HOOPS MEMORIES - I miracoli di Notre Dame

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di CHRISTIAN GIORDANO ©
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Nel gennaio 1971, con 47 vittorie in fila UCLA inseguiva il record NCAA di 60 vittorie consecutive stabilito negli anni ’50 dalla University of San Francisco. La striscia dei Bruins ebbe però fine a South Bend, nell’Indiana, quando Austin Carr segnò 46 punti nel sorprendente successo di Notre Dame per 89-82.

La squadra di John Wooden, guidata dall’ala All American Sidney Wicks e dalla guardia Henry Bibby (il padre di Mike) e con Steve Patterson nel mezzo, stava galleggiando tra due epopee: quella appena terminata di Lew Alcindor e quella ormai prossima a venire di Bill Walton. I Bruins ricominciarono subito un’altra striscia vincente e intanto che si riavvicinavano al record di USF, Wicks, Bibby e Patterson venivano rimpiazzati dalla cosiddetta “Walton Gang”, che accanto a “Big Red” schierava Keith Wilkes, Larry Farmer, Greg Lee e Larry Hollyfield. 

Il caso volle che la gara numero 61, quella che poteva significare il record, fosse in programma, il 28 gennaio 1973, proprio a South Bend. Avendo già eguagliato il primato di USF di 60 vittorie in fila, i Bruins scesero in campo abbastanza sicuri di farcela. A stipare al limite della capienza il Notre Dame Athletic and Convocation Center, già infuocato per via di un rally tenuto un’ora prima della partita, c’erano 12000 persone, ed è a loro che si riferiva il coach degli Irish Digger Phelps quando nell’immediata vigilia dell’incontro aveva cercato aiuto dal cosiddetto “sesto uomo”. La partita sarebbe andata in onda anche sul circuito nazionale, ma il suo andamento fu di molto inferiore alle attese.

UCLA scese sullo stesso campo dove aveva perso l’ultima volta – esattamente due anni e cinque giorni dopo l’esplosione realizzativa di Carr –, ma in questa occasione non ci furono prodezze da parte della squadra di casa. In mezzo all’assordante ruggito dai tifosi degli Irish, UCLA non perse mai il controllo della gara, partendo piano fino all’8-8 per poi allungare di 8 dopo sette minuti. 

All’intervallo i Bruins conducevano 38-25, e nel secondo tempo gli Irish non costituirono mai un pericolo. Walton, ben assistito da Wilkes (20 punti) e da Farmer (16), dominò alle due estremità del campo e alla fine raccolse 16 punti, 15 rimbalzi e 10 stoppate. I Bruins vinsero largo (82-63), centrando senza grossi problemi il nuovo record NCAA di 61 vittorie consecutive.

Il miglior marcatore dell’incontro fu l’ala di Notre Dame John Shumate, 21 punti e 12 rimbalzi, che si sarebbe rivelato un “fattore”, come dicono in America, ancora più importante quando UCLA si ripresentò da quelle parti. 

Nei consueti commenti rilasciati alla stampa nel dopopartita, coach Wooden dichiarò: “I miei giocatori sembrano provare gusto nel vincere qui, una grande sfida davanti a questo pubblico”. E che fosse davvero “una grande sfida”, i Bruins se ne sarebbero accorti di nuovo l’anno seguente.

Dopo 88 vittorie consecutive, infatti, la striscia gialloviola terminò sullo stesso parquet dove UCLA aveva patito l’ultima sconfitta, tre anni addietro. Con i Bruins preoccupati per l’acciaccato Walton, fermo da dodici giorni e in dubbio fino all’ultimo per problemi alla schiena legati a una caduta di due settimane prima, per UCLA tirava una brutta aria. Ma alla fine Bill strinse i denti, scese in campo e finì per giocare tutti e quarantotto i minuti.

Con l’implacabile Grande Rosso a colpire con un 12 su 13 dal campo, i Bruins conducevano di 9 all’intervallo e di 11 (70-59) a 3’32’’ dal termine. UCLA sembrava avere la gara in pugno quando Phelps chiamò quello che pareva essere il time-out della disperazione. Il coach degli Irish ordinò ai suoi di pressare, una scelta che cambiò il volto della partita. Dopo il minuto di sospensione, Shumate segnò in faccia a Walton, poi intercettò la rimessa per andare a segnare ancora: 70-63 per UCLA. I Bruins persero tre palloni consecutivi sui quali gli Irish realizzarono altrettanti canestri, 70-69. Wilkes entrò a canestro ma gli venne fischiato un fallo in attacco, per i Bruins era la quinta palla persa su cinque possessi. Decisamente troppe, anche se su quella chiamata arbitrale il pubblico televisivo non faticò a decifrare il labiale (“Ladro!”) che uno sbraitante Wooden rivolgeva al direttore di gara che aveva fermato il gioco. 

A 29” dalla fine gli Irish intendevano far circolare la palla per servire Shumate, ma questi era troppo marcato, quindi optarono per il più defilato Dwight Clay, che sparò un jumper dall’angolo destro prima di ricadere franando tra il pubblico. Il pallone si infilò, e Notre Dame operò l’incredibile sorpasso: 71-70. 

Wooden chiamò un time-out a 21” dalla sirena, c’era ancora tutto il tempo per eseguire uno schema. Ma Tommy Curtis sbagliò dalla lunga distanza e Dave Meyers fece altrettanto sbagliando la schiacciata sul susseguente rimbalzo. Notre Dame aveva la gara in mano ma a 6” dalla fine si lasciò sfuggire il pallone oltre le righe che delimitano il campo. Questa volta i Bruins diedero palla a Walton, che però sbagliò un jumper dai 3-4 metri e sul rimbalzo, col tempo che stava per scadere, due suoi compagni centrarono il tabellone.

Il pubblico era così sbalordito che ci volle qualche secondo prima che comprendesse e si riversasse in massa sul parquet per festeggiare una vittoria che pareva impossibile. Shumate chiuse con 24 punti, la guardia Gary Brokaw con 25 e per gli Irish era pronto il numero uno del ranking. Ma la favola durò solo una settimana, fino alla rivincita al Pauley Pavilion di Los Angeles dove con un Walton dilagante (32 punti) UCLA demolì gli Irish 94-75. 

Ma Notre Dame poteva dirsi soddisfatta: aveva interrotto le ultime due strisce vincenti di UCLA e battere i Bruins non doveva essere una cosa di tutti i giorni, se nessuno ci riusciva da più di un lustro.

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