Dietrologia di un seganervi


http://www.indiscreto.info/2009/10/dietrologia-di-un-seganervi.html

di Simone Basso
Indiscreto, 5 ottobre 2009 

1. Non se lo ricorda più nessuno. Ma il ganzo fu uno dei grandi protagonisti di un periodo, i poco raccomandabili anni ottanta di Francesco Moser e Giuseppe Saronni, che significarono per il ciclismo italiano il tempo dell’autarchia quasi totale. In un panorama oberato da una moltitudine di gare, perfetta scappatoia dal frustante confronto con i big stranieri, la degustazione di tutti i piatti veniva servita ai due cocchi del pubblico e della stampa: Beppe e il Cecco, sempre e comunque, in ogni maniera e a prescindere dalla qualità degli avversari. Per quasi due lustri furono pochi i ribelli che osarono contestare il duopolio: prima Gibì Baronchelli e Giuàn Battaglin, poi il simpatico discolo Silvano Contini e il nostro oggetto d’osservazione diretta, Roberto Visentini da Gardone Riviera.

2. Classe 1957, il perfetto ritratto del corridore italico di quei dì. Talentuosissimo ma zeppo di black out caratteriali, zavorrato tecnicamente dall’inconsistenza agonistica di quel movimento così provinciale. Eppure il gardesano arrivò nei pro', a soli 20 anni, con le stimmate del super: primo iridato juniores della storia, anche campione nazionale della stessa categoria e poi a cronometro nei dilettanti. Una furia della natura, con la caratteristica inconfondibile dell’arrivo al traguardo con la concorrenza lontana: "Roby il solitario" fu il suo primo nomignolo. 

3. Deviando dall’argomento un accenno doveroso al suo alter ego, il compaesano Claudio Cresseri. Militò col Visenta nella stessa squadra, talento simile e follia addirittura superiore al futuro seganervi della Carrera.
Innumerevoli le leggende sulla loro rivalità, ma indimenticabile l’aneddoto di una fuga di Caio: in cima a una salita, con un buon vantaggio sugli inseguitori, si fermò, estrasse un panino dalla tasca posteriore e aspettò i rivali. Cresseri abbandonò l’attività quando capì che, per diventare professionista, avrebbe dovuto fare una cosa mai fatta nelle categorie inferiori: allenarsi.

4. Tornando all’altro mattocchio, cioè la versione di successo, i suoi rapporti con il mondo dei grandi furono a dir poco problematici; malgrado la protezione di Davide Boifava, uno che si “innamorò” sempre di fuoriclasse dalle caratteristiche uniche (Battaglin, Roche, Pantani). Il diesse della mitica Carrera-Inoxpran, convinto delle doti di Roberto, per un decennio sfidò i sorrisi ironici dei sapientoni dell’epoca. Visentini venne ritenuto troppo bello per le fatiche del mestiere e inadatto caratterialmente perché benestante. Roby d’altronde ci mise del suo: le sue crisi di nervi, durante e dopo la corsa, furono spettacolose.
Una volta arrivò a consegnare a uno sbigottito Boifava un sacchetto, contenente la sua specialissima tagliata in decine di pezzi. Amato da alcuni, detestato da molti, rappresentò un bersaglio facile per i fanatici di un certo ciclismo. I quali talvolta, sulla strada, lo insultarono in modo indegno. La (stoica) capacità di sopportazione del bresciano crollò in un’occasione: quel giorno, dopo uno sputo, non fosse stato per l’intervento di un meccanico, si sarebbe verificato il primo omicidio della storia del Giro.

5. Già, la corsa rosa: la sua preferita, la recita che lo vide sempre primattore. Furono anni di Giretti facili, ideati dal patron Vincenzo Torriani per esaltare le doti di Franz e Beppe; percorsi leggeri, privi di salite cattive. A favorirli ulteriormente il regalo di abbuoni assurdi, mezzo minuto, ai vincitori di tappa: fu proprio per quelle simonie che il nostro perse l’edizione del 1983. Infatti, togliendo le bonificazioni, a Udine il biondino dell’Inoxpran si sarebbe vestito di rosa al posto dell’allora campione mondiale Saronni. Il Giro "del Guttalax" fu però una passeggiata di salute rispetto a quelli del 1984 e del 1987. 

6. L’anno del Moser eroe dell’ora fu vissuto pericolosamente da Visentini, che peraltro vinse da fuoriclasse la frazione di Lerici, sotto la pioggia battente. Il problema fu che il bresciano disse, senza alcuna diplomazia, la verità: cioè che l’organizzazione aveva favorito in maniera vergognosa il ballerino di Roubaix cancellando lo Stelvio e chiudendo gli occhi di fronte alle spinte e alle scie motociclistiche a favore del conconiano. In Trentino, salendo verso Selva di Val Gardena, il gardesano fu oggetto della simpatia (…) e delle attenzioni delle legioni moseriane e crollò psicologicamente. Per moltissimi il figlio di papà che osò dileggiare l’idolo delle folle aveva solo ricevuto ciò che si meritava. 

7. Ma la vicenda che segnò la carriera del golden boy si verificò nella drammatica edizione 1987, quella sì dal punto di vista tecnico degna dei Giri più gloriosi. Il compagno di squadra Stephen Roche, co-leader di una Carrera incasinatissima, orchestrò una singolare insurrezione contro la maglia rosa coadiuvato dalle squadre che lo volevano firmare per il 1988. E con la collaborazione anche di amici italiani come l’iridato Moreno Argentin. In una giornata irreale Roby saltò a pochi chilometri dal traguardo, vanificando l’impresa più bella della carriera: la crono di San Marino, quandò con stile inconfondibile aveva divorato il resto dei pretendenti alla rosa, compreso il perfido Stefano. Una frattura al polso, alla penultima tappa, con il conseguente ritiro completò l’odissea del campione bresciano. 

8. A rinforzare la tesi di un Visentini sopravvalutato arrivarono le partecipazioni sfortunate alla Grande Boucle: da censura totale l’orripilante ’85, con qualche lampo di classe tre anni dopo e con tanti rimpianti nella storica edizione del 1984. Fu l’ennesima caduta a toglierlo di mezzo da una gara che gli stava dando molte soddisfazioni; chi criticò il comportamento della banda Boifava in quei Tour, si dimenticò dell’autentico baratro che, in quell'èra, ci divise dalla leggendaria corsa d’oltralpe. La combinazione micidiale di tracciati durissimi, uniti all’interpretazione garibaldina degli stessi, creò un cocktail indigesto per corridori abituati a salite da 18 e a ritmi addomesticati. 

9. Ma basterebbe ricordarsi del Giro 1986 per inquadrare Visentini nella giusta dimensione: quante volte, sui GPM più impervi, lasciò sul posto un grandissimo come Greg Lemond? Il Visenta dalla classe purissima, così naturale da apparire agli occhi di Alfredo Martini «bello ed elegante come una porcellana preziosissima». Quelle tre settimane furono la giusta ricompensa per un talento mai abbastanza apprezzato dalla platea nostrana: merito (?) della demenziale cronosquadre siciliana se l’edizione ’86 fu divertente, infatti Roby accumulò un ritardo tale da costringerlo ad attaccare su ogni strappo. Con un polso fasciato a causa di una mini-frattura a una mano (ancora!), iniziò una rimonta spettacolare: la pedalata lieve e agile, mai scomposto sulla sella. La rincorsa terminò a Foppolo e Visentini portò fino alla fine, senza patemi, la rosa a Milano: il 2 giugno 1986, giorno del suo ventinovesimo compleanno.

10. Si potrebbe continuare all’infinito con le zingarate di Roberto. L’inquieto passista ebbe, tra l’altro, la caratteristica singolare di non alzare le mani in caso di trionfo solitario, per la felicità dei munifici sponsor che lo stipendiavano, e la particolarità di rifiutare sdegnosamente il confronto in volata: mai visto prendere in considerazione l’arrivo in un plotoncino. Fu pure tricolore, nel 1979, dell’inseguimento su pista: una comica surreale perché, non essendo un drago a guidare un mezzo con il pignone fisso, zigzagò a ogni curva.
Il Giro del Veneto 1990, dopo un paio di annate declinanti, fu l’ultima corsa di una carriera piena di rimpianti, di sconfitte orribili e affermazioni esaltanti. Proprio nel bel mezzo della rivoluzione scientifica che pretese di cambiare le regole di uno sport (un mestiere, un’avventura...) bellissimo e crudele. Consoliamoci con il fatto che ai tempi, per il gardesano, il nome Ferrari fosse ricollegabile solo al rombo di motore di un bolide o, al massimo, agli occhi languidi di un’attrice che imperversò nei filmonzi degli anni ottanta. Il Visentini, nell’anno del trionfo rosa, si presentò alla prima corsa stagionale con nemmeno duemila chilometri nelle gambe.

11. Fuggì dall’ambiente e cominciò a coltivare un silenzio assoluto, quasi disturbante. Un Salinger, o un Giacinto Scelsi, dello sport: distante, irraggiungibile, intoccabile. Concesse solo una intervista da ex e indugiò, al solito, nel suo antico difetto: disse la verità, scomoda e imbarazzante, senza fare prigionieri. 

“Il figlio di papà Visentini, quello che chiamavano fighetto, fa il mestiere di suo padre e suo nonno: prepara i morti. Che è un lavoro duro almeno come quello del corridore. Ma che ha bisogno di una cosa in più: la pietà.”
Simone Basso
(in esclusiva per Indiscreto)

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