IN FUGA DAGLI SCERIFFI - Gli Scapigliati: Beccia


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Simone Basso
IN FUGA DAGLI SCERIFFI
Oltre Moser e Saronni: il ciclismo negli anni Ottanta
Prefazione di Herbie Sykes
Rainbow Sports Books, 176 pagine

Se fosse salito agli onori delle cronache oggi, con quel nome l’avrebbero subito ribattezzato Super Mario: invece, il Beccia fu protagonista del moserismo più profondo.

Essenziale in quella fauna, interpretò benissimo il ruolo frustrante e patetico dello scalatorino alla ricerca (inutile) delle montagne.

Fu italianissimo nelle contestazioni a mezzo stampa e ancor di più nell’attesa dei gipiemme: rievocò il Giovanni Drogo che è nella natura italica, perché alla reintroduzione delle salite si ritrovò impreparato, ormai al termine della carriera.

Nacque proprio nella Sanson di re Francesco, dopo un apprendistato velocissimo nei dilettanti: figlio di emigranti pugliesi, crebbe nel Veneto e approdò tardi alla bicicletta e quasi per caso.

Per Mario la scapigliatura non fu solo un modo di dire, ma un segno del destino. Il Beccia, alle prese con la calvizie fin da giovanissimo, fu testimonial di un metodo “infallibile” di ricrescita del cuoio capelluto: lo spot che ne pubblicizzò le virtù, fu un capolavoro degno di Ed Wood. Ma la macchietta si accompagnò a un corridore di alto livello, difatti almeno due furono gli squilli internazionali del grimpeur di Montebelluna: il Giro di Svizzera 1980, oasi degli scalatori, e la Freccia Vallone 1982.

Quest’ultima, preparata con allenamenti specifici (il Beccia fu uno dei primi a provare metodologie meno antidiluviane): fuggì con il norvegese Jostein Willmann a 36 chilometri dal traguardo e riuscì a resistere all’inseguimento dei big.

Nonostante la segnalazione sbagliata, che fece perdere tempo e pazienza a un arrembante Hennie Kuiper, il portacolori della Hoonved di Dino Zandegù meritò quel trionfo in Vallonia: e proprio con il tenore della pedivella come diesse, raccolse le vittorie più belle.

In quel gruppo di zingari, il piccolo Beccia si esaltò: nel biennio 1983-84 vinse anche approfittando delle sue doti di buon velocista da gruppetto.

Fece la comparsa, come tutti i ciclisti italiani di quel tempo, al Tour.

Nel 1982 deluse, quattro anni dopo subì un curioso incidente all’aeroporto: Roberto “Cavallo Pazzo” Pagnin, suo compare alla Malvor, gli lanciò contro per scherzo un carrello. Il colpo al tendine d’Achille provocò una fastidiosa infiammazione che lo costrinse al ritiro.

Il bottino al Giro, quattro tappe totali e la maglia bianca all’esordio, avrebbe potuto essere anche più cospicuo: un po’ vessato dalle circostanze, nel 1982 riuscì a pedinare Bernard Hinault su un paio di arrivi in pendenza, ma non resse la pressione delle attese. Si squagliò sul più bello, vittima di una tensione che lo fregò molte volte.

Quarto nella corsa rosa dell’anno dopo, fu poetico e infantile nell’accusare di disonestà intellettuale l’imprendibile Alberto Fernández.

Quel pomeriggio verso Campitello Matese, l’iberico lo fece ammattire: dopo ogni scatto, consentì al veneto d’adozione di rientrare; fino alla botta decisiva, che mandò in acido lattico le gambe del Beccia, oltre che in stato confusionale il suo pensiero.

Ebbe un rapporto di amore contrastato con la Milano-Sanremo, che corse sempre con molte ambizioni: nel 1979 fu l’eroe sfortunato di quell’edizione, selezionò il plotone già sul Capo Berta e partì (con tempistica perfetta) all’ultimo chilometro. Furono Jean-Luc Vandenbroucke, passista di lusso, e Moser (...) a riportargli sotto il plotoncino dei sopravvissuti. Il Beccia fu ripreso a cinquanta metri dal traguardo, uno scherzo terribile, e la volata se l’aggiudicò Roger De Vlaeminck, l’Houdini delle classiche.

Sette anni più tardi, altra azione decisiva sul Poggio, compagni di fuga due super, Sean Kelly e Greg LeMond. Mario, inevitabilmente terzo, si lamentò del caos di motociclette che sull’ultimo strappo ne avevano rallentato l’ardore.

La risposta di Torriani, colma di un’arroganza classista degna di Maria Antonietta, fu tremenda: «Raglio d’asino non sale in cielo».

Frase impietosa e ingiusta, verso uno sfregaselle che mai rinunciò al proprio ruolo: quello del Righi di Amici miei, attore di secondo piano ma irrinunciabile nella sceneggiatura complessiva.



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