Post

Visualizzazione dei post da agosto 16, 2022

Rocca e i suoi “fratelli”

Immagine
Lo Zambia a Seul 88, l’altra «Corea» del calcio italiano di CHRISTIAN GIORDANO Guerin Sportivo, giugno 2003 Alla fine, è pure andata grassa. Alle Olimpiadi, il quarto posto dell’Italia viene ritenuto l’obiettivo minimo. Ma a Seul '88, tenendo conto della concorrenza, raramente di così alto livello, e della batosta presa con lo Zambia dell’iradiddio Kalusha Bwalya, autore di una tripletta, poteva davvero andare peggio. Gli azzurri erano tra i favoriti in virtù dell’ottimo cammino compiuto nelle qualificazioni, sotto la guida di Dino Zoff. Proprio le imprese della selezione Olimpica, che eliminò Germania Est, Portogallo, Olanda e Islanda, avevano convinto la Juventus a scegliere “Dinomito” come successore di Trapattoni (Maifredi era vincolato al Bologna, che non lo mollò) e così sulla panchina azzurra fu promosso il vice di Zoff, Francesco Rocca. L’indimenticato “Kawasaki” non seppe rivelarsi all’altezza dell’illustre predecessore, però fu anche sfortunato. Infortuni i

IN FUGA DAGLI SCERIFFI - Gli Scapigliati: Beccia

Immagine
https://www.amazon.it/dp/B07XP5GBYG Simone Basso IN FUGA DAGLI SCERIFFI Oltre Moser e Saronni: il ciclismo negli anni Ottanta Prefazione di Herbie Sykes Rainbow Sports Books, 176 pagine Se fosse salito agli onori delle cronache oggi, con quel nome l’avrebbero subito ribattezzato Super Mario: invece, il Beccia fu protagonista del moserismo più profondo. Essenziale in quella fauna, interpretò benissimo il ruolo frustrante e patetico dello scalatorino alla ricerca (inutile) delle montagne. Fu italianissimo nelle contestazioni a mezzo stampa e ancor di più nell’attesa dei gipiemme: rievocò il Giovanni Drogo che è nella natura italica, perché alla reintroduzione delle salite si ritrovò impreparato, ormai al termine della carriera. Nacque proprio nella Sanson di re Francesco, dopo un apprendistato velocissimo nei dilettanti: figlio di emigranti pugliesi, crebbe nel Veneto e approdò tardi alla bicicletta e quasi per caso. Per Mario la scapigliatura non fu solo un modo di dire,

Pete Carril, il genio della porta didietro

Immagine
di FEDERICO BUFFA © (1998) - Black Jesus "El coco, Pedro, hay que usar el coco". Il señor José Carril, appoggiando l'indice alla tempia, da sempre ammaestrava i suoi figlioli - Pedrito e una sorellina - sull'assoluta necessità di saper usare la testa, di non fare come lui, monarchico castigliano, che in fondo però aveva solo lasciato l'austera León e la Spagna dell'incertissimo medio dopoguerra. Quello che avrebbe portato al tremendo '36, per venire a farsi ustionare le braccia nelle bollenti fornaci dei grandi impianti siderurgici di Bethlehem, Pennsylvania, dove altre 250 famiglie spagnole vivevano, con cechi, portoghesi, polacchi, italiani, greci e irlandesi (l'immigrazione povera del tempo) nei fumi e nella speranza che gli USA continuassero ad aver bisogno di tanto acciaio, più o meno mentre noi stavamo per dare l'oro alla patria. "Maricón [finocchio], non puoi essere mio figlio, sii uomo". Era un picnic nei boschi per sfuggire, un