Leggerezza di Spartacus
di SIMONE BASSO
Il Giornale del Popolo, 12 aprile 2014
La Settimana Santa del ciclismo si conclude, domenica pomeriggio, nel Velodromo di Roubaix: un luogo sacro per lo sport europeo, come solamente Kitzbühel, Holmenkollen e Wimbledon. Il leitmotiv del rito, che riverbera e addirittura amplifica l’epica brutale della Ronde, è il solito: Cancellara, che a Oudenaarde ha chiarito la sua collocazione storica, contro l’Omega Pharma - Quick-Step, la corazzata del Nord ancora a secco o quasi; il resto però non è mancia.
SPARTACUS E GLI ALTRI
Ribadiamo che il tris fiammingo del bernese rende ancor più evidente il concetto: Fabian, alla voce flahute, nel dopoguerra, è in una compagnia esclusiva. Al suo livello solamente Rik Van I e II, Merckx, De Vlaeminck, Museeuw e Boonen. Poi, allargando la cerchia, potremmo discutere – sempre in ordine rigorosamente cronologico – di Impanis, Magni, Godefroot, Moser e Kelly. Alla Regina ha da chiedere tutto e niente: il poker sì, ma con la leggerezza di chi ha già in tasca uno scalpo prestigioso. Affiancato da una buonissima Trek, vedremo se continuerà lo straordinario filotto. Difatti, nelle sue (...) tre gare monumento (Sanremo, Fiandre e Rubè), con l’eccezione della Ronde 2012 (quando cadde e dovette ritirarsi), il mostro elvetico ha affastellato undici podi consecutivi… Banda-Lefevere in assetto di guerra, con Boonen ultima carta e gli agguati (possibili quanto à bloc) dei vari Terpstra, Stybar e Vandenbergh. E gli altri? I BMC propongono un dinamico duo niente male, Van Avermaet e Phinney (attenti al trampoliere americano...), poi ci sarebbe Sep Vanmarcke in quota Belkin. E’ il prossimo “pietraio” o almeno quello dell’ultima generazione più pronto di tutti, resta da capire quando avverrà la successione coi Cancellara e Boonen. Segnalando i velocisti resistenti (Kristoff, Degenkolb, Démare...) e i corazzieri del Team Sky (Thomas, Boasson Hagen, Knees...) ricordiamo che a volte, quando il favorito di turno incute timore reverenziale, le fughe a lunga gittata hanno avuto un successo insperato. Accadde nel 2007 con un compagno di Cancellara, l’Aussie Stuart O’Grady, che approfittò della rincorsa tardiva del plotone e di una giornata di sole dal tepore estivo. Pure il precedente più clamoroso, che risale all’88, coinvolse un atleta che oggi è legato professionalmente al fuoriclasse di Berna.
DE MOL E DE VLAEMINCK
La forza del paradosso è inserire, nello stesso argomento, gli estremi che – strano ma vero – si toccano. Dirk De Mol, attuale diesse di Spartacus, è l’unico brocco che si sia mai aggiudicato la Classicissima del pavè. Quell’anno non si entrava nel Velodromo, ci si fermava (per pecunia) davanti a un supermercato; la mattina prese forma (e sostanza) una fuga-bidone. Il belga, col biglietto vincente della lotteria in mano, ebbe l’aiuto fondamentale del Cancellara dei poveri, il rouleur Thomas Wegmuller, passista strapotente e generoso; che lo condusse al traguardo e, preparandosi alla volata, si accorse di un pezzo di carta negli ingranaggi del cambio: nemmeno riuscì a sprintare… Dietro, terzo e più inviperito del solito, il grande Laurent Fignon, primo mammasantissima in rimonta. Ecco, De Mol incarna (suo malgrado) l’antimateria nell’identikit del mattatore della Rubè. Se ti chiamano Monsieur Roubaix, non hai bisogno della carta d’identità per presentarti. Il mito di Roger De Vlaeminck va oltre il peso specifico di un palmarès sontuoso. Veltro da pianura, fondista nato, finisseur a ventiquattro carati; un funambolo nel “limare” e con le pieghe in curva, nella conduzione del mezzo, da ciclocrossista sopraffino. Campionissimo umorale, matto, figlio di buona donna a leggere le debolezze altrui, a evidenziarle, e nel cogliere l’attimo fuggente; che giunse – la prima delle quattro volte che si impose nella Reine – il 16 aprile 1972, l’ultima di quella èra nella selva oscura…
ARENBERG
La Foresta è la trasposizione agonistica dell’immaginario, infernale, dantesco. Solo un altro posto nel mondo, l’Hausbergkante della Streif, il sabato della libera, può eguagliare il terrore di quella distesa spaccaossa di cubetti di porfido. Scoperta da Jean Stablinski – che là aveva fatto il minatore… – e introdotta nel 1968, fu abolita (provvisoriamente) quattro anni dopo: il dì che, nell’attraversarla, dovettero ritirarsi in ventidue (compreso Eddy Merckx). Ritornò nell’83 e fu un delirio, tra fango e pozzanghere che parevano crateri lunari. Vinse un vecchio lupo di mare, Hennie Kuiper, malgrado un gladiatorio Moser. Ad Arenberg, tra gli altri, rischiò l’amputazione di un arto Johann Museeuw (1998): rimane, al netto della recente inversione di marcia per entrarci, il punto-chiave della corsa. Chi si ferma o viene staccato all’ombra delle ciminiere ha già perso la contesa. “Lasciate ogni speranza o voi ch’entrate”. L’inferno, innanzi tutto. Quest’anno la scritta dell’Alighieri (riutilizzata in funzione postmoderna persino da Bret Easton Ellis…) dovrebbe comparire, a mo' di striscione, al settore 28 in località Troisvilles a 97,5 chilometri (sui 257 totali). Duemiladuecento metri belli tosti; del resto la razione di pavè nel 2014 sarà di 51,1 km. Caronte in persona, la Trouée d’Arenberg (il 18: 2400 metri di lunghezza), arriva ai meno 95,5. Se i tre chilometri d’acciottolato di Mons-en-Pévèle (10, a cinquanta dal traguardo) sono quasi sempre stati decisivi, l’ultima botta è rappresentata dalla sequenza micidiale di Camplin-en-Pévèle (il 5: 1800 metri al km 237) e Le Carrefour de l’Arbre (4: 2100 metri a meno diciassette dalla meta). Anche se alcuni ciclisti la pensano come Sartre (“L’inferno sono gli altri”), già farsi la doccia coi colleghi sopravvissuti, nella palestra spartana del Velodromo, significa almeno un po di (agognato) Purgatorio.
SEAN E BRADLEY
Trent’anni fa, col fango che ricopriva le strade, i corridori, le bici, gli spettatori, nemmeno fosse stato gli schizzi del pennello di Pollock, Sean Kelly si aggiudicò il safari (…) nella melma. Nel 1986 avrebbe fatto il bis. Lui, dopo Kuiper e Hinault, è ancora l’ultimo “tappista” (o polivalente) ad essersi aggiudicato la Parigi-Roubaix. Ci fa piacere che un vincitore del Tour, Sir Bradley Wiggins, voglia cimentarsi con l’Enfer du Nord: qualsiasi risultato otterrà, ha dimostrato rispetto (per la tradizione) e intelligenza. E' un bel gesto che rinnova, a suo modo, il fascino leggendario (e truculento…) della Rubè. Una competizione organizzata nel 1896 da due filandieri (Vienne e Pérez), quasi per caso, nata per preparare la Bordeaux-Parigi e divenuta – in breve tempo – la Regina delle classiche.
SIMONE BASSO
(per gentile concessione dell’autore, da Il Giornale del Popolo del 12 aprile 2014)
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