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Visualizzazione dei post da novembre, 2016

The forgotten story of ... Danish Dynamite, the Denmark side of the mid-80s

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https://www.theguardian.com/football/blog/2009/oct/13/forgotten-story-denmark-1980s?guni=Article:in%20body%20link They won nothing, but the ultra-attacking team of Elkjaer, Laudrup and the Olsens were one of the most interesting in football history by Rob Smyth and Lars Eriksen NB: This is a feature-length piece, so you might want to print it off and read it on the way home. Not if you're driving, obviously. guardian.co.uk is not legally responsible for any bumpers damaged in the reading of this article Winning is for losers. Many of life's more interesting stories focus on those who didn't quite make it; who didn't get the girl or the job or the epiphany or even the Jules Rimet trophy. Johan Cruyff said his Holland side of the 70s were immortalised by their failure to win the World Cup and, when World Soccer invited a group of experts to select the greatest teams of all time a couple of years ago , three of the top five sides won nothing: Hungary 1953, Holl

SEVENTIES - Nish, il Derby nel cuore

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di Christian Giordano Ragazzo prodigio vincitutto con l’Inghilterra giovanile, David Nish (Burton-on-Trent, 26-9-1947) va in panchina con la prima squadra del Leicester City quando ancora va a scuola. Nei Foxes va in gol già al debutto, contro lo Stoke City, nel dicembre 1966, e subito sciorina una sorprendente versatilità, da fantasista a interno assai difensivo e infine come terzino fluidificante. All’eleganza innata abbina efficacia, affabilità e carisma. E a Wembley 1969, non ancora ventiduenne, è il più giovane capitano in una finale di FA Cup. Prima di lasciare Filbert Street, somma 10 caps nell’Inghilterra Under 23 e diverse presenze nella selezione di Football League. Riportato il Leicester City in massima divisione nel 1970-71, firma per il Derby County neocampione: 225.000 sterline, la cifra-record del calcio britannico scucita da Brian Clough per portarselo al Baseball Ground. Alla fine della prima stagione ai Rams, il 12 maggio 1973, arriva la prima delle sue 5

SEVENTIES - Il destino bastardo di Willie Maddren

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di CHRISTIAN GIORDANO Mai stato fortunato, William Dixon "Willie" Maddren (Billingham, 11 gennaio 1951). Invitato a un provino al Leeds United, non poté presentarsi per via di una caviglia fratturata e l'opportunità svanì. Mors tua vita mea, ne approfittò il Middlesbrough per cui firmò nell'estate del 1968. Impiegato come centravanti, segnò già al debutto in campionato nella sconfitta per 3-2 contro il Bury e si ruppe il naso. Nelle due successive stagioni, diventa una sorta di utility man prima di trovare definitiva collocazione come centrale difensivo. Con il capitano Stuart Boam forma una coppia dall'intesa quasi telepatica e trascina il Middlesbrough al titolo della Second Division 1973/74, e per lui arrivano anche 5 caps nell'Inghilterra Under 23. Il mix di aggressività e determinazione, unito all'istintiva capacità di leggere il gioco, sembravano il preludio per un radioso futuro in nazionale maggiore, ma un grave infortunio a un ginocchi

"Goat" Manigault, una vita da film

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https://www.amazon.it/Earl-Manigault-Greatest-Basketball-Portraits-ebook/dp/B01C3FJNGG di CHRISTIAN GIORDANO Nonostante la sceneggiatura non sempre coerente di Alan Swyer e Larry Golin, Rebound – The Legend of Earl “Goat” Manigault (“Più in alto di tutti” nella versione italiana) resta un buon film di basket, ma soprattutto un mini-trattato sul talento sprecato, su quel che poteva essere e non è stato, sulle umane fragilità. Prodotto per la tv via-cavo nel 1996 dalla HBO, è uscito poi anche in home video.  Il film inizia con un’intervista al grande Kareem Abdul-Jabbar al quale viene chiesto chi fosse stato l’avversario più forte incontrato in carriera. Un nome, solo uno. «Se devo fare solo un nome... Accidenti... Può essere soltanto Goat». Goat, Goat Manigault. Flashback. Harlem, 1959. Earl Manigault (Colin Cheadle negli anni giovanili) è un ragazzo timido e indigente che frequenta la Benjamin Franklin High School e domina, con le sue straordinarie doti atletiche, i c

"Goat" Manigault - Il Re è morto, evviva il Re

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https://www.amazon.it/Earl-Manigault-Greatest-Basketball-Portraits-ebook/dp/B01C3FJNGG di CHRISTIAN GIORDANO «Sono un uomo ricco. Basta guardare le mie braccia. Tutti i miei soldi li ho nelle vene». È finito sul New York Times, e non poteva che finirci da quel re che è sempre stato. Re del quartiere, dell’eroina, del playground. Nell’edizione di venerdì 16 giugno 1989, esce un articolo intitolato «A Fallen King Revisits His Realm» . Il re caduto rivisita il suo regno.  «Se non centri bene la vena, il braccio si gonfia. Noi li chiamiamo “misses”». Perse. Come le palle in campo, come le occasioni di una vita che non si poteva rimettere in piedi. Il weekend precedente Earl “The Goat” Manigault, «il più talentuoso atleta dei playground newyorchesi a non avercela mai fatta nella NBA», era tornato a casa. Notare la sottigliezza: atleta, non giocatore. E fa tutta la differenza del mondo. All’epoca, Manigault viveva sotto la soglia di povertà a Charleston, South Car

SEVENTIES - Gol di Gemmill, l'inutile al dilettevole

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di CHRISTIAN GIORDANO «Era il mondiale del '78. L'Olanda, che stava andando bene, giocava contro la Scozia, che stava andando male. Lo scozzese Archibald Gemmill ricevette palla da Hartford e fu abbastanza educato da chiedere agli olandesi di danzare suelle note di un solitario suonatore di cornamusa. Wildschut fu il primo a cadere, la testa voltata, ai piedi di Gemmill. Poi lasciò lì Suurbier a ballare nella polvere. A Krol andò anche peggio: Gemmill gli fece il tunnel. E quando gli si fece incontro il portiere Jongbloed, lo scozzese lo scavalcò con un pallonetto». Così l'immenso Galeano, ne Splendori e miserie del gioco del calcio, consegnò all'immortalità il gol di Archie Gemmill. «A brilliant individual goal by this hard little professional has put Scotland in dreamland!», così invece parlò David Coleman, che in telecronaca non fece in tempo a celebrare la prodezza del piccoletto duro a morire, il 3-1 degli scozzesi, e «the miracle was beginning to happe

Wiggo & Cav, l'Ultima a Gand

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Non poteva che finire così, sull'anello da 166,66 metri del mitico velodromo Kuipke e con addosso quelle maglie iridate. Bradley Wiggins e Mark Cavendish, fratelli di pista ribelli, sul più alto gradino del podio nella 76esima Sei giorni di Gand. La città dove Wiggo è nato perché lì correva papà Gary. E dove, aveva annunciato, avrebbe chiuso la carriera. "La mia ultima gara? L'ultima a Gand". In quel "ritiro dal ritiro", l'ennesimo, c'è tutto Wiggins. Contraddittorio. Controverso. Umorale. Fuoriclasse. In coppia con "Cannonball", negli ultimi cinque giri dell'americana ha mantenuto il giro di vantaggio sui belgi De Pauw e De Ketele e la coppia italobelga con l'olimpionico azzurro Viviani e Keisse. Cav e Wiggo, favoriti ma scesi dalla prima alla terza posizione, hanno rimontato fino a chiudere in testa a 410 punti. Per Wiggins è il secondo successo alla Sei Giorni di Gand dopo quello con Matthew Gilmore del 2003. La sua ultima v

Cristiano Realdo

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A sei giorni dalla chiusura delle urne, il Pallone d'oro 2016 (Bale, compagno di merengue, permettendo) non ha solo dominato il derby di Madrid numero 277. Lo ha quasi ridicolizzato, ben al di là della 32esima volta in Liga in cui ha segnato almeno tre gol.  Un gigante tra bambini, il portoghese. A 31 anni, fresco di rinnovo quinquennale con le  meregue , ha domato da nsolo un Atlético per un tempo, il primo, troppo remissivo per essere vero. Per essere figlio del Cholo , e all'ultimo Clásico madrileno al 50enne "Vicente Calderón, ripetutamente aizzato dallo stesso Simeone.  Ha sfoderato il repertorio completo, CR7. Punizione con errore e deviazione della barriera, rigore a spiazzare il pur magnifico Oblak.  E il tocco sottoporta su assist di Bale.  Per il tornado blanco fanno 375 in merengue, 18 nel derby, superato di un gol don Alfredo Di Stéfano come top scorer all time contro i colchoneros . E forse sarebbero anche stati quattro, con il colpo di test

Yaya is back!

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Era in rotta con Guardiola, proprio come gli era successo al Barcellona, dove secondo lui Pep lo faceva giocare troppo poco e non con la necessaria continuità. Al City, se possibile, l'inizio era stato anche peggio.  Subito fuori squadra, ostracismo prolungato e aria di cessione, a meno di scuse ufficiali di giocatore e procuratore. Scuse mai presentate dai diretti interessati, e anzi con l'agente Dimitri Seluk che ha contrattaccato: "Se Guardiola vuole la guerra, l'avrà". Non giocava dal 24 agosto, l'ivoriano: titolare nel ritorno del preliminare di Champions, 1-0 all'Etihad contro la Steaua Bucarest, virtualmente già eliminata col 5-0 in Romania. Da allora, mai a referto, battaglia a colpi di media e social, e poi - out of the (sky) blue - all'improvviso, tre mesi dopo, ecco la chance da titolare contro il Crystal City. Doppietta del 2-1 a Selhurst Park, salutata - via twitter - da Roberto Mancini, da sempre suo estimatore, che fece di

"Derbi de Madrid", l'ultimo al Calderón

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La brutta notizia è che tante stelle (ci) mancheranno. Quella buona è che le rivedremo in campo presto, ma non in questo "derbi de Madrid": il numero 277. L'ultimo al vecchio Vicente Calderón, cinquant'anni di fascino e sentirli tutti che dal 2017 lascerà spazio allo stadio della Peineta, il nuovo, avveniristico impianto dei colchoneros. Forse già dalla finale di Copa del rey, in programma il 27 maggio ma con sede ancora da stabilire.  L'Atletico l'ha chiesta alla federazione, che nel 2002 - per il centenario merengue - la assegnò al Bernabéu. Quello però è già futuro, per quanto prossimo. Il presente dice che l'Atlético è quarto in Liga, a meno sei dal Real Madrid, capolista a 27 punti e imbattuto in stagione. Il pronostico, in teoria (ma solo in quella) è blanco . Ma la storia, specie recente, consiglia prudenza: da una parte e dall'altra. Nel 2013, dopo 14 anni di digiuno, i "materassai" rivinsero il derby addirittura in fin

Il Blockhaus, la “montagna dei briganti”

http://www.inabruzzo.com/?p=140436 19 ottobre 2012 BLOCKHAUS, GENESI E MORFOLOGIA Con questo termine si individua una delle cime della Majella, che geograficamente è il secondo rilievo dell’Italia peninsulare per altezza sul livello del mare. La montagna della Majella non appartiene alla catena appenninica poiché non appare allineata, come si conviene, alle altre cime che attraversano questa porzione dell’Italia. La natura geologica rivela l’appartenenza alla piattaforma apula, ciò che resta di quel promontorio calcareo della zolla africana in fase di consunzione e che costituisce la parte emersa della Puglia e la parte sommersa del mare Adriatico. Nelle giornate in cui l’aria è trasparente, dalle cime orientali come il Blockhaus, si vede a occhio nudo il Gargano, l’altro rilievo della stessa piattaforma analogo alla Majella per costituzione e origine. La cima del Blockhaus è un altopiano alto 2142 m. s.l.m. E’un’ antica superfici di erosione o spianamento si è formata q

Boifava, 70 anni di trionfi: «La mia vita per il ciclismo»

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Davide Boifava, 70 anni, davanti alla  sua  azienda di Ponte San Marco col figlio Simone http://www.bresciaoggi.it/home/sport/ciclismo/boifava-70-anni-di-trionfi-la-mia-vita-per-il-ciclismo-1.5282348 Davide Boifava ha spento 70 candeline ieri sera, nella sua bella casa di Nuvolento insieme ai propri cari. La sua è una di quelle storie sportive-familiari-imprenditoriali che tutti gli uomini vorrebbero interpretare o scrivere e che lui ha saputo cucirsi addosso con abilità e impegno. di Angiolino Massolini Brescia Oggi, 15 novembre 2016 CRESCIUTO in una famiglia numerosa, Boifava si è avvicinato al ciclismo da giovane con la maglia della Pasinflex del presidentissimo Pasini . Dopo aver svolto attività giovanili ai massimi livelli vincendo il Trofeo L’Eco di Bergamo, il Trofeo Alcide De Gasperi, vestendo anche la maglia gialla al Tour de l’Avenir, è passato professionista nel 1969 con la Molteni, corazzata diretta da Giorgio Albani. È l’anno in cui debuttò pure Pierfr

The Velvet Revolution - Johan Cruyff, Ajax and the struggle for the soul of Dutch football

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https://www.theblizzard.co.uk/articles/the-velvet-revolution/ The Velvet Revolution Johan Cruyff, Ajax and the struggle for the soul of Dutch football  The Blizzard issue 14, September 2014 By Elko Born “This isn't Ajax anymore,” Johan Cruyff wrote in his De Telegraaf column in September 2010, venting his frustration after Ajax's Champions League performance against Real Madrid – a desperate 2-0 defeat at the Estadio Santiago Bernabéu. “Let me get to the point: this Ajax is even worse than the team from before Rinus Michels’s arrival in 1965.” Most people probably read the column and shrugged. They knew the legendary Number 14, they were used to his gezanik – the Amsterdam custom of complaining just to have something to chat about. What’s more, Cruyffie had gotten a bit sour. Angry about his dismissal from Barcelona, angry about the ways in which Ajax's suits had marginalised his status at his boyhood club – just as Sandro Rosell had done at Barcelona. He wa