FOOTBALL PORTRAITS - Bowles, Stan "the Man"


di CHRISTIAN GIORDANO ©, Guerin Sportivo ©
© Rainbow Sports Books

Un aneddoto e una "sentenza". Per descriverlo, specie a chi mai l'ha visto giocare, non serve altro.

L'aneddoto.

Sunderland-QPR, ultima di Second Division 1972/73. Stanley Bowles è la talentuosa mezzala sinistra dei biancoblù londinesi, da un mese già promossi in First (arriveranno un punto dietro il Burnley, primo a 62). I Black Cats, a sorpresa, hanno appena vinto la FA Cup battendo 1-0 il Leeds United.

Al vecchio Roker Park si radunano in 43.265 per ammirare in casa il trofeo, lasciato in bella mostra su un tavolinetto oltre la linea laterale. Bowles & C., però, hanno altri progetti.

O perlomeno così narra la leggenda, spesso riportata – con dovizia di particolari, ma sempre diversi – dal diretto protagonista: «Un paio di noi avevano scommesso su chi riusciva per primo a far cadere la coppa centrandola con il pallone. Allora presi la palla, corsi per qualche metro e calciai, facendo volare via la coppa. Ai tifosi avrei fatto meno male se gli avessi segnato contro due gol. Alla fine, ci fu invasione e finì su News at Ten (il notiziario delle 22, ndr)».

Inferocita per l'affronto, la folla s'era riversata in campo ed era cominciata la caccia all'uomo. Quello con la maglia - bellissima - di cotone, a cerchi blu su sfondo bianco e con sulle spalle il numero 10. Ci metterà venti minuti, la polizia, per riportare l'ordine e far riprendere il gioco.

La "sentenza", adesso.

«Se fosse riuscito a passare davanti a un'agenzia di scommesse come faceva col pallone, avrebbe fatto miliardi e (altra versione, ndr) cento presenze in nazionale». Il gioco di parole sul verbo to pass in inglese funziona di più. Anzi, descrive al meglio la quintessenza, l'impersonificazione - se ne è esistita una -  del maverick anni 70: Stan "the Man" Bowles.

Per capire cosa fossero, e rappresentassero, quei cavalli selvatici - calciatori genialoidi, ribelli e "maledetti" - tanto cari al football britannico dell'epoca, non cercatene la definizione sull'Oxford English Reference Dictionary.

Dopo la prima accezione di «capo di bestiame non marchiato», trovereste quella ufficiale di «persona indipendente e fuori degli schemi»; cioè poco allineata e per nulla allineabile. Non vi sono riferimenti al talento o al successo né, tanto meno, al calcio. Ma, fidatevi, invece andrebbero fatti. Eccome. Anche se, come ha scritto il suo biografo Steve Bidmead in Bowles, «non si ha traccia di mavericks fra i giocatori di badminton o gli ostacolisti». Solo un caso? Difficile.

Stan nasce la vigilia di Natale 1948, due minuti prima della mezzanotte, a Collyhurst, duro sobborgo di Manchester. Cresce però a Moston, che è pure peggio. Per capirci: Crimechester è, fra le grandi città britanniche, quella col maggiore tasso di criminalità, perlomeno stando ai dati forniti dall'Home Office (il Ministero degli Interni) e dall'Istituto nazionale di statistica.

Moston è considerata terra di banditi anche per gli elevati standard mancuniani. E se per compagni di giochi hai la Quality Street Gang (di cui la polizia nega persino l'esistenza) e i Whiz Mob; e ti fanno qualche visitina lo Special Branch (l'esercito per la sicurezza nazionale) e la Met (colloquiale per Metropolitan Police Service) perché rubare furgoni è un modo troppo realistico di fare a guardie e ladri, allora il tuo destino magari già segnato non è ma un'impronta ce l'ha. Anche se la tua «politica è sempre stata quella di chiudere un occhio e tenere chiusa la bocca».

Nemmeno casa Bowles deve essere stata un eden. Alla domanda «di che confessione siete?» posta dal prete cattolico allo spaesato ragazzino, che subito l'aveva girata alla mamma, dal piano di sopra era piovuto un evasivo «non lo so, figliolo. Devi aspettare che torni tuo padre».

Quasi fisiologico che Stan, vicino di casa di Brian Kidd e Nobby Stiles, future leggende United, vivesse di pane, calcio e, ad andar bene, scommesse. Virus beccato già a 15 anni, vincendo 24 sterline. Delle possibili tre strade - football, boxe, malavita - il fato gli scarta la seconda. Se non altro per l'esile torace.

Con il pallone invece il figlio del lavavetri ci sa fare. Scala alla svelta la trafila nelle giovanili del Manchester City. Joe Mercer lo fa debuttare in prima squadra nel settembre 1967 in Coppa di Lega contro il Leicester City. Piede mancino che ricama, Bowles lo ripaga con una fantastica doppietta. Ma in campionato il suo contributo ai poi campioni d'Inghilterra è trascurabile.
Il ragazzo frequenta brutte compagnie e al club la cosa non aggrada. Storiche un paio di accapigliate con il vice-Mercer, Malcolm Allison, di cui una davanti ai clienti del night "The Cabaret". È una testa calda, ma pare intenzionato a metterla a posto quando, due anni dopo, sposa la fidanzatina dei tempi della scuola, Ann, che gli darà tre figli: Andrea, Carl e Tracey. Dura minga.

Il temperamento ribelle, le sue attività fuori del campo e la richiesta di rinnovo fatta al compimento del 21° anno di età - cui invece segue il rifiuto dell'aumento di 5 sterline la settimana - non vanno giù alla dirigenza.

Nel 1970, dopo 2 reti in 17 gare spalmate su tre campionati, è già a spasso. «Sapevo che era finita, che non si poteva tornare indietro, così me ne tornai dai miei vecchi compari nei bassifondi di Manchester, dove facevo più soldi della miseria che prendevo al City. Smisi di allenarmi, tranne quando mi precipitavo dai bookmaker per la corsa delle 14. Del calcio non m'importava più».

Infatti, nel prestito al Bury - finito anzitempo, il 5 settembre, dopo sole nove settimane (5 gare e zero gol) - Stan dimostra di non essere cambiato. Il suo futuro nei pro' sembra finito, e senza mai essere davvero cominciato.

Quello stesso mese, gli concede una possibilità Ernie Tagg, il manager del Crewe Alexandra, club di quarta divisione. Risale a quel periodo nel South Chesire, e forse attribuibile allo stesso allenatore, l'immortale epitaffio tecnico di cui sopra. Non a caso, Tagg – cui erano bastate un paio di partite per inchiostrargli un annuale – lo stipendio di Stan lo versava alla moglie. La stessa signora Bowles che al telefono doveva rispondergli che il marito era malato salvo vederselo tirar giù dal letto da un Tagg fuori della grazia divina.

Ai Railwaymen, una delle peggiori squadre d'Inghilterra, 18 centri in 51 gare convincono Ian MacFarlane a portarselo, nell'ottobre 1971, per 12.000 sterline, al Carlisle United in Second Division. Stan gioca come rimpiazzo di Bob Hatton, passato per 90 mila al Birmingham.

L'impatto con il Gresty Road è col botto (tripletta al Norwich), ma in undici mesi sotto "The Big Man", raccoglie solo 36 presenze e 13 gol (33 e 12 in campionato, chiuso al quarto posto). Nonostante le mattane, o forse pure per quelle, al club del Brunton Park lo ricordano ancora come uno dei più forti e, ovvio, più chiacchierati giocatori transitati in maglia Cumbrians.

Il suo regalo natalizio ai tifosi è la mirabile hat-trick nel 3-0 casalingo dei Blues sul Norwich City il 28 dicembre. Nasce allora la leggendaria partnership con Chris Balderstone, che, con le ali Dennis Martin e Bobby Owen, forma un terzetto di centrocampo che in Division Two non ha eguali. Ma nell'agosto 1972, con l'arrivo del nuovo manager Alan Ashman, si rompe qualcosa. Dopo l'Anglo-italiano, il primo vinto da una nostra (la Roma), raccoglie solo 6 presenze. E a fine mese segna il suo ultimo gol per lo United.

Due settimane dopo è al QPR del manager Gordon Jago. Per 112.000 sterline, esborso-record del club, che mai aveva scollinato le sei cifre. Ci resta sette anni, rimpiazzando nel cuore dei tifosi l'idolo Rodney Marsh. Ceduto per 200mila pounds al Man City, che di Stan non aveva più voluto saperne, e subito dimenticato per Bowles, in gol al debutto nel 3-0 casalingo sul Forest davanti a 12.528 folgorati da quel funambolo con chioma al vento, sinistro magico e carisma innato.

Un colpo di fulmine che, sulle gradinate del Loftus Road, istantaneamente converte i cori di «Rod-ney, Rod-ney» in «Stan-ley, Stan-ley».

A Jago subentra nel 1974 Dave Sexton. Uno che la palla ama più tenersela che liberarsene come se scottasse. Il primo a beneficiarne è ovviamente Bowles, che nel giro di due anni, in coppia con Gerry Francis, trascina i Rangers a un punto dallo storico titolo, andato invece al "solito" al Liverpool dell'epoca. La stagione successiva, la prima dei Rangers in Europa, è capocannoniere (11 gol) di Coppa UEFA, torneo da cui il QPR esce ai quarti: 6-7 ai rigori contro l'AEK Atene.

Nel frattempo, il 3 aprile 1974, Sir Alf Ramsey lo fa debuttare in nazionale nell'amichevole di Lisbona (0-0) contro il Portogallo. A maggio, nel 2-0 sul Galles al Ninian Park di Cardiff, firma il suo unico gol con i bianchi. Quattro giorni dopo, a Wembley, nel 2-0 all'Irlanda del Nord, viene sostituito con ignominia. Il traghettatore Joe Mercer, che lo aveva avuto tre anni al Man City, è l'ultimo a stupirsi quando - narra la leggenda - Bowles non si presenta a un raduno per andare invece a White City, pista londinese per le corse dei cani. Poi, però, non lo convoca più.

Perso allo sprint col QPR il campionato 1975-76, Bowles riconquista la nazionale. La seconda occasione gliela dà Don Revie nella gara di qualificazione mondiale contro l'Italia, il 17 novembre 1976 all'Olimpico di Roma.

Il Ct azzurro Enzo Bearzot gli attacca alle caviglie Claudio Gentile e Stan non tocca palla. E quattro. Il quinto e ultimo cap è del 9 febbraio 1977, davanti ai 90.000 di Wembley, 0-2 dall'Olanda, l'amichevole che passerà alla storia per i «10» in pagella a Johan Cruijff.

Per Stan, almeno, niente più polemiche come quella avuta con Emlyn "Crazy Horse" Hughes («Per il mio Paese giocherei anche gratis»): «Giusto, tu tieniti i Tre Leoni e i tuoi 200 testoni me li becco io». Spiegazione: nella gestione-Revie i convocati beccavano 200 sterline a chiamata.

Nel dicembre 1979, su raccomandazione dell'antico sodale Peter Taylor, Brian Clough si mette in testa una pazza idea: fare di quel riottoso purosangue il cavallo di punta del Nottingham Forest campione d'Europa. Stan avrebbe dovuto rimpiazzare l'anziano Archie Gemmill in una prima linea da sogno: Trevor Francis, John Robertson (a sinistra), Garry Birtles, Bowles e l'altra testa matta Charlie George, arrivato in prestito. Un progetto folle, e non solo perché, come vice-Gemmill, avrebbero poi fallito anche Jurgen Roeber e lo svizzero Raimondo Ponte (poi sempre duro su Clough: tattica? Quale tattica?).


Come ammesso dallo stesso "Stan The Man" nell'omonima autobiografia, il rapporto mai nato con "Old Big 'Ead", il vecchio testone, era destinato a fallire sin dall'inizio. «Partimmo subito col piede sbagliato quando mi disse: "Voi cockney (spregiativo per londinesi "coatti" e arroganti, ndr) siete tutti uguali" e io, di rimando, "Mi scusi, io sono di Manchester"».

Due personalità troppo forti per coesistere. E il rifiuto del giocatore di andare in panchina per la finale di Coppa dei Campioni, il 28 maggio 1980 al Santiago Bernabéu di Madrid contro l'Amburgo, è il punto di non ritorno.

Due mesi dopo, Clough decide che 2 reti in 19 partite non valgono la candela e lo sbologna all'Orient (ora Leyton Orient), in Second Division, per 100.000 sterline. Un record al Brisbane Road. Bowles ci resta un anno, il tempo di segnare 7 volte in 44 partite.

Poi, nell'agosto 1981, sposa l'amante di lunga data Jane Hayden e in ottobre scende in Third firmando per il Brentford di Fred Callaghan, un po' come se ai tempi d'oro «Paul Gascoigne fosse andato allo Swansea City» si disse e scrisse. Bowles, che ha perso un po' lo spunto ma non la classe, vive tre stagioni da re (16 gol in 81 gare) prima di ritirarsi, ormai 35-enne, nel febbraio 1984.

Ancora oggi, al Griffin Park ricordano l'ilarità da lui suscitata quando – frustrato per il passaggio orribilmente fuori misura indirizzatogli dal suo scarsissimo terzino destro – si piegò mimando il gesto di portarsi le mani agli occhi come fossero un binocolo per vedere dove diavolo gli avessero lanciato il pallone.

Ma a parte le sue prodezze, soprattutto quelle nel QPR più forte di sempre –un mirabile mix di gioventù (Bowles, Parkes, Clement e Francis) e di esperienza (McLintock, Webb e Hollins) – trascinato dai suoi 70 gol in 255 partite di campionato, 97 in 315 in totale, Bowles verrà per sempre ricordato anche per gli eccessi – ipertollerati, al QPR, dalla morattiana presidenza di Jim Gregory, fuori del campo. «Ho fatto il pieno con vodka (una bottiglia al giorno), tonica, scommesse e sigarette (fino a 50, ma forse 80, al dì). Ripensandoci, devo aver esagerato con la tonica».
  • I tre divorzi («cerco di raggiungere Mickey Rooney», leader di categoria con 8 mogli, ndr), l'ultimo da Diane, conosciuta nel 1994, dalla quale ha adottato i figliastri Zoe e Tommy; 
  • le frequentazioni poco raccomandabili (tra cui «un truffatore di professione la cui specialità era vendere agli irlandesi cavalli che neppure esistevano») e sfociate in arresti (uno come sospettato di tentata rapina); le soste dai bookmaker prima di mettersi in fila per il sussidio di disoccupazione; 
  • le "fughe", già in tacchetti, calzoncini e maglia numero 10, fino a 15' dal fischio d'inizio; 
  • il finto ritiro – venduto in esclusiva per 500 sterline per il supplemento domenicale di un quotidiano – e smentito due giorni dopo il servizio fotografico; 
  • i patetici tentativi come assistente allenatore (un annetto al Brentford di Dave Webb, suo ex compagno ai Rangers, e due settimane al QPR); 
  • le esibizioni-choc in tv («Non esiste persona peggiore per rappresentare il calcio in televisione», disse nel 1976 l'amico ed ex compagno di squadra Paul Hince dopo la storica figuraccia di Stan a Superstar della BBC); 
  • il linguaggio scurrile che gli costò il posto di opinionista a Sky Sports, gli articoli come esperto di scommesse (ci ha perso una fortuna); 
  • le baruffe con gli arbitri.
Bowles è stato e ha provato di tutto e di più, ma se oltre vent'anni dopo che ha smesso di giocare si stampano magliette con la sue effigie, viene eletto miglior Ranger di sempre (davanti a Marsh, obvious) e Dominic Masters ci scrive su una canzone ("Stan Bowles" per The Others), un motivo c'è. E si chiama Stan the Man.

Ozioso chiedersi che cosa avrebbe fatto con un'altra testa. Come ha detto Frank Worthington, della categoria uno dei massimi esponenti con Rodney Marsh, Tony Currie, Charlie George, Alan Hudson e Peter Osgood, «i rimpianti fanno parte della leggenda, parte dell'essere un maverick». 

Poco, ma sicuro. Potete scommetterci.
Christian Giordano ©
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