Confederations Cup Story: prove di Mondiale

La tormentata storia di un torneo che ha faticato a ritagliarsi spazio e credibilità. Oggi è un'anteprima, un check-up per squadre e organizzazione a un anno dal mondiale. Ma nella memoria collettiva resta per la tragedia di Foe, il più televisto di troppi morti in campo

di Christian Giordano, Guerin Sportivo

Un mini-mondiale. Ecco cos'è, oggi, la Confederations Cup: una prova generale a un anno dal mondiale. I sei campioni continentali, la nazionale del paese organizzatore e la detentrice. Ma non è stato sempre così, anzi. La storia del torneo è lunga. E travagliata. 

MUNDIALITO A CHI?
In principio, è il Mundialito. Sì, la Copa de Oro de Campeones Mundiales, la World Champions’ Gold Cup. Si gioca dal 30 dicembre 1980 al 10 gennaio 1981 ed è il primo tentativo di riunire le nazionali dei paesi vincitori di un mondiale: Uruguay, Italia, Germania Ovest, Brasile, Inghilterra (che rinuncia per il calendario e forse contro Pinochet, sostituita dall'Olanda finalista nel '74 e '78) e Argentina. La formula è semplice: due gironi all'italiana più finale. La vince, 2-1 sul Brasile, l'Uruguay del Ct Roque Máspoli, in campo nel Maracanãzo mezzo secolo prima. Al Centenario di Montevideo, vantaggio della Celeste con Jorge Barrios, pareggio di Sócrates e gol-vittoria del capocannoniere (3 reti) Waldemar Victorino, due anni dopo meteora al Cagliari: 10 presenze, in bianco come la maglia coi quattro mori bordata rossoblù e sponsorizzata «Ariostea». L'Italia è ultima nel gruppo A, 2-0 dall'Uruguay poi campione (Morales su rigore e Victorino) e 1-1 con l'Olanda (gol, l'unico in 26 caps, di Carlo Ancelotti, e Jan Peters, un futuro al Genoa e all'Atalanta) nella rivincita dell'amaro quarto posto di Baires '78. 

La coppa, diretta da Washington Cataldi, presidente del Peñarol e gran mogol del fútbol sudamericano, celebra il cinquantenario del primo titolo mondiale e aveva ottenuto l'avallo della FIFA grazie ai buoni uffici del numero uno João Havelange, la cui rielezione aveva avuto in Cataldi un munifico sponsor. L'organizzazione viene affidata a un imprenditore greco che vive in Uruguay, tale Angelo Vulgaris, titolare di una multinazionale panamense della carne. Leggenda narra che a ribattezzarla Mundialito saranno i perfidi “cugini” argentini, per sminuirne l’importanza e ribadire che l’unico trofeo che contava era il loro Mundial vinto due anni prima sull'altra sponda del Rio de la Plata. La vera portata storica della manifestazione, però, viaggia nell'etere. Il torneo non fu prodotto dalla FIFA, né dalla Federcalcio uruguaiana, ma da un gruppo privato che si accollò le spese per guadagnare con la cessione dei diritti tv e pubblicitari. Per l’epoca, non una rivoluzione: di più.

FRANCHIAMENTE ME NE INFISCHIO
I veri precursori sono in realtà il Trofeo Artemio Franchi e la Coppa del Re Fahd. Nessuno dei due durerà, ma entrambi, come la Afro-Asian Cup (o la sua erede AFC-OFC Challenge Cup) o i campionati Panamericani, portano già in sé il germe di una competizione da disputarsi con regolarità fra campioni continentali. La Coppa Franchi, intitolata al più importante dirigente italiano (presidente UEFA dal 1973 alla sua morte, nel 1983, e vicepresidente FIFA) era l'equivalente per nazionali dell'Intercontinentale per club. Il primo “Franchi” si gioca in gara secca il 21 agosto 1985. A Parigi, davanti ai 20 mila del “Parco dei Principi” dove l'anno prima aveva vinto l'Europeo, la Francia del Ct Henri Michel batte 2-0 il “solito” Uruguay, che nell'83 aveva issato la Copa América: gol dell'angelo verde Dominique Rocheteau, mito tutto ricci e chitarra dell'epopea Saint-Étienne negli anni 70, e José Touré. Giornata-no per “el Principe” Enzo Francescoli, sostituito al 77' da Wilmar Cabrera.

La seconda e ultima edizione, otto anni dopo, in Argentina. A Buenos Aires, il 24 febbraio 1993, la Selección (campione del Sudamerica '91) supera ai rigori la Danimarca, che l'estate prima era rientrata dalle vacanze per conquistare l'Europeo da cui era stata esclusa la Jugoslavia in guerra. In 34.683 si godono l'1-1 dei tempi regolamentari (autogol del blanquiceleste Néstor Craviotto e pari di Claudio Paul Caniggia) e il 5-4 finale dal dischetto: segnano gli argentini Maradona, Batistuta, Simeone e Mancuso; e i danesi Elstrup, Mølby e Brian Nielsen; sbagliano Vilfort – che a Euro '96 aveva commosso il mondo per la “fuga” dalla figlioletta Line di 7 anni malata di leucemia – e Caniggia; reti di Brian Laudrup e Saldaña ed errore decisivo di Goldbæk. È il secondo alloro del Ct Alfio “Coco” Basile, che in estate in Ecuador bisserà la Copa América. Non sono considerati ufficiali invece i due “Franchi” vinti dal Brasile (1989 e 1998), perché non c'era in palio il trofeo.

AFRO-ASIAN CUP
Intanto, dall'altra parte del mondo, si va affermando l'equivalente del Franchi riservato ai campioni d'Africa e d'Asia. La prima Coppa Afro-Asiatica si tiene nel 1978 fra Ghana e Iran, che vince 3-0 fuori casa l'andata. Il ritorno, però, per via della situazione politica iraniana, non viene disputato. Erano infatti iniziate le proteste di massa, poi sfociate nella Rivoluzione islamica del 1979. Anche le edizioni 1989 e 1999 vennero cancellate, idem la teorica Tunisia-Giappone del 2005. E dopo i successi di Camerun su Arabia Saudita (1985), Corea del Sud su Egitto (ai rigori in Qatar, 1988), Algeria su Iran (1991), Giappone su Costa d'Avorio (1993) e Uzbekistan su Nigeria (1995) si chiuderà con la “prima” del Sudafrica sull'Arabia Saudita (1997). Per rigiocare bisognerà aspettare il 2005, con la nuova denominazione di AFC Asia/Africa Challenge Cup. E nel 2007 il Giappone farà doppietta col 4-1 sull'Egitto. Chiusa la decennale guerra fra confederazioni, l'esperimento ha però fatto il suo tempo. Idem, la AFC-OFC Challenge Cup: 3-0 del Giappone sull'Australia nel 2001 e dell'Iran sulla Nuova Zelanda nel 2003.

COPPA RE FAHD
La prima Confederations Cup, anche se ancora non si chiama così, è la King Fahd Cup, a Riyadh dal 15 al 20 ottobre 1992. L'unica senza girone di qualificazione, e riservata ai campioni di 4 confederazioni (Oceania esclusa): Arabia Saudita '88, Argentina '91, Costa d'Avorio '92 e Stati Uniti '91. Vince facile l'Argentina, 2-1 in finale all'Arabia Saudita, dopo il 3-0 arabo agli americani e il 4-0 sudamericano agli Elefanti (doppietta di Bati-gol, poi Ricardo Altamirano e Alberto Acosta). Si gioca al King Fahd II International Stadium, ma mentre per la semifinale dell'Argentina si presentano in 80 mila, alla finale vanno in 75 mila. Messa al sicuro la vittoria con Leo Rodríguez, Caniggia e Simeone, i ragazzi di Basile beccano il gol di Saeed Al-Owairan ma allungano a 20 partite la loro striscia di imbattibilità. Il Maradona d'Arabia che al mondiale '94 segnerà al belga Michel Preud'Homme lo storico gol in serpentina. Per la FIFA il sesto del secolo. Ma non sufficiente da evitargli l'anno di squalifica per aver infranto, bevendo alcool, la legge araba. Col 5-2 agli ivoriani, terzo posto agli USA dei paisà Tony Meola e Paul Caligiuri.

ARABIA SAUDITA 1995, SI PENSA IN GRANDE
Dopo l'ennesimo flop, per il gennaio 1995 si pensa (più) in grande. Sei invitate: la Danimarca campione d'Europa, l'Arabia Saudita padrona di casa, il Giappone vincitore della Coppa d'Asia, la Nigeria detentrice della Coppa d'Africa e il Messico re di Gold Cup. Due gironi da tre “allungano” il torneo (dal 6 al 13 gennaio), e la finale Argentina-Danimarca assicura credibilità. Ai locali però intriga il giusto: in finale s'accodano in 35 mila per il 2-0 danese di Michael Laudrup (su rigore) e Peter Rasmussen. Hernán Crespo in panchina e titolare Sebastian Rambert, l'Avioncito mai decollato all'Inter, resta un mistero sondabile, forse, al solo Ct Daniel Passarella. Inspiegabile invece che nemmeno entri in partita una Selección con Roberto Ayala, Javier Zanetti, Batistuta e il Burrito (asinello) Ariel Ortega ancora non devastato dall'alcool. Il derby delle rivelazioni va al Messico di Luis García (capocannoniere con 3 gol), terzo ai rigori sulla Nigeria dell'eterna promessa Daniel Amokachi.

1997, ARRIVA LA FIFA
La FIFA annusa l'odore dei soldi e nel 1997 rileva il torneo. Si gioca (dal 12 al 21 dicembre) di nuovo in Arabia Saudita, e nel provvisorio accrocco chiamato FIFA/Confederations Cup for the King Fahd Trophy, per la prima volta sono rappresentate tutte le confederazioni. L'Oceania, con l'Australia regina della OFC Nations Cup '96, è matricola assoluta. Il torneo viene ampliato a 8 squadre: il Brasile campione del mondo a USA '94; gli Emirati Arabi finalisti di Coppa d'Asia '96, perché la vincitrice, l'Arabia Saudita, era ammessa come paese organizzatore); l'Uruguay detentore della Copa América '95; il Messico vincitore della Gold Cup '96; per rinuncia tedesca la Repubblica Ceca vicecampione d'Europa '96 e il Sudafrica vincitore in casa della Coppa d'Africa '96, la prima post-apartheid.

La cenerentola Australia arriva fino all'ultimo ballo ma a mezzanotte scappa: 6-0 dal Brasile in finale con triplette di Romário (Scarpa d'oro con 7 gol) e Ronaldo (4). Per gli Aussies dell'ex Ct inglese Terry Venables e con tanta Premier in campo (Bosnich tra i pali e la coppia d'attacco Viduka-Kewell), è già un miracolo arrivarci: una vinta su 5, al debutto, 3-1 al Messico. 

Interessante la rivisitazione che l'eterno Mário “Lobo” Zagallo fa del 4-2-2-2 del colombiano Pacho Maturana. Davanti a Dida, centrali Aldair e Junior Baiano; Cafu e Roberto Carlos ali vere mascherate da terzini; Dunga e César Sampaio doppia diga dietro la fantasia al potere: Juninho Paulista (quello del Middlesbrough, non il Pernambucano che al Lione ispirerà Pirlo) e Denílson, Pallone d'oro del torneo, a ispirare la R2 là davanti. La rivelazione è l'Uruguay, quarto dietro i cechi, riemerso dall'oblio con un blocco di veterani (Paolo Montero, Àlvaro Recoba e Darío Silva) su cui Víctor Púa ha innestato la freschezza di Nicolás Olivera, Marcelo Zalayeta (un futuro luminoso a sprazzi con Juve e Napoli) e Walter Coelho, finalisti al Mondiale U20 in Malesia a inizio anno.

1999, ¡Qué viva México!
La Confederations Cup, come ormai viene chiamata, ha acquisito un suo status internazionale. Le manca ancora un po' di appeal, se per tre volte (la Germania nel 1997 e 2003, la Francia nel 1999) i campioni d'Europa la snobbano. E le mutevoli modalità di qualificazione certo non aiutano. Un esempio? Il Messico ammesso nel 2003 in virtù del successo di due anni prima. Nel 1999 per la prima volta la Coppa non si assegna in Arabia Saudita, e la scelta messicana è due volte azzeccata: sugli spalti e in campo. Quasi un milione di spettatori, 60.625 di media a partita, il triplo delle due edizioni precedenti. Una festa del gol (3,44 reti per gara), favorita da superstar globali come il brasiliano Ronaldinho (Scarpa e Pallone d'oro del torneo) o miti in patria ma poco più che carneadi all'estero quali il messicano Cuauhtémoc Blanco e il saudita Marzouq Al-Otaibi – tutti top scorer a quota 6. Il Messico dà spettacolo e brividi con un 3-4-3 sbarazzino col variopinto Jorge Campos in porta, Claudio Suárez in difesa e il letale duo Blanco-Luis Hernández in avanti. A un altro storico 4-3 allo stadio Azteca di Città del Messico, quello della Tricolor sul Brasile il 4 agosto, assistono in 110 mila. Ma al di là del gradimento popolare, del torneo non sono ancora chiari il perché e il dove si giochi. E soprattutto il quando. Nel 2001 si trova finalmente la soluzione che poi sarà definitiva. La sede, Corea del Sud e Giappone, è la stessa che, congiunta, l'anno dopo co-ospiterà il mondiale. E così la Confederations Cup diventa per tutti (organizzazione, infrastrutture e squadre) una prova generale a dodici mesi dalla Coppa del mondo. 

2001, SI APRE ALLE COPPIE

Nel 2001, si trova una soluzione a lungo termine. A ospitare l'evento saranno Corea del Sud e Giappone, co-organizzatori del Mondiale l'anno successivo. Totale spettatori (557.191) in calo e i 6 stadi quasi pieni (34.824 di media), complice la cavalcata fino alla finale del Giappone, sono il segnale che la strada è giusta. In fondo, coi figli del Sol Levante, ci arriva la Francia campione d'Europa. Nonostante le assenze di Fabien Barthez e Zinédine Zidane, il Ct Roger Lemerre può ancora contare su Patrick Vieira (suo il gol-vittoria), Sylvain Wiltord, Marcel Desailly e il miglior Robert Pirès in carriera. Tutto facile con Corea (5-0) e Messico (4-0), poi lo scivolone con l'Australia (0-1) del Ct Frank Farina, da centravanti (non) visto al Bari '91-92. I Socceroos chiudono terzi, la Francia in semifinale col Brasile si prende la rivincita (2-1) di Parigi '98. E a Yokohama, nell'ultimo atto, il Giappone, allenato dal parigino Philippe Troussier, dopo aver convinto con Canada (3-0), Camerun (2-0) e Brasile (0-0) delude anche come sparring nella sfida fra 4-4-2. Junichi Inamoto (Arsenal), Shinji Ono (Feyenoord) e compagni però l'anno dopo saranno non gli ultimi ma i primi giapponesi fra le top 16 di un Mondiale. Demotivato, il Brasile chiude quarto, dietro l'Australia.

FRANCIA 2003, LA TRAGEDIA DI FOE
Anche in premio alla vittoria di due anni prima, l'edizione 2003 viene affidata alla Francia campione uscente. Sarà l'ultima con la sede diversa da quella del successivo mondiale. Ma nella storia ci entra, il 26 giugno, per la tragedia in mondovisione del camerunese Marc-Vivien Foe, morto negli spogliatoi un'ora dopo essere collassato nel cerchio di centrocampo al 72' della semifinale con la Colombia, battuta 1-0. L'autopsia escluderà il doping e attribuirà il decesso a una congenita cardiomiopatia ipertrofica (ventricolo sinistro ingrossato). Gli occhi riversi del 28enne centrocampista, a terra sul prato dello Gerland – il suo stadio col Lione prima del prestito al Manchester City – restano la tragica icona di un dramma poi sfiorato, il 17 marzo 2012, da Fabrice Muamba del Bolton al White Hart Lane nei quarti di FA Cup col Tottenham e ripetutosi con Piermario Morosini del Livorno a Pescara in Serie B il 14 aprile di quell'anno maledetto. 

Per Foe il defibrillatore non c'è. E lo spettacolo “deve” continuare. Si accendono i soliti grandi dibattiti sul calendario troppo affollato, sulla prevenzione. E il presidente della FIFA, Sepp Blatter, si distingue per la solerzia con cui comunica che la finale, tre giorni dopo, si sarebbe giocata. Già nell'altra semifinale, Francia-Turchia 3-2, cominciata a Parigi un'ora dopo, si assiste a scene mai viste – i giocatori che a stento trattengono le lacrime, Thierry Henry che “esulta” coi compagni puntando il cielo. E nei giorni seguenti in molti si chiedono se il Camerun scenderà in campo. Lo farà, arrendendosi solo nei supplementari al golden gol (97') di Henry, ovvio Man of the Match. Fino a mezz'ora prima Winnie Schaefer, Ct tedesco dei leoni indomabili, aveva tenuto in panca Samuel Eto'o: un assist troppo invitante per i Bleus, passati da un anno a Jacques Santini. E mentre Desailly, per alzare la sua seconda Confederations consecutiva, chiama a sé il capitano avversario Rigobert Song, il mondo s'è già scordato la promessa-bluff della FIFA di dedicare il trofeo a Foe, omaggiato con una gigantografia e una breve cerimonia pre-finale. Tra i tanti striscioni, uno fa esondare le lacrime: «Un Leone non muore mai, si addormenta soltanto».

GERMANIA 2005, IL MODELLO TEDESCO
Il torneo trova, due anni dopo, a Germania 2005, formula e scopi definitivi: un check up generale a 12 mesi dal mondiale. Negli stadi, nuovi o rinnovati in vista del mondiale che segnerà la rinascita del calcio tedesco, si affollano in 603.106 (37.694 a partita) e si segna tanto (56 volte in 16 gare, 3,5 a partita). I padroni di casa escono in semifinale contro il Brasile, poi campione col 4-1 all'Argentina. A Francoforte brilla il nuovo Cuadrado Mágico verdeoro – Adriano (doppietta, e top scorer con 5 gol), Kaká, Ronaldinho e Robinho, l'unico a secco in finale al Waldstadion –, ma l'anno dopo sarà il grande flop. Dopo il no del 2003 (sostituita dalla Turchia terza in Giappone e Sud Corea 2002), la Germania di Jürgen Klinsmann e del suo brillante tattico Joachim Löw finisce terza (davanti al Messico) come l'anno dopo (Uruguay). Ma stravince il “mondiale” dei giovani, della multietnicità, dei bilanci, degli stadi, moderni e pieni.

SUDAFRICA 2009, IL SOGNO ARCOBALENO
Nel 2009 per la prima volta la Confederations Cup si ripete con scadenza e criteri attuali: quattro anziché due anni, e negli stadi che l'anno dopo ospiteranno il mondiale. Si va in Sudafrica, primo paese del continente a organizzare il mondiale. Partecipano i sei campioni delle confederazioni, la nazione ospitante e i campioni del mondo in carica, mentre per i campioni d'Europa e del Sud America la partecipazione resta un optional. Per la svolta, come sempre, «follow the money», seguite i soldi, la frase che la Gola Profonda del Watergate disse solo nel film.
Debutta finalmente l'Italia, campione del mondo a Berlino 2006. È una squadra molto, troppo sperimentale quella di Marcello Lippi, Ct reinsediato dal presidente federale Giancarlo Abete a forza di autocandidature al posto del povero Roberto Donadoni, esonerato senza un perché dopo Euro 2004 (anzi sì: il ko ai rigori ai quarti contro la Spagna poi campione). Il popolo azzurro scopre il talento fragile e purissimo di Giuseppe Rossi, il cui sfolgorante sinistro si rivela al mondo un minuto dopo essere entrato nel match di esordio, con gli Stati Uniti avanti 1-0 col rigore di capitan Landon Donovan: al 58' ruba palla nel cerchio di centrocampo e se ne va, e dai 25 metri fionda una sassata a uscire che s'infila tra palo e Tim Howard. “Pepito”, l'Americano di Teaneck, New Jersey, in gol agli Yankees: una favola. Bella storia, ma di redenzione, anche quella del raddoppio: altra sassata dai 25 metri, ma in diagonale col destro, quella di Daniele De Rossi, che proprio contro gli USA, a Germania 2006, aveva scritto la sua pagina più nera in azzurro: la gomitata in faccia a Brian McBride. Se possibile persino più bello il 3-1 di Rossi, in controbalzo di destro, dopo una magia alla Redondo di Pirlo sull'out sinistro. L'incanto però finisce lì. L'Italia le busca dall'Egitto (0-1 di Mohamed Homos) e viene piallata dal Brasile del più forte Luis Fabiano visto in carriera. Dossena che infila Buffon con l'autogol dello 0-3 è l'immagine di quella fallimentare spedizione azzurra, assieme all'improponibile divisa: maglia celestina, calzoncini e calzettoni marroni (sic). Il torneo lo vince il Brasile, che in finale vince 3-2 rimontando due gol agli Stati Uniti di Bob Bradley (papà del Michael poi centrocampista di Chievo e Roma), sorpresona che in semifinale aveva buttato fuori (2-0) la Spagna. La Seleção si piglia Scarpa (Luis Fabiano) e Pallone (Kaká) d'oro, Howard il Guanto di miglior portiere. Quarto il Sudafrica, battuto solo all'overtime dai campioni d'Europa che l'anno dopo torneranno per vincere il Mondiale. Il peggiore nella storia azzurra, quello che – dopo gli 1-1 con Paraguay e Nuova Zelanda e il 2-3 con la Slovacchia – sancirà l'addio, stavolta definitivo, di Lippi. Il cui unico rammarico sarà «non aver portato Rossi».

BRASILE 2013, IL GIGANTE è SVEGLIO
La Confederations Cup è una realtà. Da quando i diritti per trasmetterla sono associati a quelli del mondiale, anche televisiva. Il Brasile, per non rivivere un altro Maracanãzo, non ha aspettato di giocarla (come paese organizzatore) per richiamare Felipe Scolari – pentacampeão nel 2002 – al posto di Mano Menezes. L'Italia ci torna da vicecampione d'Europa, grazie alla Spagna campione (anche) del mondo. Il Giappone è campione d'Asia, il Messico ha vinto la Gold Cup, la Nigeria la Coppa d'Africa e l'Uruguay la Copa América, Tahiti la OFC Nations Cup. Si fa sul serio. Prandelli ha voluto persino un nutrizionista. E già a metà maggio sono giunti via-mare a Rio de Janeiro carri armati tedeschi Gepard nuovi di zecca per garantire la sicurezza durante la cerimonia di apertura e la finale. Sono i migliori semoventi di artiglieria antiaerea, in grado di abbattere missili, aerei, elicotteri e droni a una distanza di 15 km e a un'altitudine massima di 3.000 metri. Benvenuti al mini-Mondiale.
Christian Giordano, Guerin Sportivo, giugno 2013


Il trofeo
Data della manifattura: 1997 (base riprogettata nel 2012)
Peso: 8.6 kg
Altezza: 40 cm
Diametro base: 16 cm
Larghezza massima: 16 cm
Materiale: bronzo, oro placcato, base in lapislazzuli, avorio
Produttori: Europokal, Volketswil (Svizzera); Schumacher Goldschmied (Svizzera)
Design: Fritz Jucker, Zurigo (Svizzera)

Il trofeo è rappresentativo del tema del torneo, “Festival dei Campioni. Due nastri d'oro fasciano il corpo centrale in un movimento festoso e dinamico. E collegano visivamente al mondo (i sei continenti) i sei medaglioni (le Confederazioni), disposti intorno al segmento superiore della base, e ciascuno recante il nome di una confederazione (UEFA per l'Europa, CONMEBOL per il Sud America, CONCACAF per Nord e Centro America, CAF per l'Africa, AFC per l'Asia, OFC per l'Oceania). Il mondo fa riferimento ai sei continenti, le cui nazionali partecipano al torneo FIFA. Nel 2012 il trofeo è stato rimodernato, e la base riprogettata a forma di cono per completare la famiglia di trofei FIFA. (c.g.)


Albo d’oro
Edizione Campione Seconda Terza Quarta
Arabia Saudita 1997 BRASILE Australi a Rep. Ceca Uruguay
Messico 1999 MESSICO Brasile Stati Uniti Arabia Saudita
Corea del Sud/Giappone 2001 FRANCIA Giappone Australia Brasile
Francia 2003 FRANCIA Camerun Turchia Colombia
Germania 2005 BRASILE Argentina Germany Messico
Sudafrica 2009 BRASILE Stati Uniti Spagna Sudafrica


Le 6 finali
Arabia Saudita 1997 Brasile-Australia 6-0
Messico 1999 Messico-Brasile-4-3
Corea del Sud/Giappone 2001 Francia-Giappone 1-0
Francia 2003 Francia-Camerun 1-0 dts
Germania 2005 Brasile-Argentina 4-1
Sudafrica 2009 Brasile-Stati Uniti 3-2

Marcatori all-time
9 gol Cuauhtémoc Blanco,        Messico
Ronaldinho,                   Brasile
7 gol Adriano,                       Brasile
Romário,                                   Brasile
6 gol Marzouk Al-Otaibi Arabia Saudita
5 gol Alex,                             Brasile
John Aloisi,                   Australia
Luís Fabiano,                 Brasile
Robert Pirès,                  Francia
Vladimír Šmicer,             Rep. Ceca


Pallone d’oro (Miglior giocatore) *
Arabia Saudita 1997 Denilson,           Brasile
Messico 1999 Ronaldinho,        Brasile
Corea Sud/Giappone 2001 Robert Pirès,       Francia
Francia 2003 Thierry Henry,    Francia
Germania 2005 Adriano,             Brasile
Sudafrica 2009 Kaká,                 Brasile
* Scelto dai giornalisti.


Scarpa d’oro (capocannoniere) **
Arabia Saudita 1997 Romário Brasile 7
Messico 1999 Ronaldinho Brasile 6
Corea Sud/Giappone 2001 Robert Pires Francia 2
Francia 2003 Thierry Henry Francia 4
Germania 2005 Adriano Brasile 5
Sudafrica 2009 Luís Fabiano Brasile 5
** A parità di gol segnati, viene premiato il miglior assistman.


Guanto d’oro (Miglior portiere) 
Germania 2005 Oswaldo Sánchez Messico
Sudafrica 2009 Tim Howard Stati Uniti


FIFA Fair Play Award ***
Arabia Saudita 1997 Sudafrica
Messico 1999 Nuova Zelanda, Brasile
Corea Sud/Giappone 2001 Giappone
Francia 2003 Giappone
Germania 2005 Grecia
Sudafrica 2009 Brasile
*** Secondo il regolamento stabilito dal FIFA Fair Play Committee.


Ct vittoriosi
1992 Alfio Basile (Arg) Argentina
1995 Richard Møller Nielsen (Dan) Danimarca
1997 Mário Zagallo (Bra) Brasile
1999 Manuel Lapuente (Mex) Messico
2001 Roger Lemerre (Fra) Francia
2003 Jacques Santini (Fra) Francia
2005 Carlos Alberto Parreira Bra) Brasile
2009 Dunga (Bra) Brasile

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