"Goat" Manigault, una vita da film


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di CHRISTIAN GIORDANO

Nonostante la sceneggiatura non sempre coerente di Alan Swyer e Larry Golin, Rebound – The Legend of Earl “Goat” Manigault (“Più in alto di tutti” nella versione italiana) resta un buon film di basket, ma soprattutto un mini-trattato sul talento sprecato, su quel che poteva essere e non è stato, sulle umane fragilità.

Prodotto per la tv via-cavo nel 1996 dalla HBO, è uscito poi anche in home video. 

Il film inizia con un’intervista al grande Kareem Abdul-Jabbar al quale viene chiesto chi fosse stato l’avversario più forte incontrato in carriera. Un nome, solo uno. «Se devo fare solo un nome... Accidenti... Può essere soltanto Goat». Goat, Goat Manigault.

Flashback. Harlem, 1959. Earl Manigault (Colin Cheadle negli anni giovanili) è un ragazzo timido e indigente che frequenta la Benjamin Franklin High School e domina, con le sue straordinarie doti atletiche, i campetti della zona.

Holcombe Rucker (il sempre superbo Forest Whitaker) è un organizzatore locale che si accorge dei suoi progressi nel basket ma anche delle tentazioni di strada in cui l’adolescente Earle (un credibilissimo Don Cheadle) si fa irretire con altri ex giocatori del playground come Legrand (Michael Beach), Diego (Eriq La Salle) e Dion (Michael Ralph).

Earl si caccia nei guai e viene espulso da scuola, così segue il consiglio di Rucker e si trasferisce in una prep school del South Carolina, pur tra mille difficoltà, fa progressi negli studi (riuscirà a diplomarsi) e mette incinta Evonne, una studentessa della stessa scuola. 

Manigault, che è lì grazie a una borsa di studio per il basket, fatica però anche nel mettere in pratica le indicazioni dell’allenatore. E quando apprende della morte di Rucker, non è più lì con la testa e torna a Harlem, dove ricomincia a frequentare le solite cattive compagnie. Ricasca nell’eroina con Dion, che poi viene ucciso. E inizia a comprare droga da Legrand, che si è fatto strada come spacciatore, e a farsi con Diego, che ha perso le mani in Vietnam.

Nel giro di sei mesi, Earl vive di accattonaggio e furti. Diego muore di overdose. Manigault alla fine viene arrestato e si fa due anni di prigione. Una volta uscito, si disintossica, poi fa pace con Evonne e incontra Legrand, che ormai è il ras del quartiere nel controllo della droga. Legrand acconsente a far sparire gli spacciatori dal campetto per dare al nuovo Manigault la chance di rifarsi una vita organizzando un torneo per i ragazzi del posto. E raccogliere così l’eredità di Holcombe Rucker.

Pur con qualche buco di sceneggiatura e i (forse inevitabili) cliché da film sportivo per famiglie, buona la prima alla regia per Eriq La Salle, l’attore diventato star nella serie tv “ER”. 

Fra le chicche per appassionati di basket, oltre a Kareem Abdul-Jabbar e Chick Hearn (storico speaker dei Los Angeles Lakers) nei panni di se stessi, il cameo del vero Earl Manigault come uomo delle pulizie e di Kevin Garnett e Joe Smith, all’epoca astri nascenti nella NBA, che interpretano Wilt Chamberlain e Connie Hawkins.

La colonna sonora è piena di classici della Motown che danno al film un sottofondo nostalgico; e il pezzo principale, A Place in the Sun di Stevie Wonder del dicembre 1966, è una citazione per i reduci del Vietnam.

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