirò la volata e ho trionfato a Parigi»


Il bresciano protagonista degli sprint negli anni 80 e 90: «Ora i velocisti hanno un treno a loro disposizione, io mi arrangiavo. E se serviva andavo anche in fuga...»

"Ho vinto a Parigi al Tour 1986: fu Hinault a portarmi all’ultima curva"
"Ogni tanto vedo Visentini, usciamo a cena"
"Vado ancora su due ruote ma... in moto"

4 Jul 2025
La Gazzetta dello Sport
Di Ciro Scognamiglio @CIROGAZZETTA 

O Guidone, o Ciclone. È una vita che Guido Bontempi – bresciano di Ronco di Gussago - è abituato a sentirsi chiamare così, e non gli dispiace. Negli anni '80 e '90 è stato uno di quei ciclisti capaci di lasciare il segno: perché vinceva e per come vinceva, per ciò che diceva e per come lo diceva. Tra volate imperiose e giornate da perfetto uomo squadra, fughe coraggiose e lavoro oscuro, dichiarazioni mai banali e zero capacità di nascondersi, sono tanti i momenti che lo hanno visto protagonista.

Bontempi, partiamo dal soprannome Ciclone. Com’era nato?

«Me l’aveva dato Adriano De Zan, la mitica voce del ciclismo, che conosceva tutti e sapeva tutto. In particolare, dopo il 1986, quando avevo vinto tanto tra Giro e Tour, ero stato travolgente. Lo disse per la prima volta in tv, e poi fu ripreso dai giornalisti e dalle persone comuni. Mi piaceva, mi continua a piacere. Si adattava anche alla mia stazza, 1,86 di statura e tra gli 83 e gli 85 chili di peso».

E allo stile?

«Il mio stile era completamente diverso da quello di chi sprinta adesso. Ora c’è un treno dedicato a un unico velocista. All’epoca, invece, avevo al massimo un paio di corridori per me. Partivo ai 300 metri, e mi arrangiavo. Poi, sapevo anche andare in fuga, attaccando in solitaria, perché soprattutto al Tour non sempre si arrivava in gruppo, e bisognava approfittare di ciò che passava il convento».

Se non avesse fatto il corridore?

«Una volta finite le scuole medie, avevo il posto pronto in fabbrica, una fabbrica meccanica, come operaio, alla periferia di Brescia. A pochi chilometri da casa mia. Ci ero andato a 14 anni, però contemporaneamente stavo già nel giro della Nazionale. Poi ho trovato Carletto Passerini: ho rifiutato la sua offerta per restare dilettante, mentre Achille Prandelli e Davide Boifava mi chiamarono alla squadra Inoxpran. Mi sono detto di provarci. L’ho fatto, e devo dire che mi è andata bene».

Tra i tanti successi, quale il più bello?

«Tutte le volate chiuse a braccia alzate sono state belle, ma mi viene in mente quella che mi ha fatto vincere la tappa dei Campi Elisi di Parigi, l’ultima del Tour de France 1986. Anche perché, a parte i miei compagni, in un certo senso mi aiutò un signore che si chiamava... Bernard Hinault».

Ah!

«Sì. I miei compagni avevano finito il loro lavoro, e Bernard stava risalendo posizioni in gruppo. Si sono incrociati i nostri sguardi, l’ho capito al volo, mi sono messo a ruota facendomi portare all’ultima curva e poi... Un po’ di volata me l’ha tirata, dai».

E la prima maglia gialla vestita al Tour 1988? L’ultimo italiano ad avere iniziato il Tour diventandone subito leader.

«C’è chi non riconosce quella vittoria nel cronoprologo di La Baule come ufficiale. Ma io la conto, visto che il giorno dopo sono ripartito in giallo».

Il rimpianto della carriera invece quale può essere: forse il fatto di non essere mai riuscito a vincere un Monumento come la Sanremo?

«Eh. Nel 1983, quando trionfò Saronni in maglia iridata, arrivai secondo. Nel 1987, c’era davanti lo svizzero Mächler, mio compagno, e dunque dovetti aspettare. Terzo. Vero, non è arrivata. Però in tantissimi, per dire, non hanno successi al Tour, tantomeno sui Campi Elisi. Anzi, certi velocisti, anche italiani, sui Campi Elisi non ci sono proprio arrivati. Quando non si era troppo distanti dall’Italia, si ritiravano, prendevano il treno e tornavano a casa...».

Parliamo di due momenti storici che ha vissuto da dentro: il primo, la tappa di Sappada al Giro 1987. Lei era compagno di squadra di Visentini e Roche…

«La sera prima, le idee erano chiare. Tutti per Visentini. All’indomani, in gara, Roche sicuramente ha attaccato quando non avrebbe dovuto. Per la dirigenza, l’importante era che vincesse la Carrera. Di certo, da quel momento nel team non c’è mai più stata la stessa unità di prima».

- In che rapporti è con Visentini e Roche?

«Visentini non è un uomo social. Ci sentiamo al telefono, ogni tanto ci troviamo a cena. A Roche, quando lo vedo, ricordo che non ha pagato quanto mi doveva, in termini di premi, per il 1987, quando avevo tirato tanto per lui al Tour. Lui mi risponde che sono sempre il solito, ma la sostanza resta. Anche in quel caso, mi sento di poter dire che non ha rispettato i patti».

Lei c’era anche al Giro 1988, la bufera di neve sul Gavia...

«Fummo i primi ad avere il materiale in gore-tex, e dunque in cima al Gavia potemmo cambiarci. Altrimenti, come tanti altri, sarei sceso in macchina verso il traguardo. Con le regole attuali sul meteo, una tappa così non si disputerebbe più».

Meglio o peggio?

«Ci sono pro e contro. Quello che non mi sta bene è che chi fa le regole sta quasi sempre in ufficio con l’aria condizionata e il riscaldamento, a 20-22 gradi tutto l’anno. Mi permette una provocazione? Oggi i salari, nel ciclismo d’élite, sono molto alti. Fino a diversi milioni di euro l’anno. Allora, quando non si corre causa meteo, tocchiamo lo stipendio e vediamo poi i corridori che ne pensano».

Bontempi, dopo essere stato per diversi anni un direttore sportivo lei oggi continua ad andare su due ruote, ma in moto. Giusto?

«Sì. Sono stato pilota regolatore alle corse di RCS, Giro d’Italia compreso. Ora lavoro per un fotografo storico come Roberto Bettini. Sono sempre stato un appassionato di moto, ma quando ero corridore non potevo andarci. Troppi rischi. Ora mi sto rifacendo. E nelle traiettorie che faccio metto sempre l’occhio e lo stile del corridore...».

***

Sue 16 tappe al Giro e cinque al Tour 
E 2 Gand-Wevelgem

Guido Bontempi è nato a Gussago (Brescia) il 12 gennaio 1960. 
Pro’ dal 1981 al 1995, ha corso per Inoxpran, Carrera e Gewiss. 
Due volte argento iridato in pista (keirin, 1981, e corsa a punti, 1983), tra le vittorie su strada spiccano 16 tappe al Giro d’Italia, cinque al Tour de France, quattro alla Vuelta, più due Gand-Wevelgem. 

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