FOOTBALL PORTRAITS - Keane, il Roy guerriero (2006)


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Con la separazione consensuale fra il condottiero di Cork e il Manchester United si è chiusa l’epoca d’oro dello squadrone di Alex Ferguson, che nel suo pupillo vedeva se stesso: un uomo disposto a tutto per vincere. Anche in maglia Celtic, il vecchio sogno di “Keano”

di CHRISTIAN GIORDANO
Guerin Sportivo n. 5, 31 gennaio - 6 febbraio 2006

Solo chi non conosce il background di Roy Keane si è sorpreso per il brusco epilogo della sua turbolenta storia d’amore con i Red Devils. Chiusa dopo 12 anni e mezzo, sette mesi prima della scadenza di un contratto che tutti sapevano non sarebbe stato rinnovato. In primis Sir Alex Ferguson e il suo pupillo, «il più grande giocatore da me allenato, una leggenda dello United per i prossimi 500 anni». Perché tale è stato il guerriero di Cork, storicamente ribelle come la terra da cui proviene.

«Irlandese di nascita: di Cork, per grazia di Dio». Così rispondono i corkiani quando gli viene chiesto delle loro origini, delle quali sono terribilmente orgogliosi. E la risposta è spesso «accompagnata da un sorriso o una bella risata verso chi non ha avuto la benedizione di nascere nella “Rebel County”. Un complesso di superiorità è il segno di distinzione degli uomini di Corcaigh (“luogo paludoso” in gaelico, mal tradotto dagli inglesi con Cork, “tappo di sughero”, ndr). E le donne sono anche peggio», parola di Keane. Un cognome un destino, visto che è l’anglicizzazione di Ó Catháin, diminutivo di “cath”, in gaelico “battaglia”. 

Da quelle parti non una novità. E ben prima di quella di Kinsale, nel 1601, che avviò la secolare dominazione britannica. Fortemente segnata dal passato, dalle devastazioni vichinghe in poi, la città fu distrutta e ricostruita più volte, da qui la sua ricchezza culturale (è stata capitale europea 2005) e storica e l’atavica combattività di chi la popola. La contea fu denominata “Rebel County” dalla Corona Inglese nel 1499 (in senso spregiativo, accolto dai locali, invece, con supremo orgoglio) per via delle numerose insurrezioni. Un corso e ricorso storico vissuto anche durante la guerra d’indipendenza (1919-22) e in quella civile. Fin qui la storia, che però c’entra il giusto con il carattere, la cattiveria non solo agonistica, la concentrazione ai limiti dell’ossessione e la debordante personalità, eccessi di insana follia compresi, che invece appartengono soltanto a Keane.

Nato il 10 agosto 1971, Roy è il quarto dei cinque figli di Maurice (cui deve il secondo nome) e mamma Marie Lynch. Cresce con i genitori e i fratelli Johnson e Denis e la sorella Hilary al numero 88 di Ballinderry Park, a Mayfield, sobborgo alla periferia nord di Cork. Qualche anno dopo l’arrivo dell’ultimogenito Pat, la famiglia si sposta a Lotamore Park, sempre a Mayfield. Visitate ai giorni nostri le zone non sembrano così difficili come, pare, fossero allora e certo danno un minore senso di (relativa) pericolosità dei bassifondi nei pressi del porto, dove non mancano i ragazzini con indosso la maglia rosso fuoco dei Red Devils.

I soldi non abbondano, non c’è l’auto («ma non ci è mai mancato niente, e non ci sentivamo poveri»), al contrario dell’amore per lo sport, da sempre nel dna di famiglia. Papà “Mossie” fu buon calciatore del Crofton e del North End, due squadre giovanili locali. Il nonno e due prozii materni avevano vinto la medaglia giovanile della FAI (Football Association of Ireland, la federcalcio dell’isola) e due zii, Mick e Pat Lynch, suo padrino, lo avevano preceduto nel Rockmount, una delle più antiche e gloriose società giovanili di Cork. Lì muove i primi passi da calciatore il piccolo Roy, che alla bassa statura supplisce con rabbia e determinazione fuori del comune. Doti che non sfrutta (se non nella squadra di atletica) alla St. John’s, la scuola dove va controvoglia nell’attesa che squilli l’ultima campanella, per andare a giocare a calcio. Prova anche l’hurling, come Denis Irwin, suo futuro compagno allo United e promessa in entrambi gli sport, e la boxe. Il primo viene abbandonato quando una scheggia della mazza spezzata gli si infila nella parte posteriore della gamba (sei mesi fermo). La seconda, a 12 anni, dopo averla praticata per tre agli ordini di Tom Kelleher al Brian Dillon Boxing Club di Dillon Cross. Nell’ultimo, il primo utile per combattere, vince tutti e quattro gli incontri della Irish Novice League ma è già capitano del Rockmount e deve scegliere: pallone o guantoni. Buona la prima.

La strada sembra in discesa, invece comincia la salita. Il fisico troppo minuto è per lui la molla che gl’incendia lo spirito guerriero ma per gli osservatori, anche i più esperti e smaliziati, è l’ostacolo che ne impedirebbe l’approdo al professionismo. Fallito l’esame per l’Intermediate Certificate, gli resta il calcio, nella stagnante economia irlandese di metà Anni 80. La Tigre Celtica è di là da venire, la disoccupazione impera. Tocca anche il padre, e sarebbe toccata anche a lui, che finita la scuola «prova la pesante inattività, alzandosi all’una soltanto per seguire la puntata quotidiana della sit-com “Neighbours” e portare fuori il cane, il migliore momento della giornata». La svolta arriva con il FÁS (Foras Áiseanna Saothair, in gaelico l’Autorità per il Praticantato e l’Occupazione, nata nel gennaio 1988 in seguito al Labour Services Act del 1987, ndr), il corso per aspiranti calciatori nato da una convenzione fra la FAI e il governo, che le tenta tutte per abbassare il tasso di disoccupazione e placare così le ire della sempre più esasperata opinione pubblica. Da lì alle nazionali giovanili il passo è duro ma breve. La spola Dublino-Cork-Dublino nei fine settimana, i primi soldi in tasca, il terrore di fallire che fa da propellente anti-solitudine e antidoto alle bevute coi compagni (che ci sono e ci saranno). La segnalazione a uno scout del Nottingham Forest, dove arriva dai Cobh Ramblers nel 1990 e riparte tre anni dopo alla volta di Manchester. Per 3,75 milioni di sterline: un record. Il resto è storia, in almeno dieci occasioni di molto oltre le righe. 

L’intervista dopo il 4-1 beccato a Middlesbrough rilasciata alla (e censurata dalla) Tv del Man Utd, con fendenti per tutti, dal “secondo” Queiroz giù giù fino ai compagni Ferdinand, Smith e Fletcher, è solo l’ultima di una sequela di aggressioni verbali e fisiche. Tra le prime, nel novembre 2000, quella ai propri tifosi, «fantastici in trasferta ma troppo impegnati, nelle gare casalinghe, a bere bibite e gustare sandwich ai gamberetti e maionese per accorgersi di cosa succede in campo»; quelle con la FAI e il Ct McCarthy al mondiale 2002, chiuso dalla “fuga” all’aeroporto di Saipang; nel tunnel con Vieira prima della sfida con l’Arsenal lo scorso febbraio; contro i compagni (specie i nazionali inglesi Brown, Butt e Scholes) prima del match di Champions League col Bayer Leverkusen. Roba da educande, comunque, rispetto alle seconde: l’intervento criminale, dell’aprile 2001 ma tramato dal settembre ’97, sul ginocchio di Alf-Inge Haaland, “colpevole” di aver subito il fallaccio nel commettere il quale a rompersi (il crociato) era stato Keane, insultato dal norvegese e pure ammonito; la presa alla gola a Shearer, che gli aveva dato del «prick» (coglione); la gomitata del 2002 a Jason McAteer, suo successore come capitano della nazionale, cui seguì l’11° rosso in carriera. Senza contare i prioblemi legali avuti con i provocatori nei pub o i mitomani. Come Leanne Carey e Maxine Rourke (più un terzo perosnaggio), le signorine che, ignorate da lui e da Giggs dai quali le due volevano farsi offrire da bere, lo tagliano sotto l’occhio lanciandogli un flute di champagne. Bilancio: Roy una notte in guardina a spiegare, le tizie di corsa a telefonare tutto al “Sun”, non gratis ovviamente. O come un ragazzotto spostato, che ha smesso di insultargli la famiglia girando in bicicletta sotto casa solo quando Keane, dopo avergliele promesse, gliel’ha date. 

A Madrid (Real), a Torino (Juventus) o a Roma (sponda giallorossa) il guerriero non avrebbe vissuto né lo avrebbero fatto vivere. Everton, Bolton, West Bromwich Albion e West Ham United, le altre che lo avevano cercato, sarebbero stato un passo indietro. Il suo agente Michael Kennedy aveva solo una chance: convincere il Celtic del maggiore azionista Dermot Desmond, che ha coperto di tasca propria la differenza tra domanda e offerta, a trovargli nel bilancio lo spazio salariale (65 mila euro a settimana fino al giugno 2007) giusto per lui, la moglie Theresa, i figli Shannon, Caragh, Aidan e Leah e il cane Triggs. Gli unici che lo amano, e lo sopportano, per quel che è: Roy Keane. Il leader nato che a Celtic Park realizzerà l’ultimo sogno di una carriera da sogno: indossare la maglia che amava da bambino. 
CHRISTIAN GIORDANO
Guerin Sportivo n. 5, 31 gennaio - 6 febbraio 2006




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