Roubaix 2016: Raiders on the Storme


di Simone Basso, Il Giornale del Popolo, 9 aprile 2016

Tempo di Parigi-Roubaix: il Monumento più importante e glorioso, nonché - per la prima volta - telediffuso dalla partenza all'arrivo.
Una sfida selvaggia, ancestrale, che nell'immaginario pop trascende una semplice gara ciclistica.

I PROTAGONISTI

Zerosedici di lusso, edizione numero 114, caratterizzata dall'ennesimo braccio di ferro tra i due ras generazionali.
Il nuovo mammasantissima, Peter Sagan, reduce dal primo (grande) successo in una Classicissima alla Ronde, e Fabian Cancellara, fuoriclasse che - col declinante Tom Boonen - ha firmato un'era nelle corse di Primavera, all'ultima Rubè della carriera.
Domenica scorsa, nelle Fiandre, Spartacus ha collezionato il suo sedicesimo (!) podio in una delle cinque competizioni Monumento.
L'indice statistico che sottolinea la grandezza del bernese: prima di lui nella classifica solo il Cannibale, Eddy Merckx, con diciotto e Monsieur Roubaix, Roger De Vlaeminck, a diciassette.
Fabian dunque, se alzasse il quarto trofeo di pietra al Velodromo, aggancerebbe il gitano di Eeklo sia nel totale dei podi sia come plurivittorioso all'Enfer du Nord (quattro vittorie: condividerebbe il primato pure con Tommeke Boonen).
L'Inferno, polvere o fango, è una dimensione a sé anche rispetto ai muri fiamminghi.
Se l'iridato ha dalla sua, oltre all'età (classe 1990), il cambio di ritmo e doti da sprinter di alto livello, Cancellara punterà sull'esperienza e le - incredibili - capacità sul passo.
I grandi favoriti, tatticamente, imposteranno una gara parallela e opposta: di rimessa lo slovacco e la Tinkoff; in prima fila, per rendere ancora più dura la contesa, l'elvetico e la Trek Segafredo (assemblata benissimo dal giemme Luca Guercilena).
La concorrenza è qualificata.

LA CONCORRENZA

Attendiamo la vernice vincente nelle Classiche, prima o poi, di Sep Vanmarcke: le caratteristiche tecniche (dovrà scrollarsi dalla ruota i velocisti "resistenti") ne fanno il miglior alleato di Cancellara nel cercare la selezione.
Una équipe, la Etixx Quick Step, la più blasonata nel gruppo, sembra - considerando budget, aspettative e risultati (mediocri) - al dessert.
La multinazionale belga, che esibisce i vari Stybar, Terpstra, Boonen, Trentin (e nessuno di questi appare in forma...), sarà costretta a inventarsi qualcosa.
Gli eventuali golpe della banda-Lefevere decideranno, nel bene e nel male, le dinamiche dell'ambaradan.
Outsider ma non troppo, alcuni nomi pesanti: le ruote veloci, con le assenze di John Degenkolb (campione uscente, investito nel ritiro spagnolo a gennaio) e Arnaud Demare (malconcio dopo la caduta alla Ronde), saranno rappresentate soprattutto da Alexander Kristoff, vera presenza scomoda - nel finale - per le possibilità di Sagan, e Edvald Boasson Hagen.
La coppia del Team Sky, Rowe e Stannard, potrebbe sfruttare le marcature strette fra i grandi; idem per il pericoloso Lars Boom, finisseur adatto al colpaccio.
L'incidente al recente Giro delle Fiandre limiterà (?) le ambizioni del promettente Tiesy Benoot, probabile classicomane del futuro prossimo, uno dei giovanissimi del nuovo corso al pari di Stefan Kueng e Gianni Moscon.
L'approccio sul pavè è sempre scioccante, pure per i predestinati...

IL PERCORSO
Si parte, dal 1977, da Compiégne, per affrontare meglio i segmenti di acciottolato, quasi alla stregua di un ciclocross bulimico.
Il meteo, al di là di qualche pioggia alla vigilia, è favorevole: una Regina del Nord nella melma, con i passaggi stile palude, manca da quando Johann Museeuw fece tris (2002).
Ventisette settori per 52 chilometri di pavè brutto, sporco e cattivo; il ballo di San Vito comincia al chilometro 98,5 coi 2200 metri di Troisvilles.
La numerazione dei segmenti in porfido è decrescente: la Foresta d'Arenberg, laddove esplode il plotone (e chi resta indietro è spacciato...), arriva al 18 e al chilometro 162.
Trattasi di una strada mineraria dal panorama dantesco, lunga 2400 metri, la più temuta dai corridori. 
Orchies (12), ai 197,5, coi 3700 metri di pietre (condivide con Quievy il record di estensione), è il prologo di una delle sequenze decisive.
Il nastro spaccaossa che comprende Auchy lez Orchies-Bersée (km 203,5 e 2700 metri), l'11, e Mons en Pévèle (209, tremila metri impietosi...), il 10.
L'altra sezione-chiave, giudice estremo dell'Inferno, prevede Camphin en Pévèle (km 238, 1800 metri), il 5, e il celeberrimo Le Carrefour de l'Arbre (km 240,5, 2100 metri) al 4.
Il pavè cittadino, innocuo, a mo' di parata, a qualche centinaio di metri dal Velodromo, potrebbe accogliere un fuggitivo solitario; oppure un rosario di sopravvissuti, un plotoncino, che si giocheranno la Reine du Nord sull'anello in cemento.
Un giro e mezzo, con la faccia annerita dalla polvere e dagli schizzi di fango, per entrare nella leggenda del ciclismo. 

LA STORIA

La Parigi-Roubaix e il ciclismo sono la storia di quei luoghi, a metà fra Belgio e Francia, talmente brutti - con quei tetti aguzzi delle case e una natura (contadina) sporca - da apparire affascinanti agli occhi (esotici) dei forestieri.
Nelle tante vicende umane nascoste tra una pietra e l'altra, quella di Lucien Storme ha qualcosa di maledettamente céliniano.
Lucien nacque nel 1916, in piena Grande Guerra, un destino, secondogenito di una famiglia dalla prole numerosa (otto).
Cominciò l'agonismo e la bici quasi per caso ma mostrò subito il potenziale del campione: rouler di forza e destrezza, veltro da pianura, l'epitome del flahute da classica.
Appena ventunenne, fresco professionista, firmò con lo squadrone di André Leducq, la Mercier.
Diciassette Aprile 1938, una domenica di Pasqua, Rubè freddissima e battuta da un vento impetuoso da nord.
Storme rimase coi migliori, un gruppetto di quindici, e seguì l'azione decisiva di Louis Hardiquest a diciassette chilometri dal traguardo.
Nella periferia di Roubaix forò e rientrò in un battibaleno.
Dentro al Velodromo non ci fu partita: il ragazzone biondo di Heuvelland, il Paese delle Colline nelle Fiandre Occidentali, impostò una volata lunghissima e staccò di dieci metri il (più accreditato) rivale.
Un trionfo.
L'anno dopo corse il Tour de France e si aggiudicò una tappa (la sesta: Nantes-La Rochelle) battendo facilmente in uno sprint a tre, su pista, Maurice Archambaud e Félicien Vervaecke.
Una Grande Boucle dominata dai belgi ma senza italiani (e tedeschi): un segnale - l'ennesimo - di tempi cupissimi per l'Europa e il mondo.
Nel '39 Lucien si sposò con Marguerite: sarebbe riuscito ancora a correre, sfiorando la vittoria nel campionato nazionale, l'anno seguente.
Poi il ciclismo sparì nel buco nero della guerra e Storme dovette arrangiarsi col contrabbando di benzina e tabacco; nel frattempo, a casa, era nato Jacques.
Nel Dicembre 1942, sul confine francese - in quel di Armentières - col suo camion, fu arrestato e imprigionato dai tedeschi.
Il tentativo di fuga (ammanettato..) a Lilla lo portò nel carcere di Saint Gilles, Bruxelles, e verso l'abisso.
Il 6 marzo 1943, Lucien Storme prese un treno con destinazione Siegburg, Germania, campo di concentramento non molto distante da Colonia.
Due anni di Arbeit laggiù, un Inferno più spietato della Regina del Nord, e la liberazione degli Alleati il Dieci Aprile 1945.
Nel caos di quel giorno di festa, per gli altri, un gesto di troppo - forse incauto - e un soldato americano sovraeccitato.
Che uccise Lucien Storme con un colpo di arma da fuoco nel collo.
Aveva ventotto anni: il suo episodio, una novella cruda, fa parte del patrimonio - genetico - di uno sport e di una corsa che ci racconta, noi europei occidentali, meglio di mille libri di storia.

SIMONE BASSO
Il Giornale del Popolo, 9 aprile 2016

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