ADDIO TORRIANI, ANIMA DEL GIRO



di LEONARDO COEN
la Repubblica © - 25 aprile 1996

MILANO - Se n' è andato il "Patron" del Giro d' Italia: Vincenzo Torriani è morto ieri a Milano a 77 anni per le conseguenze di una malattia degenerativa del sistema nervoso centrale. 

Dal mondo del ciclismo è venuto il ricordo di ciò che Torriani è stato per questo sport: l' organizzatore instancabile di ben 46 edizioni del Giro - prima edizione nel 1946 -, oltre che della Sanremo e di altre classiche italiane. 

Aveva lasciato la sua corsa, tanto amata, nel 1992, perché già colpito dal male. Il figlio Marco, 44 anni, collaborava con lui ed è ora un dirigente della struttura organizzativa. Torriani lascia altri due figli, Gianni e Milly. 

Lo hanno ricordato in molti: da Fiorenzo Magni ("Un uomo all'avanguardia che precorreva i tempi ed era sempre un passo avanti agli altri") a Vittorio Adorni ("All'arrivo di ogni tappa c'erano i cartelli che inneggiavano a questo o quel ciclista. Ma ce n'era di più per lui, che la gente rispettava e amava") e Felice Gimondi ("Era un protagonista, forse un accentratore, ma un uomo che si assumeva tutte le sue responsabilità fino in fondo"). E ancora Francesco Moser: "Era un uomo determinato, capace di prendere decisioni anche azzardate, ma che quasi sempre ha avuto ragione". 

E L' ITALIA CORREVA ASSIEME AL ' PATRON' 
"Te lo lì, il Torriani!" gridava la folla appena scorgeva la cabriolet che portava sul cofano la scritta in rosa della Gazzetta. E "il" Torriani appariva come un arrabbiato comandante in maniche di camicia, a mezzo busto, la Nazionale senza filtro perennemente in bilico sulle labbra, il braccio destro teso chissà dove, ma sempre dalla parte giusta, l'indice minaccioso pronto a calare sul reprobo che osava attraversare la strada prima dei girini, o contro il motociclista furbo che voleva sorpassarlo senza il suo permesso. Così sapeva d'incutere timore. Poco importa se a metà di ogni tappa la voce gli si arrotolava in gola, e se i suoi ordini erano rochi. Anzi, proprio questa voce massacrata piaceva alla gente. Era o non era lui il 'patron' del Giro? Nella mano sinistra impugnava spesso un megafono, pronto a sparare urlacci che spaventavano corridori e meccanici indisciplinati, "la prossima volta vi caccio fuori della corsa!", minacciava il Patron, il volto avvampava come un falò, persino i capelli s'arruffavano per l'ira. Insomma, era uno spettacolo nello spettacolo, a tal punto che l'immagine pubblica di Torriani non poteva più prescindere da quella di guardiano furente della carovana, di pastore occhiuto del gregge, cioè del plotone. "Quale occupante a mezzo busto di un'automobile nessuno era più efficace di lui, neanche il Papa", dissero di lui giornalisti e scrittori che lo accompagnarono per quarantasei edizioni del Giro, quante cioè ne organizzò prima di lasciare il passo all'avvocato Carmine Castellano. 

Milanese di Novate, terra "bianca". Non a caso, il suo apprendistato sapeva d'oratorio. D'altra parte, allora, i giovani o stavano coi preti o finivano con le camicie nere. A quattordici anni, raccontano gli agiografi - e questo la dice lunga sul mito di Torriani - debuttò organizzando un torneo di calcio per l'Istituto San Carlo di Milano di cui era allievo. 

Lo fregò la guerra: perché dopo essersi diplomato ragioniere dovette abbandonare gli studi di Economia e commercio all'Università Cattolica di Milano e scappare a Lugano. Ma anche da profugo in Svizzera non rimase con le mani in mano. Mise in piedi attività ricreative, feste di campanile, partite di calcio per quelli rinchiusi nei campi d'internamento, in attesa di tornare in patria. 

Rientrato a Milano dovette vedersela col padre, il quale, da buon industrialotto, lo voleva in fabbrica. Lo dissuasero gli amici dell'Azione Cattolica e il cardinale Schuster: "Il talento di suo figlio è più prezioso nel mondo dello sport", disse Schuster a papà Torriani. E così fu. 

Per far dimenticare gli orrori della guerra bisognava inventare qualcosa che appassionasse la gente. Che distraesse dalla politica. Dalle lusinghe dei 'rossi'. Qualcosa che unisse l'Italia divisa dal fascismo e dall'Otto settembre. Che risvegliasse passioni d'innocuo patriottismo, ma radicate nell'inconscio nazional-popolare di un Paese avvilito dalla sconfitta e dalle distruzioni. Armando Cougnet, che aveva guidato 27 Giri tra le due guerre, ebbe l'idea di preparare il "Giro della Rinascita". L'11 maggio 1946 Toscanini diresse il primo concerto nella Scala ricostruita a tempo di record. 

Quasi contemporaneamente la Gazzetta dello Sport varò quel doloroso "Giro della Rinascita": dalle finestre di via Galilei, la vecchia sede del quotidiano sportivo, si vedevano ancora montagne di detriti, sino alla stazione Garibaldi. Pochissime auto. Tantissime biciclette. E parecchie motorette: come la Lambretta del giovane, attivissimo Torriani, che di lì a tre anni avrebbe sostituito alla guida della corsa il vecchio saggio Cougnet. 

Oh, Torriani capì subito che il Giro sarebbe decollato solo a certe condizioni: spendendo di più per migliorare la qualità tecnica; ingaggiando i migliori corridori del mondo. Il livello agonistico sarebbe stato garantito dalle soddisfazioni economiche dei ciclisti e degli sponsor. Il Giro divenne in breve una sagra di sport e di popolo, una festa in lungo e in largo per lo Stivale. Il resto venne da sé. 

Il primo Giro organizzato da Torriani fu vinto da Fausto Coppi, che staccò Gino Bartali di 23 minuti e 43 secondi: la macchina del Patron era una bellissima Alpina. Tranne il radiatore. Sbuffava come una locomotiva appena s'imboccavano le salite. Toccava fermarsi di tanto in tanto per riempire il radiatore d' acqua. Per non perdere tempo, raccontò un giorno lo stesso Torriani, "partivamo prima di ogni tappa con la macchina carica di fiaschi e damigiane d'acqua". Erano gli anni eroici dell'Italia che ricominciava a vivere, a sperare. A sognare. 

I campioni passavano, Torriani restava. La DC volle approfittarne. Lo candidò per una poltrona da deputato in un collegio di Milano. Torriani, veemente oratore, girava le strade e le piazze milanesi su un'auto scoperta, accompagnato dall'amico Gino Bartali. I comizi erano affollati. Ma lui venne lo stesso trombato. Per un pugno di voti, meno di duecento. Gli elettori avevano sbarrato con la dovuta croce il simbolo democristiano, però accanto al suo nome avevano scritto "W Bartali". Centinaia e centinaia di schede annullate. 

Torriani incassò la sconfitta e continuò a disseminare di novità i suoi Giri, per renderli più emozionanti, più duri. Il passo del Gavia, sotto la bufera (1960). L'inferno del Bondone nel '56 e il passo Rolle nel '62. La cronodiscesa da San Rocco a Sanremo, vinta da Stephen Roche (1987). Cambiare, per migliorare, per non annoiare: la Milano-Sanremo fu incattivita da due sue invenzioni, l'aggiunta del Poggio nel '60 e del Cipressa nell'82. Non voleva risparmiare sulla fatica. Né quella dei corridori. Né la sua. E' toccato stavolta a lui di andare in fuga.
LEONARDO COEN

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