Alberto Minetti



Per me sarebbe stato tra i più forti in assoluto... Il sogno spezzato e la forza di rialzarsi: la storia di Alberto Minetti

di MARIO BOCCHIO

È un salto nel tempo, un ritorno agli anni in cui il ciclismo italiano produceva talenti a raffica e sognare il professionismo sembrava, per alcuni, quasi naturale. Alberto Minetti era uno di quei ragazzi: un corridore vero, con classe, grinta e la strada negli occhi. Uno che aveva tutto per diventare un grande. Ma il destino, a volte, arriva a gamba tesa, e può cambiare tutto in un istante.

Minetti è nato a Ceva, in provincia di Cuneo, il 18 maggio 1957, ma fu Cuneo, dove si trasferì con la famiglia a dieci anni, la città che lo adottò e lo ha accompagnato per tutta la vita. Iniziò a pedalare con passione dopo aver partecipato ai Giochi della Gioventù. A 14 anni era già nella squadra Primavera di Chiusa Pesio. Il viaggio a Cambiago con suo padre, nel 1972, per acquistare una Colnago con l’asso di fiori sul telaio, è uno dei suoi ricordi più vivi: più di una bicicletta, era un simbolo di ciò che sognava di diventare.

Passò per la Tortonese Serse Coppi tra gli juniores, dove indossò anche la maglia azzurra di categoria, e approdò poi alla Fiat Trattori, fiore all’occhiello del movimento dilettantistico italiano. In quel vivaio d’eccellenza si consolidò il legame profondo con il direttore sportivo Italo Zilioli, ex professionista, che lo considerava quasi un figlio.

Le vittorie non tardarono ad arrivare: nel 1979 vinse la Milano-Tortona e poi, la classifica generale della Settimana Ciclistica Bergamasca, lasciandosi alle spalle avversari del calibro del russo Sergei Sukhoruchenkov, dominatore assoluto della scena dilettantistica mondiale. L’anno dopo conquistò anche il Giro delle Regioni, vincendo una cronometro impegnativa tra Cesena e Bertinoro. Erano anni in cui il dilettantismo era una categoria solo sulla carta: in realtà, era già ciclismo di altissimo livello.

Nel frattempo, Minetti, diplomato perito elettronico, lavorava la mattina alla Fiat e si allenava il pomeriggio. Un equilibrio faticoso, ma necessario, perché il sogno era vicino.

Nel 1980 arrivò la convocazione per i Giochi Olimpici di Mosca. Corse sia la prova in linea sia la cronometro a squadre. Tutti lo volevano tra i professionisti, e alla fine scelse la FAMcucine-Campagnolo, la nuova squadra di Francesco Moser, diretta da Luciano Pezzi. Il suo primo Giro d’Italia fu nel 1981. Non era lì per vincere, ma per imparare: chiuse secondo nella classifica dei giovani, lasciando comunque intravedere un futuro luminoso.

Poi, il buio. Il 10 agosto 1981, durante un allenamento su una strada che conosceva bene, a Osasco, tra Pinerolo e Cavour, fu travolto da un’auto. Le lesioni furono devastanti: frattura del plesso brachiale sinistro, gravi traumi multipli, un mese in rianimazione alle Molinette di Torino. Per giorni si temette per la sua vita, poi si cominciò a parlare di sopravvivenza. Ma il ciclismo, quello di prima, era finito.

La tenacia, però, era intatta. Minetti si aggrappò a ogni possibilità di migliorare. Quattro interventi chirurgici a Vienna, grazie anche all’appoggio silenzioso ma costante di Italo Zilioli, “secondo padre” e amico vero. L’uso del braccio sinistro era perduto, ma non la voglia di vivere.

Non si lasciò mai andare. Tornò nel mondo del ciclismo come fotografo alle gare giovanili, trovando soluzioni ingegnose per poter scattare con solo una mano, usando i denti per azionare l’otturatore. Continuò a pedalare su una bici adattata con un manubrio speciale di sua invenzione. Coltivò le sue passioni: la fotografia, lo sci, il bricolage. Lavorò in Fiat, poi in un consorzio agrario, infine in banca. Dal 2000 al 2004 fu anche presidente provinciale della Federciclismo a Cuneo.

Oggi, in pensione, è ancora un simbolo di forza e resilienza. In un tempo in cui la sicurezza dei ciclisti sulle strade è un tema purtroppo sempre attuale, la sua storia è un monito e un esempio.

Alberto Minetti non ha vinto un Giro o un Mondiale, ma ha vinto la battaglia più difficile: quella contro la disperazione. Con dignità, ingegno, e l’orgoglio mai nascosto di appartenere alla terra della Granda.

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