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Contromano ai carri armati

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di ANDREA CAMILLERI la Repubblica, 4 maggio 2008 Da più di quindici giorni non sapevamo nulla di mio padre, rimasto a Porto Empedocle. Mia madre stava quasi impazzendo. Dopo lo sbarco alleato avevo visto passare dei marinai in ritirata e a qualcuno di loro avevo domandato notizie. Mi avevano concordemente risposto che Porto Empedocle era stata del tutto distrutta dai violenti bombardamenti e che i morti erano tantissimi. Non resistetti oltre.  Chiesi in prestito a mia zia Concettina la bicicletta che teneva in casa e partii con un mio cugino, Alfredo, di qualche anno più piccolo di me, e anche lui mancante di notizie dei suoi famigliari. Alfredo aveva una sua bicicletta, se l'era portata appresso quando era venuto a trovarci prima dello sbarco. Era una bicicletta di gran marca, costosa, della quale andava fiero. La mia, invece, era una Montante.  Che il viaggio, una cinquantina di chilometri, sarebbe stato perlomeno assai difficile, lo capimmo da subito, direi quasi dal primo centi