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Visualizzazione dei post da gennaio 21, 2020

Tour '87, storico e spettacolare

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Roche fa l'andatura verso Millau http://oldforum.cicloweb.it/viewthread.php?tid=5606 Fu il Tour più combattuto degli ultimi 20 anni. Giusto 20 anni fa. Ancora più di quello del 1989. Quando alla penultima tappa erano ancora in tre in corsa... per vincere. La scampò Stephen Roche , che fece doppietta per poi andare a prendersi il tris al mondiale.  Il Tour 1987, storico e spettacolare. Già durante la fine del 1986 la Grand Boucle chiudeva due ere. Mancava Hinault che aveva chiuso col ciclismo proprio alla fine di quell’anno. Ma anche a livello organizzativo ci furono novità. Félix Lévitan, storico ‘condirettore’ andò in pensione. Rimaneva Goddet, che avrebbe continuato ancora per due anni, ma la sua ormai era solo presenza. A dirigere il Tour arriva Xavier Louy con l’aiuto di Francois Naquet Radiguet . I due perfezionano qualcosa a cui Goddet e Lévitan hanno lavorato da anni. Far partire il Tour da Berlino [Ovest], in piena ‘guerra fredda’. E così fu. Il percorso c

We look back at Stephen Roche’s bronze medal ride in the 1983 World Pro Champs

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http://www.stickybottle.com/latest-news/we-look-back-at-stephen-roches-bronze-medal-ride-in-the-1983-world-pro-champs/ Stephen Roche winning stage 2 of the Health Race Rás Tailteann from Longford to Westport in 1979 from Denis Brennan.  He would win the race overall aged just 19 years, competing with a strong Irish Cycling Federation selection that also included Tony Lally, John Shortt, Ollie McQuaid and Alan McCormack.  His last big outing for Ireland as an amateur was the 1980 Moscow Olympics and the following year, 1981, he would turn pro with Peugeot. He immediately beat Bernard Hinault for his first pro win at the Tour of Corsica.  Just two months into his pro career, he would win Paris Nice, with Sean Kelly winning the following seven editions of that race. Roche continued to blaze the trail and in 1983 won a series of huge races before taking bronze at the World Championships in Switzerland at the end of that season.  (Photo with thanks to Eddie Dawson h

HOOPS MEMORIES - Il sabbatico di Barry: il riposo del Guerriero

https://www.amazon.it/Hoops-Memories-Momenti-basket-americano-ebook/dp/B01JAC2GTQ di CHRISTIAN GIORDANO © Rainbow Sports Books © Quando nel 1965, con i San Francisco Warriors, Rick Barry irruppe nel basket pro, erano in parecchi a dubitare che avrebbe segnato come era solito fare alla University of Miami (29.8 PPG). Barry era molto esile, 1.99 ma per appena 90 kg, e se il suo talento era incontestabile, a lasciare perplessi era la sua capacità di far fronte al martellamento fisico che avrebbe sicuramente subito misurandosi a livello professionistico. Ma queste perplessità scomparvero immediatamente con Barry che alla sua prima stagione andò oltre i 25 di media e vinse il Premio di Rookie of the Year. L’anno seguente, esplose a più di 35 punti a partita che lo laurearono capocannoniere NBA. Trascinati da Barry in attacco e dal roccioso Nate Thurmond sotto i tabelloni, i Warriors si erano spinti sino alle finali NBA, ma poi avevano dovuto arrendersi agli irresistibili 76ers di

HOOPS MEMORIES - Issel a Kentucky, casa dolce casa

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https://www.amazon.it/Hoops-Memories-Momenti-basket-americano-ebook/dp/B01JAC2GTQ di CHRISTIAN GIORDANO © Rainbow Sports Books © Dan Issel ha giocato a livello pro per sedici anni, undici dei quali a Denver. Ma se fosse dipeso da lui, la sua carriera l’avrebbe trascorsa tutta nel Kentucky. Nato a Batavia, nell’Illinois, nel 1970 Issel era un All-American di 2.04 della University of Kentucky con in tasca la certezza di essere una prima scelta al draft dei pro. Il punto era: di quale draft? Il primo in ordine cronologico era quello della ABA e lì Issel fu chiamato da Dallas. Ma l’ex Wildcat dichiarò che il solo modo di farlo giocare nella ABA era che ci fosse una franchigia a Louisville, appunto nel Kentucky. Neanche il tempo di cantare My Old Kentucky Home e Louisville non solo aveva una squadra, i Kentucky Colonels, ma anche i diritti su Issel. Dan era così entusiasta di rimanere nel Kentucky da firmare un contratto di cinque anni per meno di 500 mila dollari prima anc

HOOPS MEMORIES - Elgin Baylor, rookie a chi?

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https://www.amazon.it/Hoops-Memories-Momenti-basket-americano-ebook/dp/B01JAC2GTQ di CHRISTIAN GIORDANO © - Rainbow Sports Books © Considerato da molti la più grande ala di sempre ad aver mai giocato questo sport, Elgin Baylor cominciò ad apprendere i suoi movimenti sui campi di Washington, DC [District of Columbia]. Già dai tempi del liceo aveva mostrato il suo eccellente controllo del corpo che rendeva le sue entrate a canestro diverse da quelle di qualsiasi altro giocatore visto prima di lui. Poteva galleggiare in aria più a lungo e tirare meglio da una posizione fuori equilibrio di chiunque altro. Ma nonostante queste doti, Baylor quasi si lasciò sfuggire l’opportunità di giocare a livello di college. Al liceo, Elgin non era un bravo studente. Si era ritirato per un po’ e lavorava in un magazzino di mobili, giocando a pallacanestro di sera per divertimento. Baylor tornò a scuola e si diplomò, ma non con il tipo di voti che gli avrebbero permesso di entrare in molt

HOOPS MEMORIES - "Big" Wilt ha detto stop

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https://www.amazon.it/Hoops-Memories-Momenti-basket-americano-ebook/dp/B01JAC2GTQ di CHRISTIAN GIORDANO © - Rainbow Sports Books © L’arrivo di Wilt Chamberlain nella NBA, nel 1959, era un evento annunciato sin dal suo secondo anno di high school alla Overbrook HS di Philadelphia. Durante i tre anni a Kansas, era cresciuto fino a 2.14 e in più si era costruito una solidissima reputazione di potenziale superstar che sarebbe sicuramente esplosa nei pro. Wilt però sorprese tutti. Anziché tornare a Kansas per il suo anno da senior, Chamberlain giocò per un anno negli Harlem Globetrotters e là affinò sia il ballhandling sia il tiro.  Ma c’erano pochi dubbi sulla squadra per la quale avrebbe giocato nella NBA. Il proprietario dei Philadelphia Warriors, Eddie Gottlieb, aveva convinto la lega ad espandergli il raggio della cosiddetta territorial draft pick , la scelta con la quale, per motivi di cassetta, le franchigie potevano reclutare i migliori talenti delle università lim

HOOPS MEMORIES - Dolph Schayes, l'Hall-of-Famer perso per mille dollari

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https://www.amazon.it/Hoops-Memories-Momenti-basket-americano-ebook/dp/B01JAC2GTQ di CHRISTIAN GIORDANO © Rainbow Sports Books © Nel 1948, c’erano due leghe professionistiche in competizione sulla ribalta del basket pro: la National Basketball League e la Basketball Association of America. Prima che le due leghe si fondessero per dar vita, l’anno seguente, alla NBA, le squadre della BAA controllavano le spese adottando per i salari dei giocatori al primo anno un tetto di 6000 dollari. Tale limite fu messo a dura prova nella primavera del 1948 quando i New York Knicks della BAA cercavano di ingaggiare il 2.02 Dolph Schayes, un prodotto locale che dopo aver fatto faville alla NYU era già popolare fra i frequentatori del Madison Square Garden. Rappresentato dal padre, Schayes voleva e valeva più di sei mila dollari e, infatti, gliene furono offerti 7000 dai Syracuse Nationals della NBL. Schayes figlio avrebbe preferito rimanere a New York, ma il proprietario dei Knicks Ned

HOOPS MEMORIES - Russell vs Chamberlain, il mio miglior nemico

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https://www.amazon.it/Hoops-Memories-Momenti-basket-americano-ebook/dp/B01JAC2GTQ di CHRISTIAN GIORDANO © - Rainbow Sports Books © Negli anni Sessanta, in America, non c’è stato matchup migliore, a livello di sport professionistici, di quello tra Bill Russell dei Celtics e Wilt Chamberlain, che in NBA giocò prima nei Warriors, poi nei 76ers e infine nei Lakers. Mentre il secondo puntualmente dominava la classifica cannonieri, stabilendo strada facendo record su record, il primo in un modo o nell’altro trovava sempre un sistema per vincere l'anello. I loro duelli erano un classico, specie durante i playoff. Per otto volte le loro squadre si sono incontrate in recite post-stagionali, e per sette volte sono stati i Celtics di Russell ad arrivare in cima. I media spesso appiccicavano addosso a Chamberlain l’ingenerosa etichetta di “perdente”, e gli appassionati di basket credevano che i due grandi centri si stessero, nel migliore dei casi, cordialmente antipatici.

HOOPS MEMORIES - Per un pugno da 60 mila dollari

https://www.amazon.it/Hoops-Memories-Momenti-basket-americano-ebook/dp/B01JAC2GTQ di CHRISTIAN GIORDANO © Rainbow Sports Books © Il pugno più devastante della storia del basket fu sferrato il 9 dicembre 1977 in un Lakers-Rockets al Forum di Los Angeles. All’inizio del terzo quarto Kevin Kunnert, centro di 2.12 di Houston, e Kermit Washington, ala gialloviola di 2.02, si scontrarono sotto le plance. Mentre l’azione proseguiva con le due squadre che si muovevano verso il canestro opposto, i due si attardarono prima per strattonarsi a vicenda e poi per cominciare a darsele per davvero. Washington mollò un cazzotto che tramortì Kunnert e questi si accasciò sul parquet coprendosi con le mani il volto. Nel frattempo l’ala (anch’egli) di 2.02 Rudy Tomjanovich, capitano e miglior giocatore dei Rockets, tornò indietro di corsa per soccorrere il compagno. Ma “Rudy T” non fece in tempo ad arrivare sulla scena del misfatto che Washington si girò e gli mollò una sventola di destro al v

HOOPS MEMORIES - Al Attles, duro da morire

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https://www.amazon.it/Hoops-Memories-Momenti-basket-americano-ebook/dp/B01JAC2GTQ di CHRISTIAN GIORDANO © Rainbow Sports Books © Una delle migliori guardie difensive di sempre, Alvin (Al) Attles, nonostante la mini-stazza (1,82 x 83 kg), sapeva svolgere un superbo lavoro di contenimento sulle più forti shooting guard avversarie. Una di queste, l’ Hall-of-Famer Lanny Wilkens, una volta gli fece il quadretto: «Al non è che giocava sporco, ma ti stava sempre addosso come un guanto». Un Gary Payton ante litteram, insomma.  Attles ha giocato nei Warriors della NBA per undici anni, pur essendo un marcatore tutt’altro che eccelso (11 punti a partita in carriera). Ma se ci è riuscito è perché recuperava molti più palloni di quanti ne perdeva, perché non danneggiava la squadra prendendosi brutti tiri e perché era bravo a smarcarsi velocemente per ricevere palla in attacco. E poi era senza eguali negli aspetti più ruvidi del gioco, il cosiddetto lavoro sporco. In campo Attles

HOOPS MEMORIES - Billy “The Hill” McGill, giù dalla collina

https://www.amazon.it/Hoops-Memories-Momenti-basket-americano-ebook/dp/B01JAC2GTQ di CHRISTIAN GIORDANO © Rainbow Sports Books © Nella primavera del 1962, chiusa sul 18-62 la loro prima stagione NBA, gli Chicago Zephyrs avevano la prima scelta al draft. Fra le stelle del college disponibili c’erano i futuri fuoriclasse nei pro Zelmo Beaty, Dave DeBusschere e John Havlicek. Ma con la primissima pick, il coach di Chicago Jack McMahon selezionò Billy “the Hill” McGill. Centro di 2.04 uscito da Utah, McGill era stato capocannoniere a 38.8 punti di media, all’epoca la seconda di sempre a livello universitario. Cresciuto in un ghetto di Los Angeles, “Bill the Hill” – soprannome affibbiatogli in decima classe da un giornalista che vide una montagna di 2.02 sferrare conclusioni virtualmente inarrestabili, perché eseguite sopra la testa degli avversari – trascinò la Jefferson High School al titolo cittadino in tre dei suoi quattro anni di varsity. McGill aveva un gancio in sospen

HOOPS MEMORIES - Hank Luisetti, il primo a una mano

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https://www.amazon.it/Hoops-Memories-Momenti-basket-americano-ebook/dp/B01JAC2GTQ di CHRISTIAN GIORDANO © Rainbow Sports Books © Fino a metà degli anni ’30, ai giocatori si insegnava che il pallone andava tirato con tutte e due le mani e in pochissimi avevano la voglia (e la personalità) di sfidare l’allenatore facendolo con una sola. Poi, improvvisamente, un affascinante soggetto di nome Angelo “Hank” Luisetti si trasferì dall’Ovest con in testa un’idea rivoluzionaria. E da allora il gioco del basket non sarebbe stato più lo stesso. Luisetti era la star di 1.90 che aveva fatto di Stanford una potenza di livello nazionale e che aveva introdotto il tiro a una mano, fatto partire spingendo il pallone da sotto, anche alle squadre universitarie della East Coast. Nato nello stesso quartiere di San Francisco da cui proveniva Joe Di Maggio, Luisetti aveva incominciato a giocare a basket all’età di sei anni, ma fu all’high school che cominciò a fare il pazzo con quel suo strano

HOOPS MEMORIES - Randy Smith, questo è un lavoro per Iron-Man

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https://www.amazon.it/Hoops-Memories-Momenti-basket-americano-ebook/dp/B01JAC2GTQ di CHRISTIAN GIORDANO © Rainbow Sports Books © Uno dei più grandi atleti (nel senso più estensivo del termine) ad aver mai giocato nella NBA, Randy Smith andò al liceo a Bellport, stato di New York, e alla Buffalo State University come grande promessa dell’atletica.  Secondo l’allenatore della squadra di basket della scuola, pare che Smith non avesse mai neanche praticato quello sport. Ma ben presto Randy sarebbe esploso anche come ottima ala di 1.90, oltre che nel salto in alto e nel salto triplo. Ah, a proposito: nel tempo libero fu anche All-America di calcio.  Quando i Buffalo Braves impiegarono la loro settima pick per sceglierlo al draft del 1971, si pensò si trattasse più che altro di un atto di pubbliche relazioni, e lo stesso general manager dei Braves Eddie Donovan in seguito ammise che mai e poi mai si sarebbe aspettato che Smith riuscisse a “fare” la squadra. Ma coach Dolph Schayes r

HOOPS MEMORIES - Ron Boone, scusate se resisto

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https://www.amazon.it/Hoops-Memories-Momenti-basket-americano-ebook/dp/B01JAC2GTQ di CHRISTIAN GIORDANO © Rainbow Sports Books © Se è vero che la striscia di Randy Smith di 906 gare consecutive è il record NBA ufficiale, la striscia più lunga del basket pro appartiene invece a Ron Boone, che non saltò neanche una delle sue 1041 partite in carriera. Ma siccome oltre la metà di queste furono giocate nella ABA, l'impresa di Boone non viene riconosciuta nel record book di The League . Ma quello potrebbe essere il solo posto in cui Boone non è ricordato come il campione più resistente di tutti i tempi. Ron afferma di non aver mai saltato una gara in vita sua sin dalla quarta classe quando a Omaha, nel Nebraska, prese in mano per la prima volta un pallone da basket. A Idaho State ebbe di media 20 punti a partita, ma essendo 1.87 non veniva considerato fra i prospetti migliori. Scelto all'ottavo giro del draft ABA 1968 dai Dallas Chaparrals e all'undicesimo di quello NBA

HOOPS MEMORIES - Trotters, i ragazzi dello stadio di Berlino

https://www.amazon.it/Hoops-Memories-Momenti-basket-americano-ebook/dp/B01JAC2GTQ di CHRISTIAN GIORDANO © Rainbow Sports Books © Nel 1951 gli Harlem Globetrotters stavano compiendo un tour internazionale cominciato al Rose Bowl di Pasadena, in California, dove avevano stabilito il nuovo record nazionale di spettatori (oltre 31000) per una partita di basket. In Brasile avevano fatto addirittura meglio richiamandone oltre 50 mila, prima di spostarsi in Europa. Con la Guerra Fredda ormai in fermento, i Globetrotters incontrarono in Francia uno strisciante ma diffuso sentimento di antiamericanismo, ma era niente al confronto di quanto sarebbe accaduto di lì a poco in Germania.  Là il pugile americano “Sugar Ray” Robinson aveva da poco sostenuto un match che aveva esacerbato l’antagonismo verso l’America, e i primi lanci di bottiglie degli spettatori erano sfociati in violenti tafferugli. Per stemperare le tensioni l’Alto Commissariato degli Stati Uniti per la Germania, nella per

HOOPS MEMORIES - Bill Russell ai Celtics: Manifest Dynasty

https://www.amazon.it/Hoops-Memories-Momenti-basket-americano-ebook/dp/B01JAC2GTQ di CHRISTIAN GIORDANO © Rainbow Sports Books © Bill Russell è considerato il centro che rivoluzionò la pallacanestro negli anni ’50 e ’60, dando ampio risalto alla difesa ed elevando il fondamentale della stoppata ad autentica forma d’arte. Centro di 2.04 proveniente dall’Università di San Francisco, Russell giocò nella NBA per tredici anni, tutti con i Boston Celtics, e undici di quelle tredici squadre dei Celtics vinsero il campionato. Ma oltre ai Celtics Russell, dopo aver condotto i Dons a due titoli NCAA vinti back-to-back nel biennio 1955-56, avrebbe potuto benissimo giocare per altre squadre: perché nel draft NBA della primavera del 1956, i Celtics avevano la chiamata numero sei. Alla vigilia del draft Russell aveva annunciato che, prima di passare professionista, in autunno avrebbe giocato a Melbourne nella squadra olimpica degli Stati Uniti. Questo significava che qualsiasi squadra vol