HOOPS MEMORIES - Big E vs Big Lew: La Partita del secolo


Christian Giordano ©
American SuperBasket n. 3/anno 17 - 3/16 luglio 2008 

Se c’è una partita che più di altre ha messo sotto i riflettori il basket di college, ritagliandogli un ruolo da protagonista sulla scena del grande sport USA, quella è lo Showdown in the Astrodome. La resa dei conti fra UCLA e University of Houston disputata il 20 gennaio 1968 nel mastodontico stadio (di football e baseball) all’8400 Kirby Drove di Houston, Texas. Game of the Century, la Partita del secolo, aveva tutto: squadre imbattute, le prime del ranking (con i Bruins davanti ai Cougars), i campioni uscenti contro gli idoli di casa, lo scontro fra gli unanimi All-American, nonché futuri Hall-of-Famers, Lew Alcindor (non ancora Kareem Abdul-Jabbar) e Elvin Hayes. E, soprattutto, lo spettacolo. Un colpo gobbo per la prima gara di regular season NCAA trasmessa nel prime time alla tv nazionale. Non a caso, aprì la via alla moderna copertura televisiva della cosiddetta March Madness, la Follia di marzo che contagia il paese a ogni Final Four universitaria.

L’evento attirò una folla mai vista prima a un incontro di basket: 52.693 spettatori, nessuno dei quali seduto a meno di 30 metri dal campo, allestito al centro del mega-impianto, attorno alla zolla dove normalmente era posta la seconda base del diamante. Il parquet, di cui l’Astrodome – per la prima volta aperto alla pallacanestro – era privo, era stato fatto arrivare dalla Los Angeles Sports Arena per 10.000 dollari. A parte tavoli e sedie riservati a media, segnapunti e ufficiali di gara, vennero utilizzate solo tribune fisse. I giocatori si vedevano minuscoli persino dai posti migliori, eppure sembrava lamentarsene. Era già tanto esserci. Al via della stagione 1967-68, la prima col divieto di schiacciata sia in gara sia nel riscaldamento, per UCLA la seconda con Alcindor in mezzo all’area e la 20esima con John Wooden come capoallenatore, i campioni sembravano avviati al quarto titolo in cinque anni dopo quelli del 1964, 1965 e 1967. E con soltanto successi nelle prime 13 uscite, era dura andare controcorrente.

I Bruins venivano da 47 vittorie, compresa la finale NCAA 1967. E con in quintetto il 2.17 Alcindor, uno junior (terzo anno), non avevano mai perso. Anche i ragazzi di coach guy Lewis vantavano credenziali di tutto rispetto: guidati dal senior Hayes, ala-centro di 2.04 e spalle a quattro ante, avevano un record di 16-0. L’ultima sconfitta (73-58) l’avevano buscata proprio dalla University of California at Los Angeles, a Louisville (Kentucky), nelle semifinali NCAA dell’anno prima. Lontana 13 vittorie dal record stabilito a metà anni ’50 dalla University of San Francisco del pivot Bill Russell, i Bruins avevano Alcindor menomato da un guaio alla cornea dell’occhio sinistro, infortunio occorsogli contro California otto giorni addietro e per il quale aveva saltato due gare e buona parte della settimana di allenamenti, visto che doveva usare una benda protettiva.

Big Lew incappò così nella peggior serata della sua carriera universitaria. E l’irripetibile combinazione fra una prestazione sottotono di Alcindor e una stupenda performance di Hayes consentì ai Cougars di compiere l’impresa. «Sopravvalutai le mie condizioni, e così coach Wooden. Dopo 5’ di gioco ero già stremato, non riuscivo a rompere il fiato» dirà a frittata fatta il futuro Kareem Abdul-Jabbar (nome che assumerà anche legalmente dal 1971, in seguito alla conversione all’Islam). Houston, chiamando in causa Hayes a ogni opportunità, balzò sul +15 prima di condurre 46-43 all’intervallo, con Big E già a 29 punti. Nella ripresa, il ritmo fu più rallentato. Con 3’02” da giocare si era sul 65-pari. Hayes segnò in sospensione dalla linea di fondo e Don Chaney firmò su jumper dai 4-5 metri il 69-65, ma Lucius Allen infilò un canestro e due liberi per il 69-pari a 44” dal termine. Houston lavorò palla in post basso e per Hayes, e mentre questi cercava di portarsela verso l’angolo di sinistra per un jumper in avvitamento, su di lui commise fallo la riserva Jim Nielsen a 28” dall’ultima sirena. Pur essendo un tiratore da appena il 60% dalla lunetta, Hayes infilò entrambi i personali del 71-69. Dopo che UCLA spedì fuori il passaggio nato dalla rimessa, Houston riuscì a far scorrere il cronometro fino allo scadere. Big E – pur giocando gli ultimi 11’ gravato di quattro falli – finì con 39 punti (e 17/25 al tiro su azione), 15 rimbalzi e 8 stoppate, Big Lew con 15 punti e 12 rimbalzi e soltanto 4/18 nelle conclusioni. Elvin ebbe la meglio anche a rimbalzo, 15-12, e in generale dominò il confronto diretto con l’avversario, rifilando pure pure tre stoppate e due recuperi.

La striscia vincente di UCLA era finita, ma i Bruins si sarebbero vendicati alla Final Four. Stavolta era Houston la numero uno e UCLA la due, la gerarchia però non durò a lungo. Con Lynn Shacckleford a oscurare Hayes in una efficacissima difesa diamond and one, la stella di Houston segnò appena 10 punti, e i Cougars dovettero arrendersi alla maggiore profondità del roster dei Bruins. UCLA si impose per 101-69 e mandò in doppia cifra nei punti segnati tutti i titolari. La serata-no dei frombolieri gialloblù era ben fotografata dal modesto 34% al tiro, contro il 46% dei Cougars. Trascinata da Chaney e dall’altra guardia George Reynolds, Houston fece uno straordinario lavoro nell’arginare la famosa press di UCLA, ma alla fine, ancora una volta, decisivo era stato il duello Alcindor-Hayes. All’ultimo atto, battere (78-55) North Carolina per i Bruins fu quasi una formalità. Chiusa sul 29-1 (quindi senza altri stop) la stagione regolare, per loro la vera sfida era stata prendersi la rivincita su Houston. Successe in semifinale, alla Los Angeles Sports Arena. Il parquet non era cambiato, il risultato e la storia sì. Per sempre.


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