John "Bud" Palmer, il pioniere del jumper in corsa

di CHRISTIAN GIORDANO

Figlio di "Lefty" Flynn (Flynn il mancino), eroe di un western muto ed ex stella del football a Yale, John "Bud" Palmer era destinato a una vita straordinaria. Californiano di Hollywood, classe 1921, e istruito alla boarding school Le Rosey in Svizzera e poi alla Phillips Exeter Academy, fu uno dei primi atleti a diventare un radiotelecronista sportivo di successo. All-American di lacrosse, calcio e basket a Princeton nei primi anni '40, fu sul parquet che trovò imperitura fama come pioniere del jumper in corsa.

Il semi-mitologico Angelo Luisetti di Stanford aveva già reso popolare il jump shot, ma "Hank" lo eseguiva da fermo. Palmer invece pensava che il tiro in sospensione potesse essere più pericoloso se fatto partire prima dell'arresto del tiratore. Il suo coach a Princeton, Cappy Capon, lo riteneva troppo rischioso. Quando però si accorse che Palmer la boccia la metteva eccome, coach Capon, che stupido non era, si adeguò.

Laureatosi nel 1944, quel dicembre Palmer si arruolò in Marina. Addestrato come pilota a Chapel Hill, North Carolina, giocò nella squadra di basket della Navy Air Corps e volò sui Caraibi. Congedato nel 1945, sposò Mary Le Blond a Cincinnati e l'anno dopo firmò con i New York Knicks della neonata Basketball Association of America.

Pur essendo arrivato a metà stagione, a 9,5 punti di media fu il top scorer dei suoi. Anche coach Neil Cohalan considerava il running jumper assai poco ortodosso e allo stesso modo la pensava Joe Lapchick, che l'anno dopo, il 1947, gli subentrò. Per il jumper in corsa e il suo "inventore" si annunciavano tempi duri. Ma quel tiro continuava ad andare dentro e Palmer, nono miglior marcatore, a 13,5 punti a partita (ai tempi un cifrone), trasformò anche Lapchick in un convinto assertore dell'efficacia del tiro in sopensione on the run.

Ala di 1,92, la stagione seguente fu nominato capitano (il primo nella storia dei Knicks) e segnò oltre 12 punti a partita. Ma a ventisette anni, nel prime della carriera, si ritirò per inseguire la carriera giornalistica televisiva, e contribuire a diffondere uno sport - mediaticamente - ancora agli albori. Ai tempi dei Knicks aveva già girato uno spot tv, il primo con un giocatore di basket. I suoi discorsi, sempre belli e articolati, e la parlantina sciolta ne facevano un talento naturale dell'etere.

Palmer sfondò subito. Cominciò con commenti di colore e continuò col play-by-play delle partite dei Knicks e di college al Madison Square Garden. Alla fine si ritrovò ad aver lavorato per tutti e tre i maggiori network statunitensi, ABC, CBS, NBC, coprendo football, golf e olimpiadi. E quando nel 1956 la CBS trasmise la prima Game of the Week della National Hockey League, diventò anche la prima voce dell'hockey per un network nazionale.

Nel 1965 Palmer cambiò un'altra volta strada. L'ennesima di un viaggio lungo 91 anni e finito per cancro alla prostata nel 2013 a West Palm Beach, in Florida, dove viveva dal 1997 con Bente Petersen, sposata in terze nozze nel 1980.

L'incarico di Commissioner per gli Eventi pubblici di New York City ne fece una sorta di cerimoniere ufficiale della città nei due mandati del sindaco John Lindsay. Muovendosi nei salotti buoni dei circoli sociali, ospitò celebrità da tutto il mondo. Poi, per sfuggire ai frenetici ritmi metropolitani, nel 1972 insieme con la seconda moglie Daisy Dyer O’Donnell, sposata nel 1954 e scomparsa per cancro nel 1977, si trasferì a Vail, nota località sciistica in Colorado e abituale sede di gare di Coppa del mondo. Nel 1976, diventato comproprietario dei Colorado Rockies, contribuì a portare a Denver una franchigia NHL, i Colorado Rockies.

A hockey ci aveva giocato da giovane, quando studiava in Svizzera, e l'esperienza gli sarebbe tornata utile anche in quell'esperienza in Colorado. Avventura finita però con la cessione, e il trasferimento della franchigia nel New Jersey. Uno dei rari fallimenti per il pioniere del jump shot in corsa. E del basket in tv.

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