L'INDUSTRIA? LA SALVA BIL
di GIANFRANCO MODLO
la Repubblica - 30 maggio 1994
MILANO - "Di casi industriali, di gruppi da risanare o liquidare ne sono passati e ne stanno passando parecchi sui nostri tavoli. E sono nomi grossi: Cameli-Gerolimich-Unione Manifatture, Trevitex-Olcese, Pesclaudio, Carrera, Lodigiani-Cogefar, Galileo, Varasi-Fidenza Vetraria, Tripcovich. Siamo la seconda merchant bank italiana dopo Mediobanca, ovviamente, che però ha 48 anni di vita contro i nostri 5 e dispone di ben altri mezzi e strutture".
Raffaele Lombardini e Luciano Pichler, amministratore delegato e direttore generale della Banca Industriale Lombarda, stanno lavorando molto, in questi mesi.
Domattina è previsto un nuovo incontro per il salvataggio Tripcovich (si parla di un intervento del gruppo Serra) e per convincere le banche creditrici a garantire i soldi necessari a fare funzionare il gruppo. "Un lavoro tutt' altro che semplice", spiega Pichler.
Nata per volontà dell'ex presidente della Comit, Enrico Braggiotti, banca privata per gestire grandi patrimoni e grandi affari, oggi la Bil s'è specializzata in chiusure di storie avventurose di finanza e risanamento di patrimoni industriali.
- Sono tanti, gli industriali avventurieri che mettono le aziende nei guai?
"Abbiamo assistito dal 1986 al 1991 a casi simili tra loro, di gruppi cresciuti troppo in fretta e poi naufragati sotto un mare di debiti. Basterebbe ricordare le crescite di Cameli-Gerolimich-Unione Manifatture, di Trevitex-Olcese, della Tripcovich che stiamo esaminando attualmente, e della stessa Ferfin, che però non curiamo. Sappiamo di aziende comprate in sole 24 ore, con pochissimi controlli, senza le dovute analisi. Insomma, c'è stata una sbronza finanziaria con identiche premesse, lo sviluppo a tutti i costi, identici strumenti di crescita, il ricorso al credito bancario, e un denominatore comune, la povertà culturale degli imprenditori e l'inesperienza dei banchieri che li hanno finanziati. Prima o poi questi nodi sarebberi venuti al pettine".
- Gli imprenditori e i manager sono consapevoli delle loro responsabilità nei dissesti?
"Mai. Se si trovano in difficoltà, è sempre colpa del destino cinico e baro. E poi, quando ci si trova con l'acqua alla gola, la dirittura morale viene in qualche modo soggiogata dallo stato di necessità. E spesso né imprenditori né manager in crisi sanno districarsi nel guazzabuglio che hanno messo in piedi, come sta accadendo per il caso Tripcovich. A dire il vero, anche le banche si trovano nella stessa situazione, a volte non riescono a venire a capo dei finanziamenti concessi in Italia e all'estero a svariate società che fanno capo ad un unico gruppo".
- E' difficile mettere d' accordo le banche sulla necessità di rinunciare a parte dei loro crediti per salvare le aziende?
"Gli istituti di credito trattano con spirito diverso, che dipende da tanti particolari: il volume dell'esposizione nei confronti del gruppo in crisi, la qualità delle garanzie, la natura dei crediti, se concessi alla holding o alle società industriali. Litigano molto, è vero. Noi cerchiamo soluzioni: per esempio, per conciliare 140 banche creditrici del gruppo Cameli esposto per 1.800 miliardi, abbiamo richiesto l' intervento del governo nella persona di Antonio Maccanico che le ha convocate a Palazzo Chigi per la firma dell'accordo".
- Vedete la fine del tunnel della crisi?
"Siamo al punto di svolta. I gruppi in crisi sono pochi, se si escludono le aziende a partecipazione statale. Alcuni nostri clienti che in passato han ceduto tutto ora sembrano disposti a rientrare. E noi ci troveremo al loro fianco".
- Molti crediti delle imprese verso le banche si trasformeranno in partecipazioni azionarie. Qual è il vostro giudizio?
"Dio ce ne scampi. I nostri clienti ce lo hanno proposto, ma noi abbiamo sempre detto di no. Noi siamo banchieri e quello del socio di capitale di un imprenditore non è il nostro mestiere. Lo sappiamo, ad esempio, che le banche creditrici di grosse aziende di Stato, come la Finmeccanica, dovranno prima o poi seguire questo comportamento, ma lo faranno controvoglia. Purtroppo dobbiamo anche rilevare che non esiste dialogo tra banca e impresa, se non per i grandi gruppi. Era meglio prima, quando banca e industria restavano separate".
GIANFRANCO MODOLO
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