HOOPS MEMORIES - Scandalo all’ombra


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di CHRISTIAN GIORDANO ©
Rainbow Sports Books ©

La più devastante bufera mai scoppiata nella pallacanestro accadde nel gennaio 1951 quando a Junius Kellogg, il centro al secondo anno a Manhattan College, vennero offerti 1000 dollari perché partecipasse alla combine di una partita contro De Paul. Invece di intascare la bustarella Kellogg si finse interessato, informò il suo coach Kenneth Norton e prestò la propria collaborazione per la cattura delle persone coinvolte.

Manhattan vinse l’incontro 62-59 e alcune ore dopo, con l’accusa di corruzione e di collusione, la polizia arrestò cinque uomini: tre scommettitori e due compagni di squadra di Kellogg. Uno dei giocatori, Henry Poppe, confessò subito di aver venduto delle partite nel corso delle due stagioni precedenti, ammissione che portò immediatamente ad un supplemento di indagini da parte del Procuratore Distrettuale di Manhattan Frank Hogan.

Entro il 1953, quando Hogan e il grand jury (la giuria speciale che decide se qualcuno debba essere rinviato a giudizio, nda) portarono a compimento il loro lavoro, oltre trentadue giocatori di sette atenei finirono arrestati. Furono accusati di associazione a delinquere finalizzata alle scommesse clandestine e dalle indagini emerse che nell’arco di quattro stagioni erano state combinati i punteggi di quasi un centinaio di partite in ventitré città di diciassette Stati. In genere il sistema era questo: ai giocatori non veniva richiesto di perdere intenzionalmente gli incontri, ma di vincerli sotto il cosiddetto point spread, lo scarto fissato dagli scommettitori.

Quattro dei sette istituti coinvolti appartenevano all’area di New York, tra questi anche il City College, che nel 1950 aveva vinto i tornei NCAA e NIT battendo in entrambe le finali la Bradley University. Tutti e cinque i titolari di City College vennero arrestati e lo stesso accadde a tre giocatori della Bradley.

Sulle prime il coach di Kentucky Adolph Rupp si era indignato: “Non potevo avvicinare i nostri ragazzi neanche con un’asta lunga tre metri”. Ma una volta che il polverone si era diradato si scoprì che in tanta melma la più invischiata era proprio Kentucky, e i suoi All-American Alex Groza e Ralph Beard furono addirittura tra gli arrestati.

Alla fine un totale di venti giocatori furono giudicati colpevoli di aver perso deliberatamente degli incontri o di aver preso parte al fixing degli scarti. Alcuni finirono in prigione, ma la maggior parte pagò con la squalifica. Gli scommettitori coinvolti finirono invece in carcere.

Quasi tutti i giocatori coinvolti furono espulsi dalle rispettive università. Alcuni vennero poi riammessi ma non fu più consentito loro di scendere in campo in competizioni universitarie. Quelli che invece erano già passati professionisti furono radiati dalla NBA, compresi Groza e Beard, che già ne erano diventati delle stelle affermate. La star della Long Island University Sherman White, considerato nel 1951 il miglior giocatore del Paese, dovette accontentarsi di giocare a livello professionistico in una lega minore della Eastern Conference.

City College e Long Island University per un certo periodo esclusero la pallacanestro dal loro programma sportivo, mentre Kentucky dovette star ferma un anno per via della squalifica impostale dalla NCAA. Ma gli altri quattro istituti coinvolti, Manhattan, NYU, Bradley e Toledo, continuarono a svolgere regolarmente i loro programmi agonistici.

Quello scandalo fu un’autentica pugnalata al cuore del college basketball, e specialmente per il Madison Square Garden, arena per la quale molti atenei lamentavano una sorta di boicottaggio tacitamente messo in atto dalla NCAA. Viceversa, la NBA beneficiò, in termini di popolarità, di un gigantesco rilancio perché tanti appassionati, delusi dal marcio che c’era a livello universitario, cominciarono a rivolgere la propria attenzione al mondo dei pro. E se a livello di college il basket sarebbe comunque sopravvissuto, con l’attività professionistica stava almeno recuperando quella credibilità che gli eventi del Garden parevano avere irrimediabilmente compromesso.

Lo scandalo sarebbe anche potuto non scoppiare mai se i rettori dei college e i coach non ne avessero letto correttamente i pur chiari sintomi.

Non più tardi del 1943 c’erano state evidenti avvisaglie che scommettere sul college basketball stava diventando, per il gioco stesso, assai pericoloso. Al NIT di quell’anno uno spettatore scese di corsa dalle tribune fin sul parquet del Madison Square Garden per dare un bacio ad un giocatore di Utah che all’ultimo secondo aveva realizzato un (non decisivo) canestro contro Kentucky. I Wildcats erano ampiamente in vantaggio e avrebbero vinto in tutta tranquillità ma il canestro di Utah ridusse lo scarto a 8 punti, guarda caso una differenza inferiore al margine di dieci stabilito dagli scommettitori. Da quanto trapelò in seguito, pare che da quel tiro apparentemente così insignificante lo spettatore-scommettitore del bacio avesse tirato su la bella somma di 15000 dollari.

Nel 1944 l’allenatore di Utah Vadal Peterson stese uno scommettitore che si era introdotto nella stanza d’albergo del coach per chiedergli a brutto muso: “Quanto costerebbe avere Utah perdente con Dartmouth nella finale NCAA?” La risposta con cui Peterson l’apostrofò non è stampabile, ma quel tentativo avrebbe dovuto destare preoccupazioni di gran lunga maggiori di quanto in effetti fece. L’Hall-of-Famer Phog Allen, che allenava Kansas, dichiarò che ai rettori dei college serviva una sorta di garante che governasse lo sport di college. Se no, ammonì, “Qualcuno di questi universitari che non ha mai visto certe somme si venderà e questo provocherà uno scandalo che farà un puzzo tale da farci soffocare tutti”. Nostradamus, al confronto, era un pivellino.

Nel gennaio 1945 ci fu un altro segnale di come la profezia di Allen fosse quanto mai azzeccata. La polizia di New York stava indagando sulle sospette attività di un ladro di nome Henry Rosen quando degli agenti in servizio notarono due giovani, Bernard Barnett e Larry Pearlstein, che entravano in casa sua e pensando si trattasse di altri ladri decisero di affrontarli. Barnett e Pearlstein non erano ladri ma giocatori di basket camuffati, e così all’arrivo della polizia andarono subito nel panico. Entrambi ammisero subito che Rosen li aveva pagati 1000 dollari che i due si sarebbero spartiti con altri tre membri della squadra di Brooklyn College.

Rosen avrebbe poi confessato di come il prossimo impegno contro Akron University fosse già stato “deciso”. La comitiva di Akron si sciroppò ugualmente le 700 miglia (1120 km) di viaggio necessarie per presentarsi all’incontro che poi, all’arrivo della squadra, fu invece cancellato. I tre giocatori della Brooklyn ammisero di aver preso soldi dagli scommettitori e tutti e cinque furono espulsi dall’ateneo. Solo in seguito si apprese che uno studente di nome Pearlstein non era stato mai neanche immatricolato.

Ai giocatori non furono addossate responsabilità penali, ma Rosen e un altro complice vennero condannati per associazione finalizzata alla truffa e alla frode, sentenza da scontare con un anno nel penitenziario statale e il pagamento di una multa di 500 dollari.

Nel 1949, un giocatore della George Washington University riferì di un tentativo di corruzione che portò all’arresto e alla condanna di quattro scommettitori. Ma anche questi vennero visti più come fatti isolati che come segnali del ben più grosso scandalo previsto da Allen e che nel 1951 sarebbe esploso sulle prime pagine dei giornali. Chissà, se qualcuno avesse dato retta alle sue parole forse i giorni più bui di tutta la storia del college basketball si sarebbero potuti evitare. Del resto, perché stupirsi: la gente la verità preferisce non saperla.

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