Ciclismo 2015, che anno quest'anno

di SIMONE BASSO, Il Giornale del Popolo, 6 ottobre 2015

Il Lombardia fortissimamente voluto da don Vincenzo Nibali, per rimediare a un anno così così, conclude il teorema delle classicissime. "Foglie morte" dominata dall'Astana, con Diego Rosa sugli scudi, e la partecipazione (generosa) di ciò che rimane di un 2015 spossante (Valverde, Pinot, Moreno, Poels, Kwiatkowski, Landa, Wellens..). Dieci mesi in giro per il globo terracqueo. 

IL MONDO NUOVO
Zeroquindici di svolta per il ciclismo su strada, colla generazione nata negli anni novanta (o al tramonto del decennio precedente) che - al netto di qualche gloriosa eccezione - si è presa definitivamente la ribalta.
E' l'evo del Mondo Nuovo, della globalizzazione che comanda: uno slovacco (Sagan) si è fasciato dell'arcobaleno che apparteneva a un polacco (Kiawtowski); il Tour de France è stato caratterizzato dallo stesso dinamico duo del 2013, un britannico cresciuto in Africa (Froome) e un colombiano della Boyacá (Quintana), e la Primavera dal duello fra un tedesco dell'est (Degenkolb) e un norvegese (Kristoff).
I cosiddetti paesi tradizionali resistono ma non troppo, con la felice anomalia del Belgio che continua a sfornare grandi - giovani - talenti.
Il cerchio si chiude, considerando i Degenkolb e i Quintana l'ultimo anello di una leggenda che noi occidentali, per eoni, abbiamo ignorato: i Tave Schur e i "Lucho" Herrera valgono, in quanto a immaginario popolare, gli Anquetil e i Delgado.

DA "PETO" A STEFAN
Un bel 2015, vissuto sulla corsia di sorpasso e con una serie di attimi fuggenti catturati da un campione diverso. 
L'ultimo, cronologicamente, è stato il più spettacolare: Peter Sagan, in Virginia, che si prende l'iride sverniciando Van Avermaet e un plotone di pescecani. Su un tracciato cittadino di notevole lignaggio tecnico (non c'è bisogno della salita di Domancy per vedere un fuoriclasse all'opera...) la botta lungo 23rd Street è stato il suo momentum.
Un numero che sblocca una carriera quantitativamente già clamorosa, in attesa di un Monumento a scelta: vista la versatilità di "Peto", Milano-Sanremo, Ronde van Vlaanderen (Giro delle FIandre) o Doyenne (Liegi-Bastogne-Liegi) aspettano.
Tra marzo e aprile la doppietta Sanremo-Roubaix del rivale Degenkolb aveva aggiornato i libri di storia: il poliziotto di Gera come Sean Kelly (1986, senza Adri Van der Poel, al Fiandre, racconteremmo di una tripletta...) e Cyrille Van Hauwaert (1908).
Si era segnalata pure la strapotenza di Alexander Kristoff, ottantuno giorni di corsa col Mondiale americano e venti successi di peso (tra i quali Ronde, La Panne, Gp Argovia, Plouay...) che ne fanno il plurivittorioso della stagione.
E poi il pomeriggio di La Pierre-Saint-Martin, alla Grande Boucle, quando - nella canicola pirenaica - FDJ e Movistar semplificarono, inavvertitamente, il compito al Team Sky e a Chris Froome.
Forzando ritmo e andatura e favorendo così la bastonata del keniano bianco che, in meno di dieci chilometri, mulinando il rapportino a frequenze impossibili per gli altri, ha sigillato il Tour de France.
Eppure il giorno più lungo, roba da sport estremo, è stato il tranquillo weekend di paura della Gand-Wevelgem. Vento, pioggia, gelo; più di sei ore da tregenda: nel finale, epico, corsero tutti contro il fenomenale Geraint Thomas (un'annata pazzesca la sua...) e la solita Etixx-Quick Step.
Il biglietto giusto lo strappò, in contropiede, il vecchio Luca Paolini: peccato che a luglio («...col bene che ti voglio...») sia poi incappato in una positività alla cocaina. Tristezza cosmica.

Per riallacciarsi alla serata (in Europa) di Richmond, pensiamo alle maledizioni del teleutente - suo malgrado - Fabian Cancellara; uno che un circuito mondiale con due piccoli Paterberg (Libby Hill Park e 23rd Street) non lo ha mai corso.
Zeroquindici di transizione forzata per il movimento elvetico, alle prese con i dolori dell'ex giovane "Spartacus", caduto rovinosamente due volte e proprio sul più bello (a marzo ad Harelbeke e in maglia gialla al Tour nella tappa del Muro di Huy).
Occorrono pazienza e sangue freddo, il fotogramma di una nuova alba è rappresentato dal numero di Stefan Kueng durante la quarta frazione del Romandia. Venticinque chilometri di assolo, sotto la pioggia battente, e la promessa - a nemmeno ventidue anni - di un futuro da mammasantissima.
Lo è su pista, iridato dell'inseguimento individuale battendo Jack Bobridge con una rimonta entusiasmante, e lo sarà nelle classiche e a cronometro.
L'approccio multidisciplinare è quello corretto: Sagan è partito dalla mountain bike, John Degenkolb dai velodromi, Fabio Aru (il vincitore della Vuelta) dal ciclocross. Il ras, classicomane o tappista, lo si forma lavorando in discipline diverse.

L'EMBATIDO DI REGOLARITA' E LE EREDI AL TRONO
Malgrado Froome e Sagan, senza dimenticare Contador e Greipel, l'hombre del partido non può che essere Alejandro Valverde. Al netto dell'effetto-Justin Gatlin, l'Embatido ha disputato un anno mostruoso per continuità e risultati: da fine gennaio, si impose al Trofeo Tramuntana, agli inizi d'ottobre quarto al Lombardia. Protagonista (secondo in Catalunya e all'Amstel, terzo alle Strade Bianche e a San Sebastian, quinto al Mondiale) e vincente (il double Freccia-Liegi, il titolo nazionale, il podio al Tour, la maglia a punti della Vuelta...) ovunque. A trentacinque candeline spente, c'è una vita oltre Operación Puerto.
Da segnalare il 2015 rivoluzionario del sempre più affascinante universo femminile: prima stagione, dal 2005, senza la regina Marianne Vos, infortunata, che aveva cannibalizzato il circo per un lustro e mezzo. Sono emerse soprattutto la classe cristallina di Lizzie Armitstead (iride e Coppa del Mondo gli scalpi più importanti) e la forza devastante di Anna van der Breggen (Giro d'Italia, La Course, Fléche Wallonne, due argenti mondiali...). 

L'UCI, L'AMAURY E ALTRE STORIE
Alla luce dei miasmi che si captano altrove (per esempio i test sballati dei pallonari in Champions League: la scoperta dell'acqua calda), la politica antid****g dell'UCi, a dispetto dei media generalisti, è di buon senso. Perché lo ha ridato ai risultati complessivi dell'ambaradan.
Il World Tour invece costa tanto, proprio nel momento del ritorno di sponsor "pesanti" (Lidl e Dimension Data), e sta diventando un problema.
Nel 2015 abbiamo visto una fila di paletti di ferro sul traguardo (eravamo in Catalogna) e un motociclista buttare giù il probabile trionfatore - Greg Van Avermaet - della Clásica San Sebastián. Idem alla strombazzatissima Vuelta col futuro campione del mondo Sagan, una competizione partita con una cronosquadre sulla spiaggia (...) e il conseguente boicottaggio dei corridori. 

Gare organizzate male e riprese televisivamente peggio, in Spagna al pari della rassegna iridata americana. Coi diritti UCI venduti all'Infront (i Blatter impazzano...) e la regia subappaltata dagli stessi a un gruppo di dilettanti allo sbaraglio. 
Abituati al blockbuster Tour de France dell'ASO, ci si ritrova nel bel mezzo dei Settanta con il segnale che stacca e l'incapacità di raccontare quel che accade.
A Richmond le telecamere non hanno ripreso il fuggitivo Sagan che perdeva il pedale (!) e nessuno ha visto la volata per la piazza d'onore. Un disastro d'immagine.
Il preisdente federale Bryan Cookson e soci devono rimediare: l'Amaury si sta mangiando le pietanze che contano e, ai massimi livelli, lascerà alla concorrenza le briciole.
Il 2016, dominato da un calendario infinito, evidenzierà la bipolarità del sistema.
Le Olimpiadi di Rio, un percorso selettivo, saranno disputate da chi, due mesi e due settimane più tardi, non parteciperà al Mondiale in Qatar, percorso piatto, ideale per i passisti veloci, e viceversa.
L'appuntamento per ricominciare ancora una volta, quando in Europa sarà pieno inverno (e lo sci alpino tra Wengen e Kitzbuhel), è per il Tour Down Under in Australia.

SIMONE BASSO - Pubblicato da Il Giornale del Popolo il 6 ottobre 2015

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