Heysel, 29 maggio, trent'anni dopo

Ventinove maggio. Non serve aggiungere: 1985. L'annus horribilis del calcio europeo: nell'arco di sei settimane, gli incidenti di Luton il 13 marzo, il rogo di Bradford l'11 maggio e, il 29, il crollo del famigerato settore Z all'Heysel per la furia omicida degli hooligans.

Non serve perché l'Heysel - dal nome del quartiere dello stadio di Bruxelles poi intitolato a re Baldovino - è una di quelle tragedie che ti rimangono dentro per sempre. Chiunque l'abbia vissuta, anche solo di riflesso, o davanti la tv, ricorda dove e con chi fosse e cosa stesse facendo durante quella finale di Coppa dei Campioni fra Liverpool e Juventus. Sì, perché quel ventinove maggio la finale si giocò: per motivi di ordine pubblico.

E' stata, e lo sarà per sempre, una sciagura-spartiacque. Per le immani proporzioni - 39 morti (di cui 32 italiani) e oltre 600 feriti -, il luogo (un impianto inadeguato e fatiscente) e le modalità con le quali è avvenuta; per l'impreparazione della polizia e l'imperizia delle autorità belghe; per l'estenuante battaglia legale condotta - nel silenzio delle istituzioni - dall'Associazione dei familiari delle vittime, fondata due anni dopo ad Arezzo da Otello Lorentini, il papà di Roberto, il medico già in salvo e poi travolto dopo essere tornato indietro per soccorrere un bambino ferito. Per i cambiamenti epocali che ne seguirono.

A chi - trent'anni dopo - sostiene che poco o nulla è cambiato, va ricordato che quella battaglia legale l'UEFA la perse: e se oggi, ogni federazione o ente è responsabile, anche penalmente, degli eventi che organizza, lo dobbiamo - anche a quel ventinove maggio. All'Heysel.
PER SKY SPORT 24, CHRISTIAN GIORDANO

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