MAESTRI DI BASKET - Bill Sharman, una vita da All-Star
di CHRISTIAN GIORDANO
Provate ad immaginarvi uno che nel basket pro’ sia stato capace di vincere undici anelli: quattro come giocatore, tre da allenatore e quattro in veste di team executive.
Fatto? Bene, adesso immaginate che quei titoli li abbia vinti con quattro squadre diverse di tre leghe diverse.
Suona inverosimile? Può darsi, ma questi sono i traguardi tagliati da Bill Sharman. E il bello è che i suoi risultati valgono ben più delle sue “semplici” vittorie in campionato.
Da giocatore, negli anni ’50, era stato una guardia di 1,87 incapace di schiacciare, ma anche un micidiale jump shooter per sette volte All-NBA, di cui quattro consecutive come Primo quintetto.
Ed è stato pure il miglior tiratore di liberi della sua epoca, come testimoniano i suoi sette titoli di categoria, tuttora record NBA, e la sua percentuale in carriera (88.3%), la terza di sempre.
Ma, dote ancora più importante, è stato un grande clutch player. Per il coach dei Celtics Red Auerbach era l’uomo sul quale fare affidamento per la giocata giusta al momento giusto. In virtù delle sue doti di giocatore a tutto campo, Sharman è stato uno dei dieci giocatori nominati per la NBA Silver Anniversary Team del 1971, e in questo giochino di classifiche all time il suo è un nome che non manca mai.
Mai stato un giocatore scintillante, ma un suo tiro, in particolare, non sarà mai dimenticato. Nell’All-Star Game del 1955, col tempo che stava per scadere, lanciò un baseball pass dal suo canestro. Il passaggio, troppo alto per il destinatario Bob Cousy, finì dritto nella retìna per una realizzazione dal campo di 70 piedi (21.33 metri e spiccioli), la più lunga nella storia dell’All-Star Game.
Lasciato il basket nel 1961, a Sharman fu affidata la panchina dei Los Angeles Jets della neonata American Basketball League (ABL) ma le cose non andarono subito bene: la squadra fallì a metà stagione prima di rinascere dalle proprie ceneri ma come Cleveland Pipers. In un modo o nell’altro Sharman riuscì prima a tenere insieme i cocci del club e poi a vincere il titolo. Un doppio miracolo.
In seguito allenò per due anni i San Francisco Warriors, poi fece il salto nella American Basketball Association (ABA) dove nel 1971 portò al titolo gli Utah Stars. Dopo quel successo venne assunto come coach dei Los Angeles Lakers, una squadra ricca di talenti finalista per sette volte ma con ancora a secco di vittorie.
Bill riuscì a fondere quel gruppo di stelle facendone un blocco monolitico finalmente capace di vincere il titolo. Una delle innovazioni introdotte in allenamento dal nuovo tecnico fu la gara quotidiana di shootaround come inconsueto ma obbligatorio fuori programma.
Ma quella più rivoluzionaria fu un’altra. Quando Sharman annunciò alla squadra che intendeva inserire un allenamento alle 11 dello stesso giorno della partita Wilt Chamberlain replicò che a quell’ora non s’era ancora alzato. L’idea dell’allenamento di rifinitura mattutino però funzionò e oggi è una prassi comune per tutte le squadre.
È stato anche uno dei primi allenatori a studiare scientificamente gli avversari, per mettersi al riparo da eventuali sorprese; e a imporre alla squadra un sistema di multe e bonus per i ritardi, gli errori commessi o i canestri realizzati.
Nel 1976 passò dietro la scrivania per fare carriera nel front office dei Lakers. Fu anche tra coloro che contribuirono ad introdurre anche nella NBA il tiro da tre punti, forse l’unica eredità tecnica che si poteva attingere dalla defunta ABA. Come responsabile del mercato, fu anche l’artefice di molti scambi e degli ingaggi che avrebbero fatto dei gialloviola di Los Angeles una squadra dominante.
Si ritirò, da presidente, dopo il titolo del 1988 e con la voce quasi spenta da anni di urla contro gli arbitri. Gli unici avversari che non ha mai saputo battere.
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