FOOTBALL PORTRAITS - Inzaghi, nato in fuorigioco (2014)


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di Christian Giordano, Guerin Sportivo, 2014

REM. «Regole. Emozioni. Motivazioni». È il mantra che Filippo Inzaghi ha condiviso nei due anni con Filippo Galli, da luglio 2009 direttore del settore giovanile rossonero. Una stagione di Allievi Nazionali. Una alla Primavera, con tanto di Viareggio in bacheca. Et voilà, la prima squadra. Alzi il braccio alla Franz Baresi chi avrebbe mai pensato che uno così, un super ego-leador «nato in fuorigioco» (copyright Alex Ferguson), potesse diventare allenatore. Del Milan. A 41 anni (il 9 agosto). Per carità, le qualità le ha. In campo e fuori. Studiarlo, il gioco, lui lo ha sempre studiato. I rapporti, poi, ha saputo coltivarseli. Dai media al «Presidente, che spero venga spesso», dal «dottor Galliani» (che dottore non è ma geometra sì) suo sponsor perenne (inquietante lo spot Nivea Men) ai citatissimi «nostri tifosi». E quanto alla sua iper-sbandierata identità rossonera, un must della «famiglia Milan», non è mai stata in discussione.

DICA 4-3-3
Pensava fosse amore (Juan Manuel Iturbe, Alessio Cerci, Nani), invece è un calesse (Jérémy Ménez e Stephan El Sharaawy). E chissà se litigarello. L'Inzaghi allenatore, nei rapporti (Daniele Bonera dixit) come alla lavagna, è rimasto ancelottiano. Com'era da giocatore, anche se all'albero di Natale, che al Milan di Carletto ne fece la fortuna, predilige il 4-3-3 o al più il 4-3-1-2 anziché il 4-2-3-1 che tanto va di moda.
Da centravanti adorava gli assist del brasiliano Serginho, ex ala sinistra mai nota per la difesa e riconvertitasi fantasioso terzino dal succulento cross a rientrare. Con quei palloni piazzatigli ad hoc su testa, petto o piedi Pippo ha segnato valanghe di gol. Brutti, sporchi e cattivi. Ma soprattutto tanti: 316 tra club (288 totali, 126 col Milan) e nazionali (25 con la A, 3 con la Under 21).
Persino con auto-assist, come a San Siro in Champions: di testa nel 3-1 al Dortmund e di piede nel 4-1 al Bayern. «Così è contento e non rompe più i...», sorrideva sollevato Ancelotti. O di carambola: se pensate che quello di Atene 2007 su punizione deviata di Pirlo sia casuale, non ne conoscete la storia.
Ecco perché Pippo vuole una prima punta d'area “alla Inzaghi” ma più potente, sfondatore. L'amore? Edin Dzeko o Jackson Martínez. Il calesse? Il primo Giampaolo Pazzini, o pure l'attuale, magari con percentuali realizzative migliori e assistito più da esterni veri che da seconde punte. Cioè non proprio il ritratto dell'ex Roma e PSG e del redivivo El Sha, chiamato al riscatto dopo l'annus horribilis di infortuni. Mario Balotelli? «Un patrimonio del Milan e del calcio italiano».

PINATO PER VINCERE
Da centrale a terzino sinistro sarà provato Marco Pinato, figlio dell'ex ex portiere rossonero Davide, che di Pippo era compagno in prima squadra. Inzaghi ne ha già allenato il figlio nella primavera. Avrà una chance, con Mattia De Sciglio riportato a destra se Ignazio Abate dovesse partire, magari per Mimmo Criscito dello Zenit. In fondo, tutto tornerebbe: l'agente di Inzaghi è Tullio Tinti, Criscito ha Claudio Pasqualin e nel Milan ci sono Andrea Petagna e Bryan Cristante che “sono” di Giuseppe Riso. La parrocchia è quella. Non è un mistero però che a sinistra il sogno proibito fosse Pablo Armero, nazionale colombiano dell'Udinese. Il Milan lo aveva già cercato a gennaio 2013 offrendo come contropartita Kévin Constant, ma il francese naturalizzato guineano non voleva il Napoli e il Napoli non voleva lui, così non se ne fece niente.

PIRLOST
Altro cardine del credo tattico inaghiano, il regista davanti la difesa e tra due mezzeali tuttofare. Per riavere Andrea Pirlo, Pippo farebbe follie e figuriamoci dopo che il salto della barricata, in senso inverso, lo ha fatto Massimiliano Allegri, che in rossonero all'Architetto, complici gli infortuni, preferì il manovale Mark Van Bommel. Nel ruolo verrà provato con continuità Riccardo Montolivo, quando rientrerà dalla frattura costatagli il mondiale. “Monto” però è più un interno o vertice alto nel rombo che un classico metronomo, e più che nel lancio ha nel (sopravvalutato) tiro da fuori un cult del repertorio. Certo il prototipo che Inzaghi vuole in quella zona non è il mastino olandese Nigel De Jong, magari si tenterà con Bryan Cristante davanti la difesa, visto che lui Riccardo (Sapo) Saponara – dopo un anno di infortuni – lo vede più mezzala sinistra. Pippo vuole gente che si sbatta nelle due fasi. E si spiegano anche così il rinnovo di Muntari Sulley, discreto il suo mondiale col Ghana, e il riscatto di Andrea Poli. L'ex sampdoriano, che piace per duttilità e propensione al sacrificio, sognava Brasile 2014, «e certo Seedorf non mi ha aiutato». Inzaghi potrebbe fargli riconquistare l'azzurro perduto.

STASERA SPAGO IO
Bresaola, petto di pollo, crostatina di frutta, ovetto, merenda con tè e biscotti Plasmon: che Pippo sia un talebano della sana alimentazione è stranoto. Inutile soffermarcisi oltre. Meglio semmai ricordare che all'iper-mediatico “Giannino” (ma anche al meno noto “Novecento” di via Ravizza, altro storico covo di Allegri per il dopogara), mentre in altra sala i compagni gozzovigliavano e bevevano, Inzaghi andava di pasta in bianco o al pomodoro («se vuol fare un colpo di vita», ghigna papà Giovanni) e bistecchina triste.
Da giocatore, con i compagni per qualche occasione da festeggiare, andava spesso da Mimmo all'Osteria del Corso, angolo tra via Palermo e Corso Garibaldi, dove si mangia cucina italiana tradizionale, roba che sembra fatta in casa. Altro ritrovo classico, mantenuto da allenatore, Casa Lucia dei proprietari Alvise e Riccardo. Specialità dello chef Valerio: spaghetti alla chitarra, ricotta, pomodorini, fiori di zucca; ma i rossoneri di oggi o di ieri (Montolivo e Bonera; Antonini, Mesbah, Montolivo, Bojan, Boateng e Ibrahimović) virano più sul meno salutistico hamburger al bacon.
La pizza invece se la concede da Pino-Malastrana, meta tipica anche del suo ex capitano Massimo Ambrosini. E quando è proprio arrabbiato si rifugia all'Antica Osteria Cavallini di via Mauro Macchi, zona stazione Centrale. Il top è pesce crudo-paccheri ragù di mare, ma per gli habitué Constant e l'ex Traoré solo cotoletta e ossobuco. Lì, guarda le partite da solo o si vede con gli amici di una vita: “Bicio” e “Toro”, conosciuti venticinque anni fa in vacanza a Ferriere, cittadina sui colli sopra Piacenza. E mai persi di vista, tra pallone, discoteche, interi pomeriggi a giocare a scopa o a tressette. E presenti anche nella storica notte di Atene 2007: «Era teso. Ma è la sua forza: sa trasformare le energie nervose in forza esplosiva. In questo, nessuno è come lui».

LA DIETA DI NOLE
Da allenatore, oltre che il CorSport (lettura preferita sul lettino in spiaggia), s'è messo a leggere libri. Quello di Novak “Nole” Djokovic sulla nutrizione lo ha choccato; Serve To Win: The 14-Day Gluten-free Plan for Physical and Mental Excellence, uscito anche in tedesco. Sarà un caso, ma da quando Nole, neo-re di Wimbledon, ha cambiato alimentazione, è diventato il numero uno al mondo. Idee e consigli subito implementati a Milanello: acqua tiepida per favorire la digestione, tisane alla liquirizia, miele di Manuka, avocado e valanghe di proteine. Vanno bene meticolosità e cura maniacale per i dettagli, negli allenamenti come nell'alimentazione, e passi la scaramanzie da spogliatoio. Qualche volta però Pippo esagera.

LUNAPIPP
A Milanello i compagni lo prendevano in giro perché non cambiava mai tavolo, né le scarpe con cui aveva segnato, almeno finché non erano da buttare. Una volta appoggiò su una sedia un cuscino, portò bene e non lo tolse più.
Durante la rieducazione da un lungo infortunio che ne aveva messo in dubbio la carriera, un sedicente guaritore lo convince a correre sotto la luna piena in un campo sulle colline piacentine.
Ai tempi del Verona, il telecronista prevede in diretta che «se questo ragazzo continua così, andrà in nazionale». Per caso, poco dopo, i due si ritrovano assieme in aereo e Pippo, cui evidentemente avevano riferito, lo avvicina e lo ringrazia. Non è finita. Arrivata la prima convocazione, di lì a poche ore chiamerà quel telecronista per ricordargli l'azzeccata profezia.
Nella categoria però non ha grandi amicizie, dei grandi del Milan era uno dei pochi in confidenza con Mauro Suma, storico aedo per Milan Channel. In genere diffida dei giornalisti, e in particolare – dopo un malinteso poi risolto – di quelli giapponesi, anche se lì la sua popolarità resta spaventosa. Non amatissimo dagli inviati (compresi quelli di fede rossonera), è sempre parso piuttosto isolato anche rispetto ai colleghi. Alla Juve sono leggenda, ma con uno spesso fondo di verità, le reciproche gelosie con Alessandro Del Piero, anche se in area la coppia – leggerina anziché no – funzionava eccome. In realtà in bianconero si sopportava con pochi, e meno di tutti col “Cinghialone” Angelo Peruzzi.
Da giocatore, aveva come factotum, soffiato al compagno di squadra Alessandro “Billy” Costacurta, tale Erminio: classico amico di calciatori “nato” come venditore di auto ai giocatori del Milan e poi specializzatosi in allevatore di cani da concorso di bellezza.
Quella del taccuino su cui avrebbe annotato tutti i gol segnati in carriera, è altra leggenda di metropolitana, sempre che di metropoli si possa parlare, nel caso del paesone Milano, più alienato che alienante, vaticinato mezzo secolo fa da Luciano Bianciardi. Più verosimile la voce che vorrebbe Pippo capace di riconoscere, e declamare a mo' di poesia, ogni suo gol riconoscendoli solo dall'esultanza. E quanto al trovarsi sempre al posto giusto nel momento giusto, quando un giornalista, in tono scherzoso, gli chiese se sentisse delle voci, lui rispose, serissimo, che «questa cosa delle voci comincia a preoccuparmi».

MONS TUA VITA MEA
Se nello spogliatoio era isolato, fuori del campo faceva comunella con Christian Vieri, Paolo Montero, ma poi il legame s'è spezzato. Con Cristian Brocchi è andato anche in vacanza, ma nel calcio di amici ne ha pochini. Qualche bel rapporto, però, sì. Operato ad Anversa dal professor Marc Martens (lo stesso che sistemò il ginocchio di Berlusconi), per la rieducazione sulla sabbia Pippo prese casa a Knokke-Heist, non proprio la Costa Smeralda. Una spiaggia nel nulla dove passava le giornate coi dvd dei suoi gol commentati dal «malefico Pellegatti». Come unico svago le partite a biliardino con Alberto Malusci, difensore ex Fiorentina che ai tempi giocava nel Mons allenato da Sergio Brio. E i pranzi con Giocando Martorelli, tessera 40 di agente FIFA e un rapporto fraterno con Beppe Bergomi, dal post-Mundial '82 il suo primo assistito. Oggi, tra gli altri, rappresenta Giacomo Bonaventura. E dunque non stupitevi se Jack dovesse lasciare l'Atalanta per il Milan di Inzaghi.

IN GINOCCHIO DA LEI
Workaholic, a dir poco. I maligni dicono che l’unico suo interesse oltre al calcio sia l'altra metà del cielo. La fama di sciupafemmine costruita a inizio carriera, cui segue l'attuale status di «single-issimo» dichiarato, è stata messa a rischio da almeno due stop molto glamour. «Sono stato fidanzato con Samantha De Grenet per quattro mesi, una delle mie storie più lunghe. Ora è sposata e ha un bimbo: sono felice per lei, se lo merita. Le altre sono invenzioni».
Un altro suo grande amore è stata la showgirl Alessia Ventura, ex Letterina con Ilary Blasi, poi lady Totti, a “Passaparola”. Galeotto fu un torneo di tennis estivo per calciatori. I due erano vicini di tavolo in un ristorante di Milano Marittima, lui scattò con tre rose rosse, poi il gol con le vacanze a Formentera e a Cap d’Antibes, la prima insieme. «Vorrei un figlio, mi sento pronto, però non voglio fare cretinate. La mia idea di famiglia sono mio padre Giancarlo e mia madre Marina che si amano da una vita. Sogno una famiglia così. E chissà che non sia l’ora». Sembrava lo fosse. All'Osteria del Corso, le si dichiarò in ginocchio davanti a tutti. Ma se eran rose, non sono fiorite. Le riviste di gossip ne hanno paparazzato il capodanno 2013 a Miami con Claudia Romani, modella aquilana che vive lì dal 2010. Chi lo frequenta lo vede spesso in forcing feroce sulle top commesse dei centri commerciali. Il Guerino, per fortuna, s'occupa altro.

NEI MEDIA STAT VIRTUS
È vero, ma solo in parte, che la sua buona stampa sia di derivazione gallianiana. A Germania 2006, più che il Ct Marcello Lippi a “convocarlo” furono i media milanesi. E già in tempi non sospetti i più perfidi lo definivano «un ottimo allenatore di giornalisti», che ci ha sempre messo del suo per coltivarsi, se non i rapporti personali, perlomeno l'immagine. Dopo un bel gol in una partita decisiva di Champions League, indicò all'inviato di una “gggiovane” tv del gruppo la domanda più opportuna da fargli poi in diretta: «Mi raccomando, chiedimi se con questo gol mi sento di essere in corsa per il Pallone d'oro». Il giornalista, allibito ma sveglio, stette al gioco e pensò che magari, da quell'assist concordato, sarebbe venuto fuori qualcosa di interessante. E una volta avuta la linea, esordì così: «Un grande gol che lancia il Milan verso la finale di Champions. Adesso qualcuno incomincia a dire che sei da Pallone d'oro...». In risposta, uno dei pochi bei dribbling tentati e riusciti in carriera di Pippo, candidato pur sempre più credibile dell'Igor Belanov vincitore nell'86: «Ma no, cosa dici, mi fai arrossire... Sono contento di essere stato utile al Milan, se segno tanto è merito della squadra, nessuno può vincere le partite da solo». Parafrasando lo spot: immagine, puoi.

FAMILY MAN
Gli Inzaghi però sono soprattutto sostanza. E valori veri, solidi. Come la villa che hanno fatto costruire a San Nicolò, paesino attaccato a Piacenza. Fosse a Cape d'Antibes, varrebbe venti milioni. Alle Baleari, la sua seconda casa è il vippissimo Formentera Palace, strano palazzone tondo con ampie vetrate in mezzo alle antiche rovine che si affaccia sulla passeggiata di Es Pujols. Ma non è solo l'italico mattone la garanzia per il loro futuro. Grazie anche al centinaio di milioni messi via in carriera dai fratelli del gol, papà Giovanni, ex ispettore vendite (ora in pensione) della Zucchi-Bassetti – colosso tessile oggi rilevato da Gianluigi Buffon – ha aperto una finanziaria.
Per una vita in condominio a Gallarate, a 12 minuti d'auto da Milanello, Pippo si è finalmente “milanesizzato”. Ha comprato un appartamento in centro, zona Corso Magenta, ma spesso si ferma ancora a dormire a casa dei suoi. Come ai vecchi tempi.
Del resto, anche in vacanza, è un abitudinario. A Milano Marittima i suoi hanno casa, ma lui soggiorna all’hotel Palace. Capatina mai prima delle 11 al Bagno Mare e Pineta dai genitori e dal nipotino Tommaso, il figlio che Simone ha avuto nel 2001 da Alessia Marcuzzi e per il quale stravede. Tommaso aveva cominciato tra i pali, ma è stato subito spostato in attacco. In famiglia, «non è pensabile che un Inzaghi faccia il portiere».
Poi pranzo ai Bagni Paparazzi Beach dell’amico Patrick Baldassarri: farro con verdure, frutta e tanto sole. Verso le 16,30, partitina da un’ora e mezzo e frullato. Passeggiata sulla spiaggia, autografi e chiacchiere coi tifosi. Poi l’aperitivo sui 10 campi in terra rossa dell’hotel Mare e Pineta, quelli del campionato italiano di tennis per calciatori. Per cena, branzino alla Brasserie. Questo, da giocatore.

FRATELLI DI PANCA
Come Simone, a cui è attaccatissimo, Pippo ha sempre avuto ben presente da dove veniva e dove voleva arrivare. Ancora oggi se gli chiedono cosa ricorda della sua prima esperienza tra i professionisti, lui si illumina e risponde quanto era bello portare le borse a Totò De Vitis e a “GPP” Piovani, e che da loro ha imparato tanto. Inzaghi, dentro, è rimasto lo stesso di sempre. Affamato di pallone. Gli vengono ancora i lucciconi se ripensa a quando, 18enne, Gianni Rubini, vecchia gloria e storico segretario del Piacenza, lo convocò in sede il giorno prima del debutto per fargli provare la divisa (un po' grande) della prima squadra. Il sogno era diventato realtà.
Con Gigi Cagni, suo primo allenatore al Piacenza, all'inizio fu amore e odio. Alla prima in casa, in Serie B contro il Palermo, pensava di meritare la maglia da titolare. Cagni lo lasciò in panchina. Lo fece entrare nel secondo tempo e Pippo segnò 3 gol, esultando come una belva inferocita. Era così già da ragazzino. In giro si divertiva, ma solo nei giorni liberi. Altrimenti declinava l’invito anche solo per una cena frugale. Ha sempre avuto una straordinaria voglia di arrivare. Nelle giovanili del Piacenza, dal punto di vista tecnico il fratello Simone era più quotato di lui, ma la fame di Filippo era ben altra.

MAESTRI DI CAMPO
Il suo primo maestro, un anno al Leffe e quello dopo al Verona (lì nacque il nick Super Pippo), è stato Bortolo Mutti, «che aspettò un po' a farmi giocare, ma fu importante perché cominciai a ragionare da professionista. Anche se io professionista lo sono sempre stato». Il salto dalla primavera alla C non è facile, ma il primo gol da pro è un segno del destino: come il suo 300esimo, lo segna al Siena.
Quando dal Piacenza passa al Parma (prima di Nevio Scala, poi di Carlo Ancelotti), gioca poco prima perché chiuso da Stoichkov, Melli, Zola e Asprilla e poi per l'infortunio al metatarso.
Quando arriva Parma-Piacenza, il suo derby, resta in panca per quasi tutta la partita. Ancelotti lo butta dentro nel finale. Inzaghi entra e segna al 90' al primo pallone toccato. Cade faccia a terra, e resta lì senza sapere cosa fare. Amichevoli escluse, è forse l'unica volta in cui non abbia esultato. Si rialza quasi disorientato mentre i compagni lo sommergono. Rimasto solo, si rivolge alla sua curva e allarga le braccia. Gesto quasi di scuse che però non gli eviterà immeritati fischi negli scontri diretti giocati con altre maglie.
Con quella azzurra, invece, realizza il duplice sogno anche di papà. Il 26 marzo 2000, Zoff chiama i due Inzaghi per l'amichevole con la Spagna a Barcellona. Gioia doppia per Simone, alla prima convocazione per la nazionale maggiore. A riunirli, in campo, però, ci riuscirà solo Giovanni Trapattoni. Per 11 minuti, il 15 novembre 2000 a Torino, nell'amichevole Italia-Inghilterra (1-0).
L'annata magica, dopo Parma, è quella del 1996-97 all'Atalanta di Emiliano Mondonico. Ed è proprio del “Mondo” la perla «non è Inzaghi a essere innamorato del gol, è il gol a essere innamorato di Inzaghi». Capocannoniere in A con 24 gol e pass diretto per quattro ottimi anni di Juventus. Poi, nell'estate 2001, per 70 miliardi di lire (50 cash più Cristian Zenoni), il Milan.
In pochi lo sanno ma doveva andarci già a 20 anni. E invece, pur di giocare, aveva scelto il Parma. Lo stesso gli capitò col Napoli. Era già tutto fatto. La sera del ritorno di Coppa Coppe 95-96 con l'Halmstad (3-0 svedese all'andata), i dirigenti del Napoli sono al Tardini per portarselo via dopo la partita, l'indomani ci sarebbe stata la presentazione. Stocihkov vuol giocare in coppia con Pippo, che segna al 2', il Parma vince 4-0 e supera il turno. I tifosi hanno cori solo per Inzaghi, e il presidente Giorgio Pedraneschi fa saltare l'affare: Inzaghi resta al Parma.

RINATO IL 9 LUGLIO
Il suo numero, il 9. Sulla schiena e sul calendario. Il 9 agosto è nato, il 9 luglio è rinato due volte. A Berlino 2006 ha alzato la Coppa del mondo, anche se da panchinaro (in campo solo mezzora coi cechi, e 2-0 finale in contropiede con Simone Barone che aspetta per 60 metri l'assist che tutti sanno mai arriverà). Otto anni dopo, la conferenza stampa del raduno da allenatore del Milan. Inzaghi però è a Milanello dal giorno prima, in divisa da campo, per seguire i primi test fisico-atletici dei “suoi” giocatori.
Se quella del taccuino coi gol segnati in carriera è una bella favola, non sempre però lo è stata quella da tecnico. Vinto e mediaticamente ben celebrato il Viareggio, la società ne ha gradito il giusto la gestione della rosa per il doppio impegno campionato-Youth League: troppi gli infortuni e poca la crescita. Dei 40 giocatori che aveva un anno fa, a un certo punto ne erano rimasti 28-30. E per tanti l'atteso salto dalla Beretti alla Primavera, è rimasto un miraggio.

THE RIGHT STAFF
Sono 8 i componenti il suo staff, tutti presentati in diretta tv. L'eterno “secondo” Mauro Tassotti, storico “vice” nato che Seedorf non voleva si alzasse dalla panchina e che per via di Clarence aveva davvero pensato di andarsene. Pippo lo ha fatto sentire di nuovo importante (anche nelle partitelle) e il “Tasso” s'è convinto a restare. La fase difensiva, specie sui calci piazzati, è roba sua.
Nel pranzo a cinque con l'amministratore delegato Adriano Galliani del 10 giugno a Casa Milan, al ristorante Cucina Milanello della nuova sede di via Aldo Rossi 8, a tavola con tanto di tovagliette a cerchi rossoneri concentrici, sono state tracciate le linee-guida per la stagione. Con l'inseparabile Nicola Matteucci, tattico-psicologo con Pippo dagli Allievi Nazionali («il mio occhio dalla tribuna, in questi due anni ha sempre ragionato con la mia mentalità»), ci sono Andrea Maldera, il tattico vero; i preparatori atletici Daniele Tognaccini (due anni fuori da Milan Lab, ma da dieci con Inzaghi) e Bruno Dominici; il preparatore dei portieri Alfredo Magni «che abbiamo strappato al Brescia. Lo conosco da un paio d'anni e lo volevo già negli Allievi. Pensa al ruolo del portiere come un giocatore anche di movimento». Più che il prossimo Manuel Neuer i maligni ci hanno visto un favore a Tinti, storico agente di Inzaghi, ma Pippo i suoi conti li sa fare. Anche perché l'ex mago dei portieri del Brescia “B” s'è portato in dote Stefano Ori, “il nuovo Scuffet”. Ceduto a titolo definitivo Ferdinando Coppola al Bologna, si giocheranno lui e il brasiliano Gabriel il posto di terzo portiere dietro Abbiati e Agazzi, appena arrivato dal Cagliari e cercato anche da Palermo e Lazio.
Infine «il metodologo» Fulvio Fiorin, già suo secondo negli Allievi e in Primavera. «L'analisi video serve per capire bene cosa facciamo. Lui guarderà gli allenamenti dall'alto rispetto al campo e alla fine ci dirà cosa ha potuto individuare. E la domenica andrà a visionare la nostra prossima avversaria». A stretto contatto lavorano con lui anche il nutrizionista Francesco Avaldi e l'intramontabile dottor Rodolfo Tavana, responsabile dello staff medico.

PADRE VIO
A quel pranzo non c'era l'ultimo dei quattro nuovi (con Matteucci, Magni e Fiorin): Gianni Vio, un bancario di Venezia che s'è inventato mago delle palle inattive. «È come avere in squadra un attaccante da venti gol a stagione» ha raccontato a una radio toscana Walter Zenga, che se lo è portato dalla Dinamo Bucarest al Catania. «In una stagione una squadra batte duecento calci da fermo, perché sprecare 200 occasioni?». Classe '53, ha poi preferito restare in Italia. Per la famiglia. E in Sicilia ha conosciuto Vincenzo Montella, che lo ha voluto a Firenze. Al suo primo anno in viola segna pure gente che, prima, nemmeno ci provava: Stefan Savić, Gonzalo Rodríguez, Borja Valero, Alberto Aquilani. Inzaghi lo ha conosciuto al Master di Coverciano. Il contratto in scadenza con la Fiorentina non rinnovato ed eccolo al Milan. Coi suoi 4830 schemi sui calci piazzati.

ALLEGRI MA NON TROPPO
Il parcheggio a Carnago per la sua Audi nera aziendale – come da tradizione nella rigida gerarchia milanelliana – è il numero 1, che nell'ultimo anno è passato da Allegri a Seedorf. Di certo però non si riferiva al posteggio il buon Max, nell'epico scontro verbale del Vismara il 19 settembre 2012. Questa la ricostruzione più credibile. Filippo Galli dice a Inzaghi che sta arrivando Allegri.
Inzaghi replica: «Stiamo lavorando, non deve disturbare. Digli che non deve entrare in campo, i ragazzi si stanno allenando, deve passare di fianco».
Allegri arriva e si avvicina ai collaboratori di Inzaghi. Non l'avesse mai fatto.
«Mi vuoi prendere il posto?», sibila il conte Max.
«Ti prendo il posto e faccio anche meglio», sogghigna Inzaghi.
La tensione sale. Imbarazzato, Galli prova a ricomporre. Prova.
Inzaghi entra duro: «Ci stavamo allenando, cerca di fare l’allenatore serio e non il dilettante».
Allegri dribbla non proprio di classe: «Non rompermi i coglioni».

L'altro, di rimando: «Non romperli tu i coglioni. Ci stiamo allenando, vattene».
Due giorni dopo, il 21, una pace tv su Milan Channel che neanche il “Brogiesso” di Aldo Biscardi.
«Non è successo nulla, con Pippo non ci sono problemi: c'è stato uno scambio di opinioni di un minuto ma senza offese» il calumet della pace allegriano.
«È durato un minuto, i ragazzi non si sono accorti di nulla perché nulla è successo» seppellisce l'ascia Pippo.
Prosit. Sai le bollicine al prossimo Milan v Juve.

IL SUO MILAN
Se quella del taccuino coi gol segnati in carriera è una bella favola, non sempre lo è stata il suo biennio da tecnico nelle giovanili. Vinto e mediaticamente ben celebrato il Viareggio, la società ha gradito il giusto come Pippo ha poi gestito la rosa e il doppio impegno campionato-Youth League. Specie per gli infortuni. Dei 40 giocatori che aveva un anno fa, a un certo punto ne erano rimasti 28-30. E per tanti l'atteso salto dalla Beretti alla Primavera, non s'è visto.
Come tanti ex attaccanti diventati poi allenatori, a Pippo piace che il gioco parta da dietro. Vuole quindi due centrali possenti, forti di testa e bravi a impostare. Nella sua primavera erano Davide Pacifico e Stefan Simic, mentre sulle fasce era Krisztian Tamas a sinistra spingeva di più, Rondanini prima dell’infortunio e poi Calabria poi erano più bravi in copertura. In mezzo ne aveva sempre tre, Alessandro Mastalli e Zan Benedicic gli intermedi al fianco del centrale Cristante, che invece da mezzala fa fatica.
In attacco, visto che, a parte Iacopo Cernigoi all’inizio, non aveva una prima punta (da qui la richiesta di precettare Andrea Petagna, ora al Latina, per il Viareggio), si adattava con attaccanti veloci e tecnici (Michael Fabbro, Luca Vido, Maks Barisic, prestato al Catania, Davide Di Molfetta) per andare in profondità. Il trequartista che non ha gamba non è gradito. Non stupitevi, è Super Pippo. Di lui Jorge Valdano disse: «Con me non giocherebbe mai: non dribbla neanche una sedia». REM, Jorge. REM.
Christian Giordano, Guerin Sportivo

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