Post

Visualizzazione dei post da agosto, 2017

Gianluca Bortolami

http://www.museociclismo.it/content/articoli/11136-Gianluca-Bortolami/index.html Nato a Locate Triulzi (MI) il 28 agosto 1968. Passista veloce. Alto 1,80 m. per 74 kg. Professionista dal 1990 al 2005 con 35 vittorie. Grandi qualità sul passo, le brevi salite e uno spunto veloce degno, per il fondo a monte, di poter emergere su sprint a gruppi ristretti. In altre parole, un uomo da classiche. Questa è la sintesi estrema di Gianluca Bortolami, un corridore dal buon palmares che avrebbe potuto vincere di più se non avesse, spesso, incontrato sulla sua strada la sfortuna. A contribuire a frenare il proprio ruolino professionistico, anche un carattere accomodante, una certa introversione ed una disponibilità verso il gioco di squadra, che non avevano altri vincenti, molto meno dotati di talento rispetto a lui. Uno che esplose presto, prestissimo e che, forse, come molti, ha pagato l'unicità ciclistica nel suo rapporto con lo sport a livello giovanile. Basto citare che ad 11 anni vi

Adelante, con juicio. Il successo di un’azienda passa da scatole e bar

https://www.ilfoglio.it/economia/2017/08/24/news/adelante-con-juicio-il-successo-di-unazienda-passa-da-scatole-e-bar-149517/ “Azienda ricca, famiglia povera”. Dal nonno Giovanni che diceva di volere lasciare tutto allo zio prete fino a Gianluca. La storia di Carrera jeans, tra crisi e passaggi generazionali di Emmanuel Exitu Il Foglio, 24 agosto 2017 Il nonno Giovanni, che si occupava di tutt’altro, un pomeriggio fece il giro dei nipoti per dare l’imprinting a tutti: “Caro mio, ti voglio tanto bene perciò quando muoio andrà tutto allo zio missionario in Congo. Stai tranquillo che non ti lascio niente”. Gianluca Tacchella esplode con risata luccicante a cento denti, un gigante di 49 anni e quasi due metri con spalle e bicipiti in sospetto di palestra: “Così il nonno ci sistemò tutti. E quando a qualcuno il successo dava un po’ alla testa, cantilenava: ‘ azienda ricca, famiglia povera ’ ma soprattutto ‘attenti che chi cade dalla montagna si fa più male di quello che cade

¡Hasta la Vuelta, siempre!

Un quarto e tre secondi posti (l'ultimo nel 2016 fa fra Quintana e Chaves), e con essi la sensazione di incompiutezza, di lavoro non finito. Una sensazione da cancellare con una storica doppietta che manca da 39 anni e lo accumenerebbe a Jacques Anquetil '63 e Bernard Hinault '78, gli unici nella storia a vincere - nella stessa stagione - Giro di Francia e Giro di Spagna. Altri tempi, altro ciclismo: la Vuelta a España era in aprile e si correva in preparazione al Giro o al tour, dal 1995 è invece l'ultima grande corsa a tappe prima del mondiale. I big della generale ci sono tutti, tranne Landa e Quintana - il campione uscente - che ha fallito il doblete Giro/Tour piazzandosi però secondo nella corsa rosa. Correre tutti e tre i grandi giri, sarebbe stato troppo anche per il colombiano che con l'arrivo di Landa sembra sempre più lontano dalla Movistar. Ci sono Bardet e Barguil, rispettivamente terzo e maglia a pois al Tour, e Chaves, sul podio sp

Il capolinea inglese di Rooney

Immagine
http://blog.guerinsportivo.it/calcio/2017/07/10/il-capolinea-inglese-di-wayne-rooney di  Stefano Olivari   Abituati a leggere di nuovi acquisti che hanno sempre tifato per la squadra che li ha acquistati, con tanto di autoriduzione dell’ingaggio, dobbiamo segnalare i rari casi in cui queste situazioni corrispondono a verità. Uno di questi è quello di Wayne Rooney, appena tornato all'Everton dopo 13 anni al Manchester United, per indossare la maglia numero 10 che fu del suo idolo Duncan Ferguson.  Giocando per la squadra allenata da Ronald Koeman guadagnerà la metà, anche se ancora non si conoscono le cifre esatte, di quanto prendeva a Manchester e un quarto della più bassa offerta ricevuta dalla Cina: a quasi 32 anni è presto per andarsi a seppellire in un campionato minore, ma la sensazione è che Rooney non farà una scelta simile neppure a 40. Che cosa gliene importa dei "nuovi mercati"? Lui ha il suo. Rooney infatti non si può spiegare soltanto dal

NBA star LeBron James swipes at President Trump while calling for unity after Charlottesville tragedy

Immagine
Sntv -  16/08/2017 - 05:18 GMT Sandusky, Ohio, USA. 15 August 2017. LeBron James, Cleveland Cavaliers Forward "I know there's a lot of tragic things happening in Charlottesville, North Carolina . I just want to speak on it right now. I have this platform and I'm somebody that has a voice of command and the only way for us to get better as a society and for us to get better as people is love. And that's the only way we're going to be able to conquer something as one. It's not about the guy that's the so-called president of the United States , or whatever the case. It's not about a teacher that you don't feel like cares about what's going on with you every day. It's not about people that you just don't feel like want to give the best energy and effort to you. It's about us. It's about us looking in the mirror. Kids all the way up to the adults. About all of us looking in the mirror and saying,'What can we do better

Johnny “Red” Kerr, la grande freddura

Immagine
di CHRISTIAN GIORDANO In America li chiamano one-liners , barzellettieri. E nella categoria, Johnny Graham “Red” Kerr, forse il più citabile fra giocatori ed ex NBA, è stato uno degli interpreti più continui e convincenti. Ritenerlo però soltanto un comedian  mancato sarebbe fare un torto alla sua carriera di iron man . Per oltre undici stagioni non saltò neanche una gara: 844 consecutive, seconda striscia di sempre (ma allora un record), e avrebbe potuto essere più lunga se Paul Seymour,  il 4 novembre 1965, non l'avesse interrotta preferendogli, nel frontcourt dei Baltimore Bullets, Jim Barnes e Bob Ferry nella sconfitta di 11 contro i Boston Celtics. L'esclusione aveva sorpreso e deluso la squadra, ma coach Seymour si era poi difeso adducendo la presunta distorsione a una caviglia di Kerr, che invece l'ha sempre negata. A precisa domanda su che cosa lo avesse motivato negli undici anni senza saltare una partita, Johnny rispose à la Kerr: «Temevo che mia mog

HOOPS MEMORIES - Il segreto di SuperMikan

Immagine
https://www.amazon.it/Hoops-Memories-Momenti-basket-americano-ebook/dp/B01JAC2GTQ di CHRISTIAN GIORDANO © Rainbow Sports Books © Nato a Joliet, Illinois, nel 1924, George Mikan crebbe in una famiglia del vecchio mondo con le radici in Jugoslavia. I suoi genitori insistevano molto sull’importanza di una solida istruzione, e il giovane George prese otto anni di lezioni di piano a scuola. Alla fine, ricevette un diploma in pianoforte dal conservatorio, e la sua esperienza alla tastiera si rivelò altrettanto incommensurabile per George anche sul parquet. Per via delle sue dita sviluppò tali forza e destrezza, che sapeva controllare la palla sulle dita molto più facilmente della maggior parte degli altri giocatori. Sebbene fosse già 1.92 all’età di tredici anni, Mikan non giocò molto a basket alla high school. Dovette abbandonare una squadra di high school quando non lo lasciarono giocare con gli occhiali. Soffrì anche di una gamba fratturata che lo mise fuori squadra per un l

HOOPS PORTRAITS - Ray Felix, il gattone senza qualità

Immagine
di CHRISTIAN GIORDANO C’è stato un altro lungo col 19, ai New York Knicks, prima dell'unico, e solo, capitano Willis Reed. Nonostante la statura ufficiale di "soli" 210 cm, Ray Felix era visto come uno dei primi settepiedi della NBA. E in quanto tale, ha avuto in sorte il destino comune a tutti i freak (scherzi della natura) dell'epoca. I tifosi avversari, vedendoselo passare davanti con quella corsa fisiologicamente scoordinata, gli urlavano di tutto. «Mostro!», «Sce-mo, sce-mo», gli epiteti meno inurbani e più riportabili. Scherni in buona parte ancor più alimentati dalla sua goffa andatura. Quando rientrava in difesa, di lui si scorgevano più che altro le braccia che mulinavano nell'aria. Era sgraziato, di tanto in tanto inciampava e spesso finiva lungo disteso. In campo le cose non erano facili per lui. Fuori, persona sempre gentile e di spiccata sensibilità, sapeva farsi voler bene da tutti. Alla Metropolitan high school di Harlem, doveva gioc

HOOPS PORTRAITS - Paul Arizin, se questo è un uomo (da NBA)

Immagine
https://www.amazon.it/Hoops-Portraits-Ritratti-basket-americano/dp/1731583168/ref=tmm_pap_swatch_0?_encoding=UTF8&qid=&sr= di CHRISTIAN GIORDANO Supponete di trovarvi dinanzi ad un’ala NBA di appena 1.92 che ansima cercando di trattenere il fiato mentre corre su e giù per il campo come se fosse sempre alle prese con il fiatone. Probabilmente ci mettereste un po’ a prenderlo sul serio come minaccia offensivo, ma guai se quel giocatore era Paul Arizin dei Philadelphia Warriors. Arizin, uno dei più grandi realizzatori degli anni ’50, aveva una fistola (malformazione alla cavità polmonare) che in campo lo faceva respirare a fatica e tossire, ma che non inficiò mai il suo tiro. “Pitching Paul” chiuse la sua decennale carriera NBA a oltre 22 punti di media, vincendo per due volte la classifica marcatori. Fu il quinto uomo nella storia della Lega a segnare 10000 punti, traguardo raggiunto più velocemente di tutti.  Arizin guidò i Warriors al titolo NBA nel 1956 e disp

HOOPS PORTRAITS - Walt "The Bell" Bellamy, per chi suona il Campana?

Immagine
di CHRISTIAN GIORDANO I big men che viaggiano a 20 punti e 13 rimbalzi di media sono una rarità, nella NBA di oggi. E uno con quelle cifre per un arco di tredici anni, sarebbe considerato fra i grandi di tutti i tempi. Eppure Walt Bellamy, le cui statistiche quelle sono, non è stato un All-NBA. Ma la cronica sottovalutazione di Bellamy era in gran parte figlia della sua stessa epoca di giocatore. Bellamy irruppe nella Lega nel 1961, quando ad avere perennemente sotto chiave il ruolo di centro all'All-Star Game erano un paio di tipini di nome Bill Russell e Wilt Chamberlain. E il povero Bellamy era ancora in circolazione quando su quelle scene si presentò un certo Kareem Abdul-Jabbar. Allora ditelo. L'unico riconoscimento che Bellamy fece in tempo a cogliere, fu Rookie of the Year 1962. Prima scelta al draft 1961, Bellamy, 2,09 per 112 kg, pareva già destinato a una franchigia di espansione, i Chicago Packers. Ma la matricola uscita da Indiana University aveva ricevut

Slater Martin, piccola stella senza cielo

Immagine
di CHRISTIAN GIORDANO Molto prima di Calvin Murphy, Spud Webb, Tyrone "Muggsy" Bogues e, sic, Nate Robinson, era stato Slater Martin a dimostrare che nella NBA c’è posto anche per i piccoletti. Purché belli tosti.  Alla Jefferson High School di Houston, nel Texas, Martin era appena 1,69 quando condusse il liceo a due titoli statali consecutivi, 1942 e 1943. Al college, autodefinitosi “cannoniere” di 1,77, Martin lasciò i Longhorns della University of Texas dopo esserne diventato il top scorer all-time e col record della Southwest Conference di 49 punti segnati in una partita. Più che le sue medie realizzative, però, ad attirare i pro' era come difendeva. Martin marcava il miglior realizzatore avversario, e pazienza se quello lo sovrastava di quindici centimetri. Nel 1949 la corazzata Minneapolis Lakers lo arruolò per difendere contro i migliori frombolieri della lega, e poi per ricevere sugli scarichi della superstar, il centro George Mikan, e degli altr

MAESTRI DI BASKET - Bill Sharman, una vita da All-Star

Immagine
di CHRISTIAN GIORDANO  Provate ad immaginarvi uno che nel basket pro’ sia stato capace di vincere undici anelli: quattro come giocatore, tre da allenatore e quattro in veste di team executive.   Fatto? Bene, adesso immaginate che quei titoli li abbia vinti con quattro squadre diverse di tre leghe diverse.  Suona inverosimile? Può darsi, ma questi sono i traguardi tagliati da Bill Sharman. E il bello è che i suoi risultati valgono ben più delle sue “semplici” vittorie in campionato. Da giocatore, negli anni ’50, era stato una guardia di 1,87 incapace di schiacciare, ma anche un micidiale jump shooter per sette volte All-NBA, di cui quattro consecutive come Primo quintetto.  Ed è stato pure il miglior tiratore di liberi della sua epoca, come testimoniano i suoi sette titoli di categoria, tuttora record NBA, e la sua percentuale in carriera (88.3%), la terza di sempre. Ma, dote ancora più importante, è stato un grande clutch player . Per il coach dei Celtics Red Auerbach era l’uomo sul

HOOPS PORTRAITS - Gene Conley, battute di spirito

Immagine
https://www.amazon.it/Hoops-Portraits-Ritratti-basket-americano/dp/1731583168/ref=tmm_pap_swatch_0?_encoding=UTF8&qid=&sr= di CHRISTIAN GIORDANO Gli ex pitcher Ron Reed e Dave DeBusschere hanno giocato a livello professionistico per qualche anno sia a basket sia a baseball.  Bo Jackson ha trascorso un paio d’anni giocando nello stesso periodo a baseball e a football.  Ma dai tempi di Jim Thorpe il solo uomo a sfondare per davvero in due sport professionistici è stato Gene Conley, che in undici anni disputò diciassette stagioni di big league: undici nel baseball e sei nella NBA. E Conley è anche l’unico ad aver vinto il campionato in entrambi gli sport. Centro di 2.02 i cui punti di forza erano il saper andare a rimbalzo e far partire il contropiede, Conley era il rimpiazzo di Bill Russell nei Boston Celtics tre volte campioni NBA dal 1959 al 1961. Giocando anche come ala di riserva, Conley in quegli anni arrivò a scendere in campo fino a quindici minuti a partita, e po

«That's Two For McAdoo!»

Immagine
di CHRISTIAN GIORDANO © Uno dei soli otto giocatori NBA capaci di vincere la classifica marcatori almeno tre volte, Bob McAdoo ha contribuito a cambiare il ruolo del big man nel basket pro'. È stato uno dei primi centri rapidi, poco fisici, fin dai primi anni ’70. Incubo dei difensori di qualunque taglia, con il suo range quasi illimitato puniva il centro avversario attirandolo lontano dal canestro e se invece gli appiccicavano un piccoletto , dall'alto del suo 2,04 gli tirava in testa a visuale libera. Insomma, una sentenza. Quando, nel 1972, arrivò a Buffalo dalla University of North Carolina, si adattò controvoglia a giocare ala perché i Braves lo ritenevano troppo leggero per giocare pivot nella NBA. Ma pur giocando fuori posizione, fu Rookie of the Year a 18 punti a partita. L’anno seguente, i Braves cedettero il centro Elmore Smith e spostarono McAdoo nel mezzo. Bob rispose col titolo di capocannoniere a 30.6 di media e, pur tirando quasi la metà delle vol

HOOPS PORTRAITS - Ann Meyers, l’altra metà del (gancio) cielo

Immagine
https://www.amazon.it/Hoops-Portraits-Ritratti-basket-americano/dp/1731583168/ref=tmm_pap_swatch_0?_encoding=UTF8&qid=&sr= di CHRISTIAN GIORDANO Ann Meyers è cresciuta a San Diego con altri dieci fratelli e ben presto dovette abituarsi a competere contro i ragazzi, compreso il fratello maggiore Dave che giocò anche nella NBA. Al liceo, Ann era già abbastanza brava da diventare la prima donna di sempre a ricevere da UCLA una borsa di studio integrale per il basket. E la Meyers fece in modo di ripagare lautamente i Bruins guidandone la squadra quasi in ogni categoria e diventando la prima donna per quattro volte All-American nella storia del basket femminile. Da junior, nel 1978, guidò UCLA al titolo nazionale. In finale, nella vittoria per 90-74 su Maryland, Ann ebbe 20 punti, 10 rimbalzi, 8 recuperi e 9 assist, un’impressionante dimostrazione di gioco a tutto campo. Nota per la grinta e l’aggressività che esibiva in entrambe le estremità del campo, della Meyers venivano

Ernie "No D" Di Gregorio, il bel gioco dura poco

Immagine
di CHRISTIAN GIORDANO Non è mai accaduto che un giocatore irrompesse nella NBA in modo tanto straordinario quanto repentino come successo a un mago del ball-handling di appena 1.82 che risponde al nome di Ernie DiGregorio. “Ernie D”, prodotto locale uscito da Providence College, aveva già deciso all’età di cinque anni di voler giocare a basket per mestiere. Attraverso ore e ore di allenamento sui playground del vicinato, i suoi sogni sarebbero diventati realtà. Una realtà troppo, troppo effimera. Nonostante le centinaia lettere di college ricevute Ernie non ha mai neanche considerato l’eventualità di muoversi da casa. Il suo sogno era quello di frequentare lo stesso ateneo dei suoi idoli, le stelle di Providence Johnny Egan e Jimmy Walker. I Friars di coach Dave Gavitt erano quindi per lui una scelta obbligata e in tre anni di varsity DiGregorio, che pure viaggiò a 20.5 punti di media, si costruì una più che rispettabile fama per i sensazionali passaggi e soprattutto per l

HOOPS PORTRAITS - Connie Hawkins, Falco a metà

Immagine
https://www.amazon.it/Hoops-Portraits-Ritratti-basket-americano/dp/1731583168/ref=tmm_pap_swatch_0?_encoding=UTF8&qid=&sr= di CHRISTIAN GIORDANO Nato nel 1942 nel ghetto newyorchese di Bedford-Stuyvesant, a Brooklyn, con Connie Hawkins il Destino aveva giocato a carte truccate. In famiglia erano in sei figli e a neanche dieci anni si ritrovava senza padre e con la madre quasi cieca. Il rispetto di sé il ragazzo se lo guadagnò sui campi dei playground, dove ancora non si  spento il suo ricordo di leggenda. E al momento di andare al liceo era considerato il miglior giocatore di high school di tutta la City.  Hawkins guidò la Boys High School a due campionati cittadini e nel 1960 fu l'MVP dell'All-Star Game delle scuole superiori, gara che comprendeva senior (quarto e ultimo anno) di tutto il Paese. Nonostante il pessimo curriculum scolastico gli piovvero addosso offerte di borse di studio da oltre 250 college e lui scelse la University of Iowa. Ma poco dopo fu r