L’ultima Stangata: Redford


Addio all’attore e regista
FEDERICO PONTIGGIA
Il Fatto Quotidiano
Mercoledì 17 Settembre 2025
Pagina 18

Il compianto Sydney Pollack, che gli era amico, che ci ha fatto tanti film (sette, ndr), da Questa ragazza è di tutti (1966) a I tre giorni del Condor (1975) fino ad Havana (1990), e fondato un festival, il Sundance, nel 2008 gli prese le misure, preconizzandone il lascito nell’immaginario collettivo, negli occhi e nei cuori di quanti lo tributarono divo senziente, campione esemplare del ceto medio riflessivo, intellò con licenza di red carpet, attore e regista di lotta e di governo (dei sensi, i nostri), icona specchiata e non spocchiosa. Sopra tutto, attivista proteiforme e instancabile, dall’ambiente all’audiovisivo indie sempre sul pezzo. Insomma, Pollack a Variety, e uno più ficcante 16 anni dopo non l’abbiamo trovato, vaticinò: “C’è chi lo celebrerà per opere insolite come Il candidato o Gli spericolati. C’è chi lo ricorderà come un grande protagonista romantico in film come Come eravamo. C’è chi lo considererà una grande potenza nell’ascesa del cinema indipendente. C’è chi ricorderà Gente comune come un esordio alla regia impressionante. È sempre stato difficile da prevedere. Credo che goda, in un modo perverso, nel non fare quello che ci si aspetta da lui”. Così è stato, così è.

Robert Redford è morto, e neanche noi ci sentiamo troppo bene. A 89 anni se ne va un salvagente morale nel mare magnum rutilante e periglioso di Hollywood, uno che davanti e dietro la macchina (da presa) sapeva stare dalla parte, e sovente anche dall’arte, giusta. Con una dote aggiuntiva: senza sforzo apparente, senza turbe e offuscamenti – e di converso cipiglio – sul viso bellissimo, ma non troppo bello da non essere vero.

L’impegno civile c’est lui, oltre la zazzera bionda, la mascella squadrata, il sorriso – cachet a parte – impagabile esibisce la volontà di incidere tanto sullo schermo quanto sulla realtà, quale produttore, incubatore di futuro, pardon, festival e garbato, elegantissimo agit-prop. Non c’è soluzione di continuità tra il personaggio e la persona, il cineasta e il militante, bensì la vocazione totalizzante, la missione indefessa di decrittare l’America, “l’America che conoscevo. Ricordavo gli slogan di quando ero bambino, tipo ‘Non importa se vinci o perdi, ma come giochi’, ed erano bugie. Volevo fare film su questa menzogna”. E li fa, dal Candidato a Leoni per agnelli (2007) sulle complicità statunitensi in Afghanistan, da Tutti gli uomini del presidente (1976) sul caso Watergate a La regola del silenzio (2012) in cui si dirige quale attempato e libertario esponente dei Weather Underground.

Non un uomo per tutte le stagioni, Redford, ma il volto, e il pensiero, per molte cause, dalla salvaguardia dell’Alaska dal petrolio alla politica politicante, laddove ingaggerà un corpo a corpo presidenziale con i vari Nixon, Bush senior, George W. Bush (Truth del 2015, in cui Robert incarna il giornalista Dan Rather) e Trump (che l’ha ricordato con l’inopportuno “Era il più hot”): “Ritengo che ci sia un ruolo per il cinema militante, e dovrebbe esserci. Credo sia del tutto appropriato concentrarsi sulle questioni socioculturali del nostro tempo, in particolare sui documentari, poiché la verità – aveva dichiarato a Variety nel 2002 – sembra più difficile da trovare nei canali tradizionali dei media e del giornalismo”.

Non ne fanno più come questo Giano bifronte, provvido parimenti di star power e coscienza civile, luce propria e camera con vista sul precipizio etico – ravvicinato anche dalle proprie creature. Novello Gesù Cristo, nel 2012 si scagliò contro il sangue del suo sangue, il Sundance: “Voglio che i mercanti – i marchi di vodka, i tizi delle gift-bag e le Paris Hilton – spariscano per sempre”.

È morto nella sua casa nello Utah, casa che il Sundance non sarà più, dopo gli ultimi anni da star riluttante e ambientalista duro e puro, al cui riguardo – scrive il New York Times – ha provvisto un archetipo per i vari Leonardo DiCaprio e Mark Ruffalo.

Da attore ha avuto solo una candidatura agli Oscar, per La stangata (1973), in cui con Paul Newman perfeziona la più grande minaccia audiovisiva all’eterosessualità maschile, da regista ha vinto la statuetta con l’opera prima Gente comune (1980) – poi l’Oscar onorario nel 2002. Poco?

Chissenefrega, i premi passano, lui resta come incanto cinematografico, baluardo etico, carriera inarrivabile: pazienza per l’ultimo titolo in cameo, Avengers: Endgame (2019), ma A piedi nudi nel parco, Butch Cassidy, La mia Africa, Proposta indecente quanto ci hanno fatto innamorare, e ancora? L’Hollywood che fu grande sta perdendo i suoi ultimi pezzi da novanta: Come eravamo, il filmone del 1973 con il Redford e con Barbra Streisand, è come non saremo più.

***

“Icona del cinema, ma troppo bello, indie e ambientalista”

Federico Pontiggia
Il Fatto Quotidiano - Mercoledì 17 settembre 2025
Pagina 18

- Gian Piero Brunetta, massimo storico del cinema, chi e che cosa muore con Robert Redford?

Muore una delle grandi icone divistiche americane della seconda metà del 900, e con lui un insieme di idee che uniscono Hollywood e il cinema indipendente in maniera, a mio parere, abbastanza straordinaria.

- Ci spieghi.

Redford riesce benissimo a stare su questo insidioso crinale: non è mai dalla parte di Hollywood, eppure lavora con Hollywood; non è mai totalmente nel cinema indipendente, eppure dà una spinta fin dai primi anni 80 alla crescita, alla valorizzazione, alla costruzione di un’identità del cinema indie americano. Anche attraverso il suo festival, il Sundance, e poi la fondazione.

- L’abito, il tuxedo, ha fatto il monaco, l’attivista?

(Ride) È così, senza mai assumere ruoli protagonistici, senza mai alzare i toni, ha ricucito delle realtà che risultavano, fino a qualche tempo prima, incomunicanti.

- Il segreto?

La fortuna di essere dentro a grandi storie, con registi come Sydney Pollack, che toccavano l’America e il mito, e di avere assieme a sé partner eccezionali, per esempio Marlon Brando, Paul Newman, Jane Fonda. A Tutti gli uomini del presidente non solo ha dato un’ottima prova nei panni del giornalista Bob Woodward, ma contribuito alla sceneggiatura e alle prospettive dei diversi personaggi: non è da tutti. Anche laddove non era regista, Redford sapeva un po’ dirigere. Da un certo momento in poi, stava dentro la macchina cinema, senza volersi sostituire, ma entrando nei personaggi di alto profilo.

- Di quella gloriosa Hollywood, chi rimane, Clint Eastwood, Jack Nicholson e poi?

Jane Fonda. Dopo si va ai settantenni, si scende… probabilmente ci sono altri grandi personaggi (si commuove, ndr) che al momento – ho appena saputo della sua morte – mi sfuggono, perché l’emozione rende difficile essere lucidi.

- Nicholson il più seducente, Redford il più bello, chi ci mettiamo vicino?

Al Pacino. Nella gamma esecutiva delle possibilità che ha ognuno di questi formidabili attori, Pacino è quello che tocca le note più tragiche.

- Sostiene Trump, “Redford era il più figo”: Brunetta, concilia?

Be’, le prime apparizioni del giovane Redford trasmettevano l’idea di una bellezza fisica molto differente da quella di altri divi in circolazione, quali Brando e Newman. Robert è di pari avvenenza, ma con in più dei caratteri di gentilezza, di morbidezza: aveva questa dimensione, questa componente femminile nella sua recitazione, e la si avvertiva bene. Se vogliamo dirla con categorie attuali, è un antidoto alla mascolinità tossica.

- C’è un’eredità accolta, mantenuta dalla Hollywood qui e ora, o il suo tempo è tramontato per sempre?

Bisognerebbe fare un censimento di tutti i registi e gli attori che recepiscono il cambiamento climatico, che si professano ambientalisti. Lui l’ha avuta in maniera molto precoce, questa consapevolezza ecologista.

- Il suo film con o di Redford preferito?

I tre giorni del Condor di Pollack, mi colpì moltissimo per l’insieme della storia, la sceneggiatura, la sua interpretazione.

- Solo una candidatura da attore, per La stangata, solo una statuetta da regista, per l’esordio Gente comune: Oscar amari?

Probabilmente era troppo bello, l’aspetto estetico non lo faceva prendere in considerazione altrimenti, per film che meritavano – da amante del genere, un western crepuscolare come Butch Cassidy chiamava maggior considerazione dall’Academy.

- Ci riprovo: l’attore e regista e attivista George Clooney, l’attore e ambientalista Leonardo DiCaprio possono avvicinarvisi?

Forse sì, entrambi incarnano e manifestano dei valori assimilabili. Redford ha interpretato, per sua convinzione, i capisaldi di un’America aperta, ma con lo spirito di frontiera.

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