HOOPS PORTRAITS - Bob Davies, un grande avvenire dietro la schiena


di CHRISTIAN GIORDANO

Oggi il palleggio dietro la schiena lo diamo per scontato, è un fondamentale da ordinaria giornata in ufficio anche per i lunghi cui sia stato concesso anche solo un minimo di campo aperto. Ma fino agli anni quaranta una giocata del genere non si era mai vista.

A cambiare tutto questo fu il piccolo, piccolissimo Bob Davies. Guardia di 1,48 (!) sempre in panchina alla junior high, e forse non solo per la mini-statura, Davies rivisitò con il suo elegante palleggio un movimento già esibito - con un gesto tecnico simile, ma al rallentatore - da Angelo "Hank" Luisetti, l'inventore del jump shot.

Bob cominciò a esercitarsi su quel movimento ma a velocità sempre più sostenute. Dopo tre anni di prove esibì, nella sua ultima stagione alla John Harris di Harrisburgh, Pennsylvania, quello che sarebbe diventato il suo amrchio di fabbrica. 

Al college, a Seton Hall University via-Franklyn & Marshall, ci finì però con una borsa di studio come interbase nel baseball, e poi firmò un'opzione con i Boston Red Sox per giocare professionista con loro una volta terminato il quadriennio di studi. Nel basket, invece, era considerato uno dei tanti. Guidò la squadra delle matricole a una storica vittoria sulla prima squadra e presto, cresciuto fino all'1,82 e al poi definitivo 1,84, sarebbe diventato uno dei migliori "materiali" da backcourt del Paese.

Col palleggio dietro la schiena esibito almeno una volta a partita Davies, All-American nel 1941 e nel 1942, esaltava le folle. Ma "Harrisburgh Houdini" era anche un signor giocatore capace di trascinare i Pirates di SHU a 43 vittorie consecutive dal 1939 al 1941. Non c'è da stupirsi quindi se a precisa domanda su quale fosse all'epoca la sua tattica offensiva il suo coach, l'Hall-of-Famer Honey Russell, rispondeva laconico: «Dare palla a Davies, eccolo il mio attacco».

Quando l'Houdini di Harrisburgh sciorinò il palleggio dietro la schiena al Madison Square Garden di New York, nel marzo 1941, ne diventò all'istante il padre fondatore. Ma nei pro' quel nuovo fondamentale non sarebbe stato accolto con lo stesso entusiasmo con cui invece lo avevano salutato i 18.043 presenti ai quarti dello storico NIT del '41.

Uscito da Seton Hall nel 1942, Davies prestò tre anni di servizio in Marina durante la Seconda guerra mondiale ma non smise di giocare (Brooklyn Indians 1942-43, Brooklyn Gothams 1943-44). Con i Great Lakes Naval Training Station finì 34-3 prima di imbarcarsi per il fronte. E dopo il congedo passò professionista nel basket con i Rochester Royals della NBL, la lega dalla cui fusione con la BAA sarebbe nata nel 1949 la NBA.

L'anno dopo il college, prima di firmare di arruolarsi, tornò a Seton Hall come allenatore di basket e baseball. Il doppio ruolo gli fruttava la cifra, ai tempi vertiginosa, di 15.000 dollari l'anno, ma anche gli avrebbe richiesto un discreto logorio fisico e mentale. Una volta dovette adattarsi a dormire in treno per tredici notti filate, ma le sue squadre sembravano non risentirne: mentre giocava nei Royals, da allenatore dei Pirates chiuse sul 24-3 la stagione 1946-47.

In campo però l'unico motivo di frustrazione era il rifiuto dei coach e dei proprietari delle franchigie di lasciarlo palleggiare dietro la schiena. Nell'ambiente era convinzione diffusa che quella giocata servisse più che altro a irridere gli avversari, e ci vollero anni prima che le cose cambiassero.

Davies però nel basket ci sarebbe rimasto abbastanza a lungo da prendersi parecchie rivincite. In dieci stagioni da pro', il futuro Hall-of-Famer fu quattro volte All-Star e sette volte all-league e vinse due campionati. E il sue numero 11 è stato ritirato sia a Seton Hall sia dai Sacramento Kings (ex Rochester Royals). Nel 1951, in gara7 delle Finali NBA contro i New York Knicks, firmò un ventello e la giocata decisiva: all'ultimo minuto, in entrata a canestro, subì fallo da Dick McGuire e poi infilò i due liberi del titolo.

Nel tiro però era un tradizionalista, e per tutta la carriera mai avrebbe derogato dal classico piazzato. In quanto a ballhandling, invece, col suo passaggio dietro la schiena era stato un pioniere. E il miglior testimonial del motto che nella vita per andare avanti non bisogna mai voltarsi indietro.

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