Kurland, c’è chi dice no


di CHRISTIAN GIORDANO 

Bob Kurland era nato a St. Louis nel 1924 e a tredici anni misurava già 1.97. Pur non essendo un atleta naturale Bob ai tempi del liceo si avvicinò al basket e grazie al duro lavoro e alla continua crescita, migliorò tanto da riuscire a giocare, al college, per Oklahoma A&M (oggi Oklahoma State).

Da sophomore Kurland diventò prima titolare e poi, udite udite, All-American. Ebbe di media tredici punti a partita, ma lasciò il segno soprattutto per i sapienti passaggi, i blocchi sempre devastanti e le micidiali stoppate che rifilava a destra e a manca una volta appostato sotto i tabelloni.

Ma alla NCAA quella tattica di interferire a canestro portata a livelli di perfezione assoluta da Kurland (e dal grande George Mikan di De Paul), dava alquanto fastidio e così l’anno successivo mandò un arbitro ad osservarlo in una gara alla Oklahoma University. Il poveruomo, seduto su una piattaforma posta sopra il canestro, doveva da controllare che la mano di Kurland non andasse oltre il ferro. Al termine di quella stagione, a scanso di equivoci, la NCAA proibì la stoppata di un tiro in parabola discendente, giocata fino a quel punto consentita.

I più scettici avevano pronosticato che una tale modifica al regolamento sarebbe stata fatale per la carriera di Kurland. Ma si sbagliavano. Nonostante l’introduzione della regola di goaltending, nel 1944-45 Kurland ebbe la sua miglior annata e trascinata dal suo junior di 2.12 Oklahoma A&M conquistò il titolo nazionale. In finale contro NYU Kurland andò a segno 22 volte, chiudendo la stagione a 17 punti di media.

In un incontro di beneficenza per raccogliere fondi da destinare alla Croce Rossa, i campioni NCAA di Oklahoma A&M affrontarono De Paul, la vincitrice dell’allora più prestigioso NIT. Fu Oklahoma A&M a vincere, 41-38, mentre Kurland si aggiudicava (14-9) il confronto diretto con Mikan. Intimiditi dalla ferocia sotto canestro di Kurland, i ragazzi di De Paul si guardarono bene dall’entrare in area. Al tiro, però, non era serata: 16 su 96 dal campo.

L’anno seguente Oklahoma A&M rivinse il titolo, primo back-to-back di sempre a livello universitario e ad oltre 19 punti di media Kurland si laureò capocannoniere NCAA.

I pro gli offrivano ponti d’oro, e una squadra arrivò a garantirgli la favolosa somma di 60 mila dollari in cinque anni. Kurland rifiutò e andò a lavorare per la Phillips Petroleum di Bartlesville, sempre in Oklahoma. Non serve un genio dell’aritmetica per capire che uno più uno fa due: Kurland aveva la stoffa del bravo dirigente d’azienda e la Phillips aveva la miglior squadra di basket dilettantistica del Paese, i 66ers. E a quel punto sarebbe diventata quasi imbattibile.

Nel 1948 i Phillips 66ers batterono nei Trials olimpici i neocampioni in carica di Kentucky e alle Olimpiadi di Londra Kurland, in coppia con Alex Groza di Kentucky, guidò gli Stati Uniti a una comoda passeggiata verso la medaglia d’oro.

Quattro anni dopo, a Helsinki, regalò il bis, stavolta al fianco di un altro grande, Clyde Lovellette di Kansas. In finale, nulla poté la melina sovietica e gli americani, vittoriosi con un bassissimo 36-25, conquistarono ancora il più alto gradino del podio.

Vincere un secondo oro fu abbastanza per Bob, che ritornò alla sua scrivania nell’Oklahoma e mollò il basket che, a suo dire, non lo divertiva più. Bob Kurland, stella che nei pro avrebbe potuto fare sfracelli, non giocò mai a livello professionistico. Ma il suo posto nella Hall of Fame di Springfield se l’è più che guadagnato.

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