Il gran Tour del 5 e dei Big 4

di SIMONE BASSO, Il Giornale del Popolo

Il 4 luglio parte la 102esima Grande Boucle. Centro di gravità permanente del ciclismo e dello sport nel vecchio continente, il Tour de France è un blockbuster che racconta - da 112 anni - la Francia e un bel po' di Europa.  "Festa di luglio" con uno sviluppo simile alla Vuelta a España, cioè pochi chilometri e tante salite, per rincorrere l'intrattenimento televisivo e il sogno (bagnato) di un francese in giallo ai Campi Elisi. L'ultimo, nel 1985, fu Bernard Hinault.

LA BANDA DEI QUATTRO E GLI ALTRI
La Banda dei Quattro è il leitmotiv della sarabanda, una sfida attesa da tempo, una sorta di regolamento di conti tra i migliori corridori da corse a tappe di questo evo.
In rigoroso ordine alfabetico: Contador, Froome, Nibali e Quintana.
Alberto arriva dalla vittoria del Giro e alla Route du Sud si è imposto in bello stile.  La doppietta Giro-Tour sarà possibile solo se il Pistolero avrà recuperato le (ingenti) energie psicofisiche perse a maggio; la Tinkoff-Saxo, rispetto alla squadra schierata nella corsa rosa, è un più competitiva e dovrà proteggerlo nel corso della - difficilissima - prima settimana. Quando il madrileno rischia di saltare; e non solo lui.
Con quell'epilogo all'insù, Froomy e Nairo El Condor - i più performanti sulle salite - potrebbero risolvere l'ambaradan in un duello, un testa a testa seriale. Il loro problema, al pari del torero, saranno i tratti di pavè, la cronosquadre infida e, in generale, il caos dell'inizio all'arma bianca.
Lo Squalo Nibali, trionfatore nel 2014, pare il più adatto a sfruttare le debolezze dei rivali nell'approccio alla "corrida".
L'idea un po' sadica è che la competizione parallela, quella dei cacciatori di successi parziali, deciderà il destino dei quattro ras. Ai quali aggiungeremmo Tejay Van Garderen, il quinto uomo, l'esperienza degli spagnoli Joaquim "Purito" Rodriguez e di Alejandro Valverde, compagni-rivali al mondiale di Firenze 2013, e il duo-gioventù transalpino Pinot e Bardet.  Il resto, cominciando da Rui Costa, dovrà sorprenderci.
Segnaliamo, in vista del futuro prossimo, i profili del francese Warren Barguil, del sudafricano Louis Meintjes (ottimi arrampicatori) e soprattutto di Wilco Kelderman, olandese, e Simon Yates, britannico, tappisti predestinati.

I CLASSICOMANI, SPARTACUS E GLI ELVETICI
La massima ribalta internazionale non può non vantare la crema del plotone, classicomani e velocisti compresi: John Degenkolb, Alexander Kristoff, Michał Kwiatkowski , Mark Cavendish, Peter Sagan, Simon Gerrans, Andre Greipel, Daniel Martin eccetera.
Fabian Cancellara, dopo un bel rodaggio casalingo al Tour de Suisse, vorrebbe divertirsi fin dai quasi 14 km di cronometro individuale del Grand Départ, nei Paesi Bassi, in quel di Utrecht.
Il bernese, l'idolo di casa Tom Dumoulin, il solito Tony Martin e Rohan Dennis si contenderanno lo scalpo.
L'uno-due dal Belgio verso il Nord francese, il 6 e il 7, Anversa-Muro di Huy (una specie di Freccia Vallone) e Seraing-Cambrai, sette sezioni di acciottolato, produrranno gli scossoni più vigorosi.
L'ottava frazione che conduce al Mur de Bretagne e la nona - temutissima e fondamentale - cronosquadre Vannes-Plumelac (28 km) chiudono una fase di avvicinamento alle montagne, che definiremmo pericolosa quanto illogica. Perché, in un mondo normale, quindi non assoggettato ai voleri della Amaury Sport Organisation, una Commissione Tecnica avrebbe bocciato senza pietà questa sequenza.  Quanti corridori, con ambizioni di podio, pagheranno carissima una prova contro il tempo collettiva contro il tempo, disputata ben 9 giorni dopo l'inizio?  Lo stesso canovaccio che nel passato, per esempio, penalizzò Tony Rominger nel 1993.
A proposito di svizzeri, l'oltre-Spartacus vive della IAM Cycling (più Martin Elmiger che Mathias Frank?) e del gregariato di lusso di Steve Morabito (per il capitano Pinot) o di un Danilo Wyss (al servizio di Van Garderen).
Michael Albasini ha nel mirino le due giornate che terminano sui Mur: quelli di Huy e Bretagne, adatti alle doti (esplosive e resistenti) del portacolori della Orica GreenEdge.

PRIMA I PIRENEI, POI LE ALPI
La Vuelta de Francia (...), un ricciolo antiorario, prevede una scorpacciata pirenaica prima delle Alpi.
Una Tre Giorni che parte con la vernice de La Pierre Saint-Martin, molto impegnativa nella parte mediana, e che si conclude con la (torrida) Lannemezan-Plateau de Beille, tre GPM e l'arrivo (classico) ai 1780 metri di altitudine.
Il passaggio nel Midi ci riporta sull'erta di Mende, nel 1995 lo scenario di un attacco furente della Once contro Indurain, che lo spagnolo rintuzzò alla grande nonostante il successo di Laurent Jalabert.
Il settore alpino si inaugura rievocando i fasti del 1975, quando Bernard Thévenet decretò il tramonto del Merckxismo, colla Digne les Bains-Pra Loup.
Il Col d'Allos, la discesa più insidiosa dell'Alta Provenza, sarà il Souvenir Henri Desgrange; sostituisce il Galibier, cancellato dal percorso a causa di una frana.
Senza appello la doppietta che chiude le ostilità: venerdì 24 luglio, Saint-Jean de Maurienne-La Toussuire (138 km) e il passaggio inedito, mozzafiato, sul Col du Chaussy; sabato 25, Modane-Alpe d'Huez (110,5 km) il dì prima di scorgere la Torre Eiffel.
I chilometraggi da ciclismo femminile incoraggeranno l'agonismo...

AMARCORD, LA CINQUINA DI INDURAIN E LA TRAGEDIA DI CASARTELLI
I Tour col cinque hanno una fama tosta, raccontano di fuoriclasse da primato e di storie impietose.
Vi risparmiamo il '75, che tutti ricorderanno in ogni salsa, (ri) accenniamo invece al 1995, alla cinquina di Miguel Indurain.
Il navarro si impose con due mosse da scacchista: in Vallonia, nella Charleroi-Liegi, una piccola Doyenne, se ne andò via da solo a trenta chilometri dal traguardo.
Raggiunto Johan Bruyneel, che rimase a ruota, passivo, Miguelon diede quasi un minuto agli avversari diretti.
La seconda stoccata fu un contrattacco salendo verso La Plagne, tre dì più tardi, rincorrendo un coraggiosissimo Alex Zuelle.
Il sangallese vinse la tappa (e nella generale colse la piazza d'onore), Indurain - distanziando la concorrenza con una progressione fenomenale - la Grande Boucle.
Un'edizione che sottolineò il talento di marco Pantani e rivelò definitivamente Erik Zabel.
Segnata per sempre dalla morte di Fabio Casartelli, che cadde scendendo il Col de Portet d'Aspet, al trentacinquesimo chilometro della 15a frazione.
Si era in piena Epolandia ma il plotone, il giorno seguente, diede una lezione etica agli organizzatori, cialtroni, che quel pomeriggio amaro fecero finta di nulla.
Le immagini di Casartelli erano eloquenti: stava rannicchiato sull'asfalto, nemmeno dormisse, con una striscia di sangue intorno, ma autorizzarono la festa, la carovana, il circo.
Il gruppo punì quella tracotanza con otto ore di corteo funebre, sotto il solleone, perché forse chi fatica ha sempre più dignità e onore di chi quella fatica la sfrutta.

LA QUINTA DEL TASSO E I VOLI DI LUCHO
1985, altro pokerissimo, stavolta di Bernard Hinault.
Non c'era Laurent Fignon, infortunato, e Le Vie Claire - lo squadrone del faccendiere Bernard Tapie - dominò la scena.
Il Tasso chiarì le cose nella crono-fiume (75 chilometri) Sarrebourg-Strasburgo e pose il sigillo all'impresa nell'incipit alpino della Pontarlier-Morzine Avoriaz.
Con il bretone, ad accompagnarlo in un inusuale Trofeo Baracchi, un entusiasmante Lucho Herrera.
Il colombiano in salita volava: il Giorno della Marmotta venne con la Autrans-St.Étienne, quando - dopo una caduta - rimontò e saltò Greg Lemond e Pedro Delgado nemmeno fossero cicloamatori.
Dietro, Hinault in giallo si impegnò in una volata inutile e cadde.
Sui Pirenei si intuì che Tapie, timoroso che Lucho scatenasse il finimondo, fu molto generoso (...) con il capitano della Cafè de Colombia.
A Luz Ardiden, primo Perico Delgado, dalla nebbia spuntò ancora (secondo) il colombiano, malgrado duecento chilometri da coéquipier-ombra di Hinault.
Lemond, che staccò il Tasso nel finale, capì - furioso - che con un'altra condotta tattica (e in una formazione diversa...) si sarebbe aggiudicato quel Tour.
Le Vie Claire implose definitivamente nel 1986, lacerata dalle rivalità interne fra i troppi galli nel pollaio (innanzi tutto Hinault e Lemond; poi Bauer, Bernard, Hampsten...).
L'indio Herrera non troverà più il colpo di pedale, irresistibile, di quella estate: chissà se, trent'anni dopo, Nairo Quintana diventerà il primo sudamericano ad aggiudicarsi il Tour de France...


Pubblicato da Il Giornale del Popolo il 3 luglio 2015

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