HOOPS MEMORIES - Hank Luisetti, il primo a una mano

Fino a metà degli anni ’30, ai giocatori si insegnava che il pallone andava tirato con tutte e due le mani e in pochissimi avevano la voglia (e la personalità) di sfidare l’allenatore facendolo con una sola. Poi, improvvisamente, un affascinante soggetto di nome Angelo “Hank” Luisetti si trasferì dall’Ovest con in testa un’idea rivoluzionaria. E da allora il gioco del basket non sarebbe stato più lo stesso.

Luisetti era la star di 1.90 che aveva fatto di Stanford una potenza di livello nazionale e che aveva introdotto il tiro a una mano, fatto partire spingendo il pallone da sotto, anche alle squadre universitarie della East Coast. Nato nello stesso quartiere di San Francisco da cui proveniva Joe Di Maggio, Luisetti aveva incominciato a giocare a basket all’età di sei anni, ma fu all’high school che cominciò a fare il pazzo con quel suo strano tiro ad una mano. Ma siccome la metteva spesso, anzi spessissimo, il suo allenatore non gli impediva di tirare in quella maniera assai poco ortodossa. Una tecnica che Luisetti perfezionò a Stanford.

Nel 1934-35, il suo anno da rookie, ebbe una stagione senza sconfitte con la squadra delle matricole. Da sophomore, Hank guidò la varsity al titolo della Pacific Coast Conference. Intanto ad Est si cominciava a sentir parlare di un fenomeno dai capelli scuri che tirava in modo rivoluzionario, con una mano sola. Da quelle parti però erano alquanto dubbiosi che uno dell’ovest potesse insegnargli qualcosa su quello che era il “loro” gioco, il basket. Ma in un anno possono cambiare tante cose.

Nel dicembre 1936, eliminando (45-38) la quotata Temple, Stanford ebbe l’occasione di sfidare quella che tutti ritenevano la miglior squadra del Paese, la Long Island University, che veniva da 43 successi consecutivi.

All’epoca la filosofia dominante ad est era quella predicata dal coach di City College Nat Holman (uno degli Original Celtics), che dogmaticamente asseriva: “Lascerò la panchina se per vincere dovrò insegnare a tirare con una mano. C’è solo un modo per tirare ed è quello in cui lo facciamo noi ad Est: con due mani”.

Un pubblico di 17623 paganti stipò il Madison Square Garden per dare il primo sguardo a quelle meraviglie fatte partire, udite udite, con una mano sola; più o meno gli stessi che se ne tornarono a casa convinti che forse era Hank ad aver avuto l’idea giusta. Stanford, prossima Squadra di college dell’anno, distrusse Long Island 45-31, con un Luisetti autore di 15 punti e autentico mattatore del gioco in virtù delle sue doti di palleggio, nei passaggi e a rimbalzo. Uscendo dal campo Hank ricevette una standing ovation dal competente pubblico del Garden, totalmente rapito dalla superba prestazione.

Secondo il New York Times del giorno seguente, “Pareva quasi che Luisetti fosse incapace di sbagliare. Certe sue conclusioni sarebbero state ritenute scriteriate se a tentarle fosse stato un altro, ma con quel suo modo di tirare erano accolte dal pubblico come una cosa naturale”.

Luisetti forse non inventò il tiro ad una mano, ma fu il primo ad usarlo con chirurgica precisione davanti a spalti gremiti. Hank sapeva tirare ad una mano da tutte le posizioni e in più eseguiva altrettanto bene il piazzato. E sapendo tirare anche sospeso a mezz’aria, va considerato uno dei primissimi profeti del jump shot. E ben presto ragazzini di tutto il Paese avrebbero cercato di imitare quello che ormai era diventato il nuovo idolo del basket nazionale.

Luisetti fu la prima superstar del college, un giocatore che faceva la differenza e che ci riusciva tirando a quel modo, con una mano. Fu Giocatore dell’anno per due volte in fila e per tre consecutive guidò Stanford al titolo della Pacific Coast Conference.

Ma Luisetti era anche se non soprattutto un superbo giocatore di squadra. Sapendo quanto era forte, i compagni avevano la sensazione che passasse troppo e che non tirasse abbastanza. Una sera, nel 1938, decisero di “costringerlo” a cambiare registro. Affrontando sul campo neutro di Cleveland la temibile Duquesne, per farlo tirare di più decisero di rimandargli indietro quasi tutti i passaggi. 

Il risultato fu un’esplosione da 50 punti, e gli Indians stroncarono i Dukes per 92-27. Con quella stagione Luisetti terminò anche la sua carriera al college, chiusa con un totale di quasi 1600 punti, record di college ottenuto a 16.5 di media.

Luisetti era molto di più che una promessa universitaria e la sua carriera pareva riservare un brillante futuro. Ma Hank fece la mossa sbagliata. Per la sua avvenenza, la “classica” bella presenza tanto cara a Hollywood, in tanti vedevano in lui un potenziale divo del box-office. E così, lasciata Stanford nel 1938, accettò un cachet di 10 mila dollari per recitare in un film sul basket intitolato Campus Confessions. Del cast faceva parte anche la popolare Betty Grable, ma il film si rivelò un autentico flop. E anche una brutta botta per la carriera agonistica di Luisetti.

La Amateur Athletic Union (AAU) lo squalificò per un anno perché nel girare un film aveva agito da professionista perdendo quindi lo status di dilettante. La squalifica gli fece saltare il più importante evento cestistico, il National Invitational Tournament, fino al 1940, quando rientrò e batté subito il record di segnature del torneo. Ma la sua carriera fu interrotta ancora, stavolta dalla Seconda guerra mondiale.

Luisetti si arruolò in marina e giocò molto a basket durante il periodo di ferma. Ma nel 1944, in seguito a una forma di meningite spinale che lo aveva colpito e dalla quale sembrava aver recuperato, i medici gli dissero che riprendere l’attività sarebbe stato troppo rischioso.

Avendo perso la chance di una lucrativa carriera, per poter rimanere nel basket si mise ad allenare per qualche tempo, prendendosi la soddisfazione di vincere il campionato AAU nel 1951. Un po’ poco per il primo fuoriclasse del college basketball. A un talento così la sorte uno scherzo del genere non doveva proprio tirarglielo. Neanche con una mano.

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