HOOPS MEMORIES - Randy Smith, questo è un lavoro per Iron-Man


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di CHRISTIAN GIORDANO ©
Rainbow Sports Books ©

Uno dei più grandi atleti (nel senso più estensivo del termine) ad aver mai giocato nella NBA, Randy Smith andò al liceo a Bellport, stato di New York, e alla Buffalo State University come grande promessa dell’atletica. 

Secondo l’allenatore della squadra di basket della scuola, pare che Smith non avesse mai neanche praticato quello sport. Ma ben presto Randy sarebbe esploso anche come ottima ala di 1.90, oltre che nel salto in alto e nel salto triplo. Ah, a proposito: nel tempo libero fu anche All-America di calcio. 

Quando i Buffalo Braves impiegarono la loro settima pick per sceglierlo al draft del 1971, si pensò si trattasse più che altro di un atto di pubbliche relazioni, e lo stesso general manager dei Braves Eddie Donovan in seguito ammise che mai e poi mai si sarebbe aspettato che Smith riuscisse a “fare” la squadra. Ma coach Dolph Schayes rimase così impressionato dalla velocità di Randy che decise di tenerlo come dodicesimo. Entro la fine della sua stagione da rookie, Smith era ormai pronto per il ruolo di guardia titolare.

In assoluto il giocatore più veloce della Lega, Smith approfittava del suo sprint per pressare in difesa e per fiaccare i difensori avversari che per prenderlo dovevano dargli la caccia per tutto il campo. Regolarmente tra i leader della Lega nei recuperi, la sua grande capacità di elevazione ne faceva un buon rimbalzista e un dunker spettacolare. Smith aveva un fisico davvero incredibile, che secondo il trainer dei Braves Ray Melchiorre aveva “gambe da laboratorio”. Così scolpito che “potevi portarlo in un corso di anatomia per far vedere [agli aspiranti medici] tutti i muscoli del corpo umano”.

Smith però non era solo muscoli. Per dirne una, con 27 punti fu l’MVP dell’All-Star Game NBA del 1978. Ma la leggenda del suo nome continua a vivere principalmente per via della sua ancor più incredibile longevità. 

Dal 18 febbraio 1972 al 13 marzo 1983 Smith ha superato indenne undici anni di NBA senza saltare una partita, una striscia (record NBA) di ben 906 partite consecutive. 

Serie che tante volte fu lì lì per interrompersi, una volta per via di un infortunio a un fianco e un’altra a causa di una grave forma influenzale che non lo debilitò abbastanza da impedirgli di segnare un career-high di 41 punti. Ma talvolta certi primati esigono pegni forse eccessivi. Quando sua moglie stava per avere un bambino, nel 1980, naturalmente Randy voleva lasciare la squadra per stare con lei. Ma evidentemente la mania per le statistiche era una caratteristica di famiglia: “Tu prenditi cura della striscia,” gli intimò la consorte “io mi prenderò cura del bambino”. E lui amorevolmente eseguì.

Quando invece si avvicinò al record NBA di Johnny Kerr, sceso in campo in 844 partite consecutive, Smith corse un rischio un po’ più serio. Lasciato libero dai Knicks al termine del campionato 1981-82, quell’autunno Smith restò al palo e così la sua striscia rischiava di fermarsi a sole tre presenze dal record. Ma ventiquattr’ore prima della gara d’apertura della stagione, i San Diego Clippers si ritrovarono con l’improvvisa urgenza di una guardia. Caso volle che Smith vivesse proprio a San Diego. Coach Paul Silas si affannò per rintracciarlo al volo, e pur di scendere in campo Randy non esitò a calarsi nel nuovo ruolo. In quell’occasione Smith segnò 13 punti e si conquistò un ingaggio. Sospirone di sollievo: la striscia rimaneva aperta.

Qualche giorno dopo il nuovo primato fu stabilito a Philadelphia, dove nella “prevista” cerimonia prepartita Kerr passò ufficialmente a Smith il testimone di “Iron Man” della NBA. Alla fine la striscia si interruppe, più avanti nella stagione, ma non perché Randy non fosse in grado di giocare. Al contrario, la trentaquattrenne guardia era perfettamente in salute e viaggiava a quasi 10 punti di media, ma aveva chiesto di essere messo sul mercato sperando di accasarsi in una squadra competitiva che puntava ai playoff. Tecnicamente Smith era ancora di contrattualmente vincolato a San Diego quando i Clippers disputarono una partita senza di lui, spezzandogli la striscia ma non la fame di basket.

Smith fu ingaggiato da Atlanta, che però fu eliminata al primo turno dei playoff e così Randy non giocò più neanche più una partita nella NBA. Ma la chance di giocare per il titolo, possibilità che aveva vanamente inseguito per tutta la carriera, valeva da sola la rinuncia al suo piccolo, grande obiettivo personale di giocare 1000 partite consecutive. Poco, ma sicuro.

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