Il capolinea inglese di Rooney
Abituati a leggere di nuovi acquisti che hanno sempre tifato per la squadra che li ha acquistati, con tanto di autoriduzione dell’ingaggio, dobbiamo segnalare i rari casi in cui queste situazioni corrispondono a verità. Uno di questi è quello di Wayne Rooney, appena tornato all'Everton dopo 13 anni al Manchester United, per indossare la maglia numero 10 che fu del suo idolo Duncan Ferguson.
Giocando per la squadra allenata da Ronald Koeman guadagnerà la metà, anche se ancora non si conoscono le cifre esatte, di quanto prendeva a Manchester e un quarto della più bassa offerta ricevuta dalla Cina: a quasi 32 anni è presto per andarsi a seppellire in un campionato minore, ma la sensazione è che Rooney non farà una scelta simile neppure a 40. Che cosa gliene importa dei "nuovi mercati"? Lui ha il suo.
Rooney infatti non si può spiegare soltanto dal punto di vista calcistico, pur notevole: con il Man U una Champions League, una Europa League, cinque campionati e tanto altro, compreso il record di gol del club - prima detenuto da Bobby Charlton. Rooney non è solo uno dei pochi inglesi davvero visibili della Premier League, ma è anche l’archetipo del calciatore inglese di una volta che spesso evochiamo ma che non è un falso mito: il working class hero che il tifoso percepisce come "uno di noi" che va in campo, non come un fuoriclasse da applaudire come se si stesse assistendo a uno spettacolo.
Per esserlo non basta avere le umili origini ben sintetizzate da Sven-Goran Eriksson parlando con il finto sceicco: altri calciatori inglesi le hanno, per non parlare dell’infanzia di tanti stranieri della Premier League attuale. Ci vogliono coscienza e orgoglio di classe, non certo in senso marxista ma come stile di vita e aspirazioni.
In parole povere, mentre Beckham (estrazione sociale simile) è apparentemente a suo agio a Los Angeles come a Milano o a Madrid, non riusciamo a immaginare Rooney e sua moglie Coleen fuori da un contesto inglese. Non a caso inglesissima è anche l’agenzia che ne cura gli interessi, la Triple S, che ha quasi solo giocatori britannici di nascita o di adozione (tipo Kasper Schmeichel).
Per questo nel 2004 la partenza da Liverpool, per una cifra che attualizzata corrisponderebbe a 45 milioni di euro, fu una tragedia. E per questo la maggioranza silenziosa dei tifosi dello United si identifica più in Rooney che in Pogba o negli grandi campioni che arriveranno al club dell'Old Trafford. Nessun problema: il popolo continuerà a non capire, ma anche ad acquistare la terza maglia originale, almeno fino a quando il suo posto non verrà preso da turisti o gente da "evento".
Mourinho inoltre lo aveva messo ai margini (titolare in 15 partite su 38 di campionato), e senza un vero perché vista l’adattabilità di Rooney a più situazioni tattiche. Non è insomma per l’arrivo di Romelu Lukaku (dall’Everton…) - arrivato per sostituire Zalatan Ibrahimovic - che Rooney è partito ma perché è stato giudicato di altri tempi.
Poi va detto che Rooney non è finito in una squadra di dopolavoristi, ma in una realtà ambiziosa che sta facendo anche un discreto mercato. Sta andando verso il capolinea, ma sarà un capolinea inglese.
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