HOOPS MEMORIES - Scandalo '51, l'innocenza perduta

Quello del 1951, legato alle scommesse nel college basketball, fu uno scandalo che fece epoca e, paradossalmente, la fortuna della NBA. Da allora nell’immaginario collettivo degli americani nulla è più stato come prima: dopo il baseball, che pagò carissimo l’affaire “Black” Sox del ’19, anche il basket aveva perso la sua verginità. Al gioco…

di Christian Giordano, American Superbasket

Chi è appassionato di storia americana difficilmente rimane indifferente a quella degli Anni 50. Per la musica e la moda stile «Happy Days». Per le automobili dalle curve morbide e i copertoni bianchi all’esterno. Per i film di fantascienza pieni di ossessionanti mostri venuti dallo spazio, tarantole e formiconi retaggio degli esperimenti atomici del ’45. Per gli occhiali dalla spessa montatura nera alla Clark Kent di George Mikan, la prima vera star dei pro, e per le Chuck Taylor in tela, magari quelle del college basketball, all’epoca assai più in voga della NBA, se al Madison Square Garden (che pure era di loro proprietà) i New York Knicks dovevano lasciare il posto a City College e ad altri atenei per andare a giocare in un ex arsenale lì nei paraggi. E mentre i doubleheader con i migliori college cittadini (Fordham, Long Island, Manhattan College, New York University e St. John’) e nazionali (Bradley, Kansas, Kentucky e Utah) facevano il pienone, i Knicks faticavano a riempire persino i 5000 posti della palestrina.

Ai tempi le masse USA, archiviato in fretta il secondo conflitto mondiale, erano alle prese con i problemi legati alla ripresa economica, allo spauracchio del comunismo e alla immancabile guerra di turno (di Corea prima, fredda poi), eppure il fascino della pallacanestro universitaria era in aumento. Lo sport e in particolare il basket di college vivevano un’improvvisa prosperità. Erano diventati un affare, gli atenei producevano grandi giocatori e squadre forti e in alcuni casi dovevano la propria fama alla qualità del loro programma cestistico prima ancora che accademico. In questo sfavillante scenario la nota stonata era dovuta al proliferare delle scommesse clandestine, un fenomeno che già nell’ottobre del 1944 aveva portato coach Forrest “Phog” Allen – a Kansas un’autentica istituzione – a mettere in guardia l’ambiente da uno scandalo la cui «puzza di marcio si sarebbe sentita fino in paradiso». Il monito di Allen non era astratto allarmismo da caccia alle streghe, vizietto maccartista ai tempi alquanto diffuso ma riservato ai “comunisti” e, più in generale, a presunti cospiratori dediti a non meglio specificate «attività antiamericane» fossero anche leggere «certi libri» o «conoscere qualcuno che…». Il Barone si basava invece su fatti concreti: in marzo, per esempio, al coach di Utah, Vadal Peterson, era stato chiesto quanto sarebbe costata la sconfitta dei suoi Utes nella finale per il titolo NCAA, contro Dartmouth (poi battuta 42-40 al supplementare). La risposta fornita al malcapitato emissario non è pubblicabile ma il segnale, per chi avesse occhi, orecchi e fegato per intendere, era inequivocabile.

Quell’episodio isolato di tentata corruzione scatenò ondate di indignazione, ma non fu visto dalle autorità, né dagli immancabili sociologi in servizio permanente effettivo, come un chiaro sintomo di uno stato pandemico dell’attività agonistica universitaria. C’era l’illusione che si trattasse di un fatto circostanziato (come un paio di casi minori registrati in passato, uno dei quali risalente addirittura al 1931), di un virus destinato a morire prima di propagarsi. C’era ancora una diffusa “innocenza”, perlomeno in superficie, nel college basketball degli anni 40. Si sbagliavano. Tutti, tranne Allen. 

Nel gennaio del ’45, tre mesi dopo le sue tristemente profetiche parole, si sparse la voce che cinque giocatori di Brooklyn College, Bernard Barnett, Jerome Green, Robert Leder, Larry Pearlstein – mai immatricolato – e Stanley Simon, si erano spartiti 1000 dollari per vendere la partita contro Akron, in programma al Boston Garden il penultimo giorno del mese. Il pateracchio venne fuori quasi per caso. Due agenti stavano pedinando per tutt’altre faccende un certo Henry Rosen, che s’incontrò in un appartamento con Barnett e Pearlstein per consegnare loro la somma da dividere con gli altri tre compagni. Alla vista degli agenti i due giocatori, presi dal panico, confessarono tutto di una combine di cui nessuno sapeva niente. Morale: i giocatori e coach Tubby Raskin comparirono davanti al Grand Jury che condannò a un anno di detenzione e 500 dollari di ammenda Rosen e i suoi complici: Harvey Stemmer e un altro uomo identificato come “Danny”. 

Il secondo campanello d’allarme era suonato nel gennaio 1949. David Shapiro, co-capitano di George Washington University, rivelò di essere stato avvicinato, a Brooklyn, da un tale, Joseph Aronowitz, che gli aveva offerto una cifra variabile tra i 500 e i 1000 dollari a partita non per perdere intenzionalmente bensì per “aggiustare”, più che la sostanza, la forma dei risultati (leggi: gli scarti). Sei mesi di appostamenti, con l’ausilio di Shapiro che spifferò tutto alle autorità e accettò di fare il doppio gioco nel fixing di una gara contro Manhattan, fecero saltare il banco (5 milioni di dollari persi) e portarono alla condanna di Aronowitz e soci, Jack Levy, Philip Klein (pene da 15 a 30 mesi) e William Rivlin (un anno). A spiccare l’ordine di arresto era stato il Procuratore distrettuale di New York, Francis (Frank) S. Hogan. Ne risentiremo parlare.

Nella sentenza, il giudice Jonah Goldstein aveva rimarcato il fatto che tutti e quattro gli incriminati erano piccoli scommettitori, aggiungendo: «Questo caso non rappresenta una cospirazione organizzata e la fermezza della legge servirà da deterrente per altri che possano cadere in simili tentazioni». La storia dimostrerà il contrario.

Shapiro, 25-enne studente di giurisprudenza ed eroe di guerra che viveva grazie a una G.I. Bill [fondo statale stanziato da un Government’s Issue, “disegno di legge” che prevede l’assegnazione di posti da parte del governo ai militari, ndr], ci avrebbe pensato due volte a compromettere la carriera per 500 dollari, ma in quanti, non potendo godere di quei privilegi, avrebbero resistito? 

Un migliaio di dollari “spostavano” ancora parecchio nel 1951 e ai giocatori chiave, spesso di umili origini, veniva offerto questo e altro per alterare il risultato delle partite. Bastava poco: un tiro sbagliato, una brutta giocata difensiva, un passaggio azzardato; piccole cose che un bravo giocatore può fare con naturalezza e passando inosservato. In più alla squadra non costavano la vittoria, ma solo qualche punto di scarto. Per i giocatori era un’occasione per far soldi, per gli scommettitori valeva una fortuna: che male c’era?

Ce n’era eccome ma addetti ai lavori e semplici appassionati il marcio non potevano (volevano?) vederlo, anche perché avevano ancora negli occhi quella che era stata forse la più grande impresa realizzata nella storia del basket universitario: la straordinaria doppietta di CCNY, prima e unica squadra a vincere nello stesso anno, il 1950, il NIT (National Invitation Tournament) e il titolo NCAA. In quella stagione, il quintetto di All America comprendeva future stelle del basket pro quali Bob Cousy di Holy Cross, Bill Sharman di Southern California, Paul Arizin di Villanova, Dick Schnittker di Ohio State e Paul Unruh di Bradley e in pochissimi – per non dire nessuno – avrebbero potuto prevedere la bufera che di lì a poco si sarebbe abbattuta sul mondo del college basketball. 



Tutto cominciò il 17 gennaio 1951, con l’arresto di due ex giocatori di Manhattan College diplomatisi l’anno prima, Henry “Hank” Poppe e Jack Byrnes, e di tre fixers, Cornelious Kelleher, e i fratelli Benjamin e Irving Schwartzberg, bookmakers dalla fedina non proprio di bucato. Avevano violato l’articolo 382 del codice penale, accusa seguita alla legislazione contro la frode sportiva, entrata in vigore nello Stato di New York nel 1945 e secondo la quale era illegale anche il semplice tentativo di corruzione nei confronti dei partecipanti a un qualunque evento sportivo, di qualsiasi livello. 

Poppe e Byrnes «avevano fatto affari» con Kelleher nel 1949-50 e si erano intascati 50 dollari a settimana durante la off season più altri 3000 per garantire entro un certo scarto le sconfitte di Manhattan contro Siena, Santa Clara e Bradley al Madison Square Garden. Nella stessa stagione, Byrnes e Poppe avevano ricevuto un extra di 2000 dollari a testa per sforare il margine di punti contro St. Francis College di Brooklyn e New York University. 

Ecco come erano andate le cose. Poppe aveva incontrato l’ex compagno Junius Kellogg, centro di 2.03 al secondo anno con i Jaspers e primo nero a giocare a Manhattan College, dove era approdato, dopo 40 mesi di servizio nell’esercito, per lo stesso G.I. Bill di Shapiro ma anche per una borsa di studio ottenuta grazie al basket. Al contrario di Shapiro, però, da ragazzo Kellogg aveva fatto la fame nella numerosa famiglia (11 persone) in cui era cresciuto, a Portsmouth, Virginia, e questo lo faceva apparire facilmente corruttibile. Nell’intento di convincerlo Poppe gli spiegò – è il caso di dirlo – i trucchi del mestiere: «è facile. Sbagli un rimbalzo ogni tanto. Dopo che ne hai preso uno non guardare in avanti per il passaggio, tieni alto il pallone e dai modo alla loro difesa di piazzarsi. Provi a segnare con un gancio difficile. E magari non vai a stoppare quello dell’avversario. Butti via un pallone quando ne hai l’occasione. Basta che Manhattan non perda la partita. Tutto ciò che devi fare è controllare il vantaggio. È facile, Junie. Lo fanno tutti, anche nei pro. Ma qualsiasi cosa tu faccia, Junie, fa’ in modo che non si senta puzza di bruciato. Deve sembrare che ti stai impegnando».

Ma Kellogg era fatto di un’altra pasta e rifiutò i 1000 dollari che Poppe gli aveva offerto in cambio di una prestazione, diciamo così, sottotono nella gara successiva. Non dandosi per vinto Poppe gli chiese di ripensarci, proponendogli di incontrarsi nuovamente tre giorni dopo, il 14 gennaio. 

«Avremmo giocato contro DePaul la settimana successiva», dirà Kellogg della sua conversazione con Poppe. «Mi disse che avrei potuto fare un po’ di soldi. E aggiunse: “Non devi perdere, si tratta solo di vincere di un margine più basso di quello che ci si aspetta e ci guadagneremo tutti”». Kellogg rimase sbalordito, anche se non erano certo una novità le voci che volevano gli scommettitori ormai ben addentro al basket dell’epoca. «Non ne sapevo niente di quelle cose», fu il commento di Junius. «Ero convinto che tutto fosse pulito, che fosse solo sport, giocare, vincere. Non avevo mai sentito niente del genere». 

Kellogg magari era ingenuo, ma non stupido. Conosceva bene il regolamento: se non avesse riferito l’increscioso “incidente”, avrebbe potuto perdere l’eleggibilità e addio futuro. Così riferì immediatamente la proposta indecente fattagli da Poppe a coach Ken Norton, il quale a sua volta mise al corrente fratello Bonventure Thomas, preside di Manhattan College, che avallò l’idea di andare subito alla polizia. Gli inquirenti diedero a Kellogg precise istruzioni: con un microfono nascosto, avrebbe dovuto fingere di accettare l’offerta di Poppe e così lo avrebbero beccato in flagranza di reato.

L’appuntamento tra i due era in un parcheggio di Manhattan, Poppe passò a prendere Kellogg in auto e insieme si recarono in un bar vicino al campus, tra la Broadway e la 242ª Strada. Junius gli disse che avrebbe accettato e gli chiese che cosa avrebbe dovuto fare per combinare la partita contro DePaul in programma al Garden martedì 16 gennaio. Poppe, per evitargli di essere smascherato, lo istruì bene su quali errori commettere e quali no. L’aveva bevuta. Poppe parlottò con Kellogg anche al Garden, avvicinandolo a bordocampo prima della gara per comunicargli che Manhattan era data vincente di 10 punti e che quindi bisognava vincere con meno. I Jaspers vinsero di tre, 62-59, Kellogg non giocò e il suo sostituto, Charles Jennerich, fece 8/8 dal campo. Dopo la gara i due avrebbero dovuto rincontrarsi da “Gilhooley’s”, un bar sulla 8th Avenue, a due passi dal Garden. Kellogg fu seguito dagli investigatori fin dentro il locale. Poppe non si presentò, ma fu arrestato a casa sua, nel Queens, alle 3 del mattino. Non rifiutò di collaborare e implicò Byrnes nella compravendita di partite del 1949-50, non nella tentata corruzione di Kellogg. Byrnes, l’altro ex co-capitano dei Jaspers, finì in manette due ore dopo. 

Max Kase, Sports Editor del “Journal American” che aveva girato al procuratore distrettuale Hogan la prima soffiata sul “point shaving” nel college basketball, si vide ricambiato il favore e poté pubblicare il pezzo già il 18 gennaio. Il clamore che ne seguì fu enorme. Ancora oggi quello del ’51 è “lo” Scandalo, con la esse maiuscola. Il più grosso mai registrato nello sport americano da quando, nel baseball, otto giocatori (poi radiati) dei favoritissimi Chicago White Sox avevano venduto – si presume allo scommettitore Arnold Rothstein – le World Series del 1919 contro i Cincinnati Reds. New York, allora al centro dell’universo del college basketball, precipitò all’inferno e non seppe più risalirne. Queste le cifre del fenomeno: 35 giocatori accusati di “fixing” delle partite; 50.000 dollari accettati dai giocatori per combinare (almeno) 86 partite tra il 1947 e il 1951; 16 giocatori che rifiutarono offerte di corruzione per un totale di 22.900 dollari; 20 atleti ancora in attività e 14 scommettitori condannati; 7 i college coinvolti (e travolti): CCNY, LIU, NYU, Manhattan, Toledo, Bradley e perfino Kentucky; 23 le città interessate e 17 gli stati toccati dallo scandalo. Come se non bastasse, il New York City Board of Higher Education, che stava indagando anche nel programma di CCNY, scoprì che i registri di high school di 14 giocatori erano stati falsificati per rendere gli studenti eleggibili per l’ammissione e favorirne così il reclutamento. 

Poco più di un mese dopo lo scandalo di Manhattan, CCNY regolò a domicilio Temple per 95-71 e da Philadelphia la squadra tornò in treno a New York. Appena il convoglio lasciò Camden, New Jersey, due agenti avvicinarono coach Nat Holman per comunicargli che volevano parlare con Ed Roman, Alvin Roth e Ed Warner, tre elementi il cui contributo era stato essenziale nella doppietta NIT-NCAA, il grande slam del college basketball, centrata dai Beavers l’anno prima. Il 18 febbraio 1951 il procuratore distrettuale Hogan annunciò che a Penn Station erano stati arrestati Warner, Roman, Roth, Harvey (Connie) Schaaf di NYU e Eddie Gard, l’ex giocatore di LIU accusato di aver fatto da tramite tra la squadra di CCNY e lo scommettitore Salvatore “Tarto” Sollazzo, un ex pregiudicato fabbricante di gioielli. I giocatori di CCNY ammisero di aver combinato o perso deliberatamente tre partite della stagione in corso: contro Missouri, squadra chiaramente inferiore, Arizona e Boston College. La prima aveva fruttato a ogni giocatore 1500 dollari, la seconda 1000, mentre nella terza “Fats” Roth era stato l’unico a incassare i 1400 dollari del caso. I tre avevano anche ricevuto un bonus di 250 dollari a testa per la vittoria contro Washington State, più 250 ciascuno per la sconfitta con St. John’s. Il PM chiese l’incriminazione dei corrotti Roman, Roth e Warner, del corruttore Gard, e di Schaaf per aver tentato di corrompere il compagno di squadra Jim Brasco. Tutto il denaro della macchinazione era stato messo sul piatto da Sollazzo, anche lui condannato. La notizia era di portata tale da finire sulla prima pagina dal «New York Times». L’autore del pezzo fu il più grande reporter nella storia del giornale, già vincitore, nel 1950, del Premio Pulitzer (per la cronaca), Meyer Berger.



Due giorni dopo gli arresti dei sette giocatori di CCNY, il 20 febbraio, gli atleti di LIU Sherman White, Adolf Bigos e LeRoy Smith (grafia a parte, omonimo del giocatore preferito a Michael Jordan ai tempi del liceo nonché nome di copertura che “Air” usava negli alberghi durante le trasferte, ndr) ammettevano la loro complicità nello scandalo che piano piano si stava allargando a macchia d’olio e furono arrestati. 

White era forse il miglior giocatore di college di New York di sempre. Bigos era un senior di 25 anni che aveva prestato due anni e mezzo di servizio nell’esercito e si era guadagnato una Stella di Bronzo prima di entrare a Long Island grazie, anche lui, all’ennesimo GI Bill. Superato un provino per coach Clair Bee, Bigos si era guadagnato una borsa di studio per il basket. Smith, cresciuto sulle strade di Newark, New Jersey, era un ex marine. I tre confessarono di aver ricevuto da Sollazzo, mediante l’agente Eddie Gard, 18.500 dollari per “limare” punti in sette partite nel biennio 1949-51. Nel 1949-50 ammisero di aver combinato le partite contro North Carolina State, Cincinnati e, nell’apertura del NIT, Syracuse. Quell’anno i Blackbirds avevano vinto 16 gare, ma tante di pochissimi punti e adesso era anche chiaro il perché: gli scarti erano pilotati. La stagione seguente i giocatori avevano fatto affari con gli scommettitori nelle partite contro Kansas State, Denver, Idaho e Bowling Green. White, nominato il giorno prima Giocatore dell’anno da “The Sporting News”, viaggiava a 27.7 punti per gara e gliene mancavano appena 77 per stabilire il record assoluto nella storia del college. In più aveva trascinato i Blackbirds a un bilancio di 20-4 (16° posto nel ranking nazionale) e si apprestava a diventare la gallina dalle uova d’oro della NBA: 65000 dollari in cinque anni e almeno 35000 per fare da testimonial ai prodotti più disparati. Perché allora sporcarsi così presto e per così poco? A prenderla peggio di tutti fu White senior. «Diverso sarebbe stato – disse con la morte nel cuore – se Sherman fosse cresciuto per le strade, invece è dovuto andare al college per imparare cose che a casa mai e poi mai avrebbe imparato». 

La partita LIU-Cincinnati del 22 febbraio che doveva essere disputata al Garden fu cancellata, non così CCNY-Lafayette, vinta da City College per 67-48. Floyd Layne, nuovo co-capitano dei Beavers e autore di 19 punti, fu arrestato il 27, lo stesso giorno di Natie Miller, senior a LIU nel 1948-49. Un mese dopo, il 26 marzo, toccò agli altri Beavers: Irwin Dambrot, Norm Mager e Herb Cohen, tutti ex componenti lo squadrone del Grand Slam del 1950 con l’eccezione di Cohen che nel ’51 era ancora uno junior. Layne confessò di aver preso 3000 dollari, la sua parte del bottino per le tre partite “fissate” nella stagione in corso. Gli inquirenti arrivarono anche a Louis Lipman, ex giocatore di LIU fermato il 30 marzo per la gara con Duquesne del 1° gennaio 1949; e a Richard Feutardo, che il 13 aprile venne chiamato a rispondere di alcune partite vendute due e tre anni prima. Poi toccò a un paio di bookmakers, Eli Klukofsky e William Rivlin. Klukofsky, alias Eli Kaye, fu arrestato il 28 aprile per aver offerto soldi ai giocatori di City College nella stagione 1949-50. Il 20 luglio Hogan ne ottenne l’incriminazione per aver corrotto i giocatori della Toledo University Bill Walter, Carlo Muzi, Bob McDonald e Jack Freeman. Klukofsky aveva agganci con la malavita e alcuni gangster se la cavarono perché morì di infarto, prima che potesse fare nomi. Due giorni dopo veniva arrestato anche Jackie Goldsmith, l’ex stella di LIU dotata forse del miglior tiro dalla lunga distanza mai visto nei college newyorchesi (segnava con continuità a due mani anche da metà campo). Fine dello strazio? Macché. Il 24 luglio i giocatori di Bradley Gene “Squeaky” Melchiorre, Bill Mann, Bud Grover, Aaron Preece e Jim Kelly ammisero di aver preso soldi per tenere bassi gli scarti contro St. Joseph’s a Philadelphia e contro Oregon State a Chicago. Il 27 agosto, l’ufficio di Hogan rese pubblici i capi di imputazione contro gli scommettitori Nick e Tony Englises, Joe Benintende e il più grosso fixer dell’epoca, Jack West, più George Chianakos, Melchiorre e Mann. Nessuna accusa fu mossa invece a Grover, Preece, Kelly, e Fred Schlictman, coinvolto successivamente e poi scagionato.



Le responsabilità di Manhattan College nella sequela di scandali del 1951 sembrano quasi scomparire al cospetto del coinvolgimento di CCNY, LIU e Kentucky. Ma era stato il caso riguardante Manhattan a scoperchiare la pentola e ora, come aveva predetto coach Allen sei anni prima, la «puzza di marcio si sarebbe sentita fino in paradiso». 

Un’eco vasta quanto quella del 18 febbraio ci fu anche il 20 ottobre quando Hogan centrò il bersaglio grosso: Kentucky. Ralph Beard, Alex Groza e Dale Barnstable furono arrestati per aver accettato 500 dollari per limare il punteggio in una gara del NIT persa al Madison Square Garden contro Loyola – l’unico stop stagionale dei Wildcats – nel 1949. Groza e Beard, entrambi All-American, avevano conquistato due titoli NCAA e Beard anche il NIT. Inoltre, avevano vinto l’oro olimpico a Londra 1948 e l’anno dopo costituivano il nucleo degli Indianapolis Olympians della NBA. 

Allo scoppio dello scandalo, coach Adolph Rupp aveva pronunciato la storica frase che gli scommettitori non sarebbero riusciti a toccare i suoi ragazzi «neanche con un’asta di tre metri». Tempo pochi mesi e cinque «dei suoi ragazzi» campioni nel 1949 furono coinvolti e la NCAA sospese il programma cestistico di Kentucky per il 1952-53. Il giudice Streit mise Groza, Beard e Barnstable in libertà vigilata a tempo indeterminato e li sospese dall’attività agonistica per tre anni. Linea ancor più dura quella adottata dal commissioner della NBA, Maurice Podoloff, che li radiò dalla Lega.

Il 2 marzo 1952 anche il centro dei Wildcats, Bill Spivey, anche lui All-American e leader dei campioni NCAA in carica, fu estromesso dall’attività agonistica dell’università. Il provvedimento colse tutti di sorpresa perché Spivey non fu mai implicato nel “point shaving”, anche se contro di lui qualche compagno aveva mosso delle accuse. Nel ’53 Hogan lo incriminò per spergiuro, ma Spivey continuò a professarsi innocente. Non fu mai condannato (il processo fu dichiarato nullo per un vizio procedurale per il quale fu sollevata una eccezione di inammissibilità), ma la NBA rifiutò di reintegrarlo. Spivey le fece causa per 800.000 dollari e si accordò con la corte per 10.000. Alla fine degli anni 60 Spivey giocava per 200 dollari a partita per i Wilkes-Barre Barons della vecchia Eastern League, girò sei squadre e finì nella derelitta American Basketball League, con la franchigia di Los Angeles/Hawaii.

Ancora oggi, quella del ’51 è una ferita aperta. Nel 1999 il “New York Newsday” la citò come il peggior evento nella storia dello sport newyorchese, persino più doloroso della perdita dei Giants e dei Dodgers. «Quella fu la volta in cui smisi di credere veramente nel puro idealismo», spiegò nell’intervista tale Maury Allen, laureando di CCNY nel 1953. «Per quei ragazzi svendere il proprio istituto, se stessi e la loro carriera per 800 dollari fu un trauma. Non ci si riprende più da quel genere di cose. È una ferita psicologica che ti segna per il resto della vita». Eppure salvò il basket pro.

Charley Rosen, scrupoloso autore di almeno tre “sacre scritture” sull’argomento, «Scandals of 51: How the Gamblers Almost Killed College Basketball», «Barney Polan's Game» e «The Wizard of Odds», ha scritto: «Nessuno si interessava della NBA, era una “bush-league” (gioco di parole per dire che di fatto la Lega era già bruciata, perché fatta di sterpaglia buona al massimo per farci il fuoco – ndr). C’era solo il college basketball. Ma una volta caduto in disgrazia, a che cos’altro potevano dedicarsi i tifosi?»

Lo scandalo del 1951 fece epoca perché fu prodotto su vasta scala e, piaccia o no, fa ormai parte della storia americana dei tanto decantati anni 50. Ma non è stato il primo né sarà l’ultimo. Dieci anni dopo ce ne sarà un altro, di proporzioni quasi doppie. Come altri, minori, ce ne saranno nei decenni successivi. Ma queste sono già altre storie, che si ripetono sempre uguali eppure sempre diverse. Fino alla prossima, che ci sarà, sicuro. Scommettiamo?

Christian Giordano


Scandalo ’51, le sentenze emesse dal giudice Saul Streit:

Giocatori
College
Condanna 
Al Roth 
CCNY 
6 mesi di riformatorio, sentenza sospesa quando il giudice Streit approva la decisione di Roth di arruolarsi nell’esercito
Ed Warner 
CCNY 
6 mesi di detenzione
Ed Roman 
CCNY 
sospensione
Herb Cohen 
CCNY 
sospensione
Irwin Dambrot 
CCNY 
studente di odontoiatria a Columbia, gli fu concessa la sospensione
Norman Mager 
CCNY 
sospensione
Floyd Layne 
CCNY 
sospensione
Natie Miller 
LIU 
sospensione
Lou Lipman 
LIU 
sospensione
Adolph Bigos 
LIU 
sospensione
Dick Feurtado 
LIU 
sospensione
LeRoy Smith 
LIU 
sospensione
Sherman White 
LIU 
un anno di detenzione; sconterà 9 mesi a Rikers Island 
Gene Melchiorre 
Bradley 
sospensione
Bill Mann 
Bradley 
sospensione
George Chianakos 
Bradley 
sospensione
Bud Grover 
Bradley 
prosciolto 
Aaron Preece 
Bradley 
prosciolto
Jim Kelly 
Bradley 
prosciolto
Fred Schlictman 
Bradley 
prosciolto
Connie Schaaf 
NYU 
6 mesi di squalifica 
Dale Barnstable 
Kentucky 
sospensione
Ralph Beard 
Kentucky 
sospensione
Alex Groza 
Kentucky 
sospensione
Jack Dalrnes 
Manhattan College
3 anni di libertà vigilata (sentenza emessa dal giudice James M. Barrett)
Henry Poppe 
Manhattan College
3 anni di libertà vigilata (sentenza emessa dal giudice James M. Barrett)
Bill Waller 
Toledo 
accuse cadute
Carlo Muzi 
Toledo 
accuse cadute
Bob McDonald 
Toledo 
accuse cadute
Jack Freeman 
Toledo 
accuse cadute



Scommettitori 
Ruolo
Sentenza
Salvatore Sollazzo 
fixer 
condanna non inferiore a 8 anni e non superiore a 16 da scontare in una prigione di Stato 
Eddie Gard (ex LIU)
agente
condanna non superiore a 3 anni; elogiato dall’assistente procuratore distrettuale Vincent A. J. O’Connor per la collaborazione, sconterà solo 9 mesi
Jackie Goldsmith (ex LIU)
fixer
condanna non inferiore a 30 mesi e non superiore a 4 anni
Irving Schwartzberg 
fixer 
un anno (sentenza emessa dal giudice James M. Barrett)
Benjamin Schwartzberg 
fixer 
un anno (sentenza emessa dal giudice James M. Barrett)
Cornelius Kelleher 
fixer 
un anno (sentenza emessa dal giudice James M. Barrett)
Joe Benitende 
scommettitore 
condanna non inferiore a 4 anni e non superiore a 7
Jack West 
fixer 
condanna non inferiore a 2 anni e non superiore a 3
Nick Englises 
scommettitore
condanna non superiore a 3 anni 
Tony Englises 
scommettitore
6 mesi di sospensione
Eli Klukosky 
fixer 
** deceduto per infarto quando era ancora in attesa di giudizio 





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