HOOPS MEMORIES - Regolamento NBA, cambia ché ti passa
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di CHRISTIAN GIORDANO ©
Rainbow Sports Books ©
Nei primi anni di NBA il gioco pro era afflitto da due forme di “stalling” che, oltre a rallentarne il ritmo, raffreddavano di parecchio l’interesse degli spettatori. Il primo era la tattica del “sedersi” sul vantaggio e di rifiutarsi di tirare, il cosiddetto freezing the ball, il congelamento del pallone, che talvolta iniziava già nel primo tempo. Ma altrettanto frustrante per i tifosi era la tattica della squadra in svantaggio di fare fallo sistematicamente non appena gli avversari entravano in possesso della palla, sperando di scambiare un punto ottenuto ai liberi con la possibilità di segnarne due sul ribaltamento di fronte.
Quello stratagemma sfociava in un’interminabile successione di chiamate arbitrali e in partite così noiose che sembravano durare all’infinito. Nel 1952 i Syracuse Nationals giocarono una gara senza che nessuno andasse più al tiro negli ultimi otto minuti di gioco! Le cose andavano talmente male che in un incontro di playoff tra Boston e la stessa Syracuse del marzo 1953, che necessitò di ben quattro tempi supplementari, furono fischiati un totale di 107 falli. Ma se Bob Cousy, scintillante guardia dei Celtics, approfittò degli overtime per stabilire un record dei playoff segnando 50 punti, 30 dei quali arrivati dalla lunetta, è dura sostenere che una simile esplosione realizzativa sia stata, per gli spettatori, particolarmente esaltante.
Tutto questo era accaduto nonostante il limite di sei falli per giocatore. Infatti, sette giocatori di Syracuse avevano già raggiunto i sei falli, ma due di loro dovettero rimanere in campo beccandosi un tecnico per ogni altro fallo commesso.
Nella stagione 1953-54 venne introdotta una nuova regola che limitava a due per quarto il numero di falli personali, una volta commessi il giocatore doveva star fuori per il resto della frazione. Ma la regola si rivelò inefficace e la media realizzativa delle squadre precipitò a 79.5 punti a partita. A quel punto, la Lega aveva chiaramente bisogno di un modo per penalizzare la squadra e non solo l’individuo che ricorreva ad un eccessivo numero di falli. E c’era anche bisogno di bandire il “freeze”.
Il 22 aprile 1954 i proprietari NBA si incontrarono con le migliori intenzioni di trovare una soluzione, anche radicale, ai problemi del gioco pro. La risposta arrivò, non a caso, dal proprietario dei Syracuse Nationals Danny Biasone, che propose il cronometro dei 24 secondi per il tiro. Biasone aveva calcolato che nella Lega si aveva in media un tiro ogni 18 secondi e così “decise” che ventiquattro sarebbero stati un limite ragionevole. Perché proprio 24”? È presto detto: si prende la lunghezza delle partite (48’ o, in secondi, 48x60"=2880") e la si divide per il numero medio di tiri in una gara (120); 2880/120=24. Facile. La nuova regola fu approvata, il cronometro dei 24” esordì sei mesi dopo, il 30 ottobre 1954, e come per incanto il problema del freezing era risolto.
Successivamente la Lega adottò anche un limite sui falli di squadra, sei per ogni quarto. Superato quello, ogni fallo costava un tiro libero extra, compresa la triplice possibilità, per il giocatore che aveva subìto il fallo mentre stava tirando, di realizzare in ogni modo due punti. Un’altra nuova regola trasformò tutti i falli del backcourt in infrazioni punite con due tiri dalla lunetta.
Le nuove regole furono un successone. Il cronometro per il tiro svuotò di significato, per la squadra in svantaggio, la tattica di fare fallo per riavere la palla, e il tetto di falli per squadra prendeva due piccioni con una fava: limitava tutti ed eliminava l’abuso del fallo sistematico.
Il gioco diventò molto più aperto, più fluido e anche molto più veloce. La media realizzativa per squadra s’impennò a 93.1 punti a partita, e il numero di falli complessivo precipitò a meno di cinquanta per gara. La dinastia regnante dell’epoca, i Minneapolis Lakers di Giorgione Mikan, fu pesantemente danneggiata dal nuovo regolamento, altri ne furono avvantaggiati. Il basket era cambiato: da gioco rallentato e controllato diventava uno sport contropiedistico, dalle rapide conclusioni e dal ritmo infernale, e il merito era anche di un nostro paisà. Grazie, Mr. Biasone.
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