FOOTBALL PORTRAITS - Modrić, io non ho più paura (2013)


Dalla guerra nella ex Jugoslavia al Real Madrid dei Galácticos un talento più forte di ogni avversità. 
Il Miedo Escénico? A 27 anni, è pronto per incantare anche il Bernabéu

di CHRISTIAN GIORDANO ©
Guerin Sportivo © n. 5, maggio 2013

NE PRILAZITE.
NA OVOM PODRUČJU JE VELIKA.
OPASNOST OD MINA. 

«Non attraversare: grave pericolo di mine». C’è ancora, quel cartello. Conficcato nel terreno e nel cuore, anche adesso che scappare non si deve più. Zadar (Zara), oggi “solo” Croazia. Fino a vent’anni fa, molto, troppo di più. A casa di Luka non ci arrivereste mai per turismo, né vorreste. Sessanta km dalla costa dalmata, area rurale, depressa e montagnosa, si svolta a destra per «Modrići». Plurale: i Modrić abita(va)no qui. Tempo imperfetto. Come il mondo che abitiamo. 

MY NAME IS LUKA 

Quello dei Modrić era già cambiato per sempre il 18 dicembre 1991. Nonno Luka, ex operaio stradale, da buon uomo dei campi è abitudinario: dopo pranzo risale al pascolo con la sua mucca. Il soffio del vento è rotto dal rumore di rami spezzati. Si ferma una macchina, c’è gente che corre e grida. Poi solo spari. Il giorno dopo, a 500 metri dalla casa di famiglia, i familiari trovano Luka riverso in una pozza di sangue. Con lui altri sei, tutti anziani: Stipe Zubak, Zubak Zorka, Ivan Maruna, Manda Maruna, Božica Jurčević e Martin Bužonja. I miliziani serbi della SAO Krajina, responsabili di pluri-crimini di guerra, avevano “vinto” ancora. L’autopsia stabilirà che i sette sono stati freddati da distanza ravvicinata, i corpi non evidenziavano segni di resistenza: la gran parte era stata colpita alle spalle. Uccisi a sangue freddo, senza un perché. O forse sì. La Croazia dal 31 marzo era in guerra, e a nord gran parte della zona franca vicino Obrovac, sulla catena del Velebit (le Alpi Bebie), è occupata dai ribelli serbi. La pulizia etnica è una realtà, e per non vederla «la comunità internazionale» si volta dall’altra parte. Le minacce di morte, la casa sventrata da bombe serbe, adesso l’assassinio del patriarca: per i Modrić, prima della guerra operai in una fabbrica tessile “comunista”, è il punto di non ritorno. Stipe, figlio di Luka Sr, va al fronte come tecnico dell’aviazione, la moglie Jasminka e i piccoli Luka Jr (sei anni) e Jasmine (uno) sfollano nella più sicura Zadar. In cerca di un presente prima ancora di un futuro. 

HOTEL KOLOVARE 

La vista del mare avvisa di svoltare a destra, uscita per «Nin – Smilčić – Zadar-zapad (Zara ovest)». La strada, stretta e spazzata dal vento, è la stessa; fino all’autostrada di un decennio fa, una delle sole due che collegavano l’interno alla costa dalmata. Ma il viaggio è molto diverso da quello del 9 settembre 1985, quando Stipe aveva portato Jasminka all’ospedale per far nascere Luka. Stesso nome del nonno. I Modrić – come altre famiglie, “fortunate” perché vive – vengono alloggiati all’Hotel Kolovare, enorme ex complesso turistico a quattro stelle, e 191 stanze, riconvertito a centro di accoglienza per rifugiati di guerra. Il simbolo della un tempo splendida via Bože Peričića era, come tutto il resto, in rovina. Anche per il piccolo Luka tutto era cambiato. A casa del nonno, poteva correre all’aperto per dieci km. Adesso non può mai uscire, per via dei cecchini. E allora gioca a calcio davanti all’albergo, tutto il giorno. Quando non hai più niente, un pallone può essere tutto. «Giocava sempre. Ha rotto più vetrate lui col pallone che le onde d’urto delle bombe durante la guerra», scherzano ma mica tanto gli impiegati. Lì lo nota un ex dipendente che lo segnala a Josip Balo, direttore dell’NK Zadar, il club locale. «Se la passavano parecchio male – ricorda Balo – Erano rimasti senza casa, gli avevano bruciato tutto. Quell’uomo lo conoscevo, aveva già lavorato per lo Zadar, e un giorno mi fa: “Vieni a vedere come gioca quel bambino che palleggia tutto il giorno nel parcheggio. Era molto pericoloso. All’epoca, sulla città sganciavano tra le 500 e le 600 granate al giorno. Cominciavano a bombardare alle sei di mattina». 

NK ZADAR 

A otto anni Luka entra nelle giovanili. La sua nuova “casa” sarà lo Športsko rekreacijski centar “Višnjik”. Per due anni (1993-95) Miodgrad Paunović allena «un bambino molto timido e tranquillo, che non si faceva mai notare troppo, ma il cui talento in campo è stato evidente fin dall’inizio». Un’altra persona-chiave di quegli anni, e non solo, è Tomislav Basić, il padre sportivo di Modrić. L’uomo a cui Luka ha telefonato il giorno dopo aver firmato col Real Madrid, e a cui ha subito regalato una camiseta blanca numero 19: «Durante la guerra accettavamo alla scuola calcio tutti i bambini, per dare loro una possibilità di giocare e non restare sempre rinchiusi. E così fu per Luka, un ragazzino molto fragile. Non immaginavamo sarebbe diventato un giocatore importante». 

SPALATO POCO FINO

È una bufala invece quella dei parastinchi di legno intagliati da papà Stipe papà, che non poteva compraglieli. Una bella storia rovinata dalla verità: i Nike R9 che Luka usò fino a consumarli. Lo stesso modello del Ronaldo brasiliano. Basić ancora oggi li conserva come reliquie ma ammette che sì, «forse erano di qualcun altro». Dopo l’operazione Tempesta d’inizio agosto 1995 e due anni senza elettricità né acqua corrente, Zadar – dove la guerra era finita due anni prima – ricomincia a vivere. E una parte dei suoi 200 euro di rimborso militare Stipe li investe per pagare a Luka la scuola calcio. Era tempo di fare sul serio. Il problema però è sempre lo stesso: il fisico minuto. Per quello, a 12 anni, dopo due settimane di prova, viene scartato dall’Hajduk Spalato. Finite le elementari, Basić aveva chiamato l’Hajduk per proporgli due giocatori; uno era Modrić. «Luka, come qualunque bambino dalmata che gioca a calcio, sognava di farlo all’Hajduk. Solo nell’Hajduk. Per la gente della Dalmazia l’Hajduk è una priorità». La botta è forte, tanto da fargli pensare di smettere. Ma i Modrić non sono fatti per mollare. «Sapevo che non sarei mai diventato grosso e forte come mio padre, ma come mio zio (anche lui calciatore, nda)», racconta Luka, che per irrobustirsi lavora due anni (1999-2001) con un preparatore, il professor Robert Botunac. «Lavoravamo sulla tecnica, perché il dono di capire il gioco lo aveva innato, gliel’aveva dato Dio. Ma la tecnica si può migliorare, e così lavoravamo su scambi, controllo di palla e tiro, con entrambi i piedi. Il ragazzino prometteva, ma non di essere quel fenomeno oggi decisivo in Champions League. «Anche se oggi tutti dicono che sarebbe diventato un grande giocatore – ricorda Ivan Malik, suo compagno ai tempi dello Zadar –, molti si lamentavano per il suo fisico, troppo gracile per sfondare». 

QUOQUE TU, DINAMO

Invece sfonderà, ma ai rivali di sempre del suo Hajduk: la Dinamo Zagabria, il club più importante in Croazia. «Lo prendemmo per le sue qualità – spiega Romeo Jozac, direttore della scuola Dinamo – Quando lo vidi, senza conoscerlo, pensai che sarebbe stata dura, perché era molto piccolo e fragile. Nessuno di noi sapeva se la cosa avrebbe funzionato; però era incredibilmente rapido, veloce ed era capace di leggere il gioco». Il club che era stato di Davor Šuker (da luglio 2012 presidente federale) e Zvonimir Boban, leggende del calcio croato, crede in quel talento, un po’ meno in quel fisico, tanto più in prima squadra. E a 13 anni lo manda in prestito nel più duro campionato dei Balcani, quello della Bosnia-Herzegovina. È Jozac a raccontarlo: «Eravamo con la squadra riserve, e un giorno mi chiama un dirigente per dirmi: “Luka va allo Zrinjski, a Mostar, per un anno. Mi dispiaceva, perché stava facendo grandi progressi. Ma sapevamo che gli avrebbe fatto bene». Il debutto arriva nel 2003-04 agli ordini di Stjepan Deverić: «Era rischioso, perché Luka era ancora un ragazzo. Il campionato era difficile, forte, a volte persino brutale. Subivi un sacco di scorrettezze, colpi di ogni tipo, ma ti formavano. Luka superava tutto giocando di squadra». Il Modrić alla Cruijff, tutto d’esterno, due, tre passaggi “avanti” l’azione e senza mai un tocco più del necessario, e tiro a scendere, nasce lì. «La Liga bosniaca è terribilmente dura, ma Luka era stato capace di sopravvivere», conferma Jozac, che se lo riprende subito alla Dinamo. A qualcuno, però, gli 8 gol in 22 partite e il titolo di MVP del campionato non bastavano. Basić non se lo scorda: «Anche a Mostar non tutti riconoscevano il talento di Luka. C’era scetticismo. E così lo cedettero un’altra volta. Dovette dimostrare il suo valore anche nell’Inter Zaprešić». 

INTER ZAPREŠIĆ

Club di periferia a una trentina di km a nord-ovest da Zagabria, massima divisione croata 2004-05. L’allenatore è Srećko Bogdan, ex centrale di Dinamo e Karlsruher, che gli dà fiducia. «Gli ho fatto giocare 3 o 4 amichevoli e gli ho detto: “Adesso giochi 10 partite di seguito. Gioca e fai vedere quel che sai fare. Non ti sostituirò, puoi commettere errori, ma devi dimostrarmi che sai giocare, che puoi stare in prima squadra per darci una mano e che dai tutto”». A Modrić bastano sei partite per la chiamata, a 18 anni, nella Under 21. A metà stagione 2004-05, la piccola Inter guidata dal piccoletto Modrić è campione d’inverno, a +6 sulla grande Dinamo, che lo richiama alla base e gli inchiostra un decennale: fino al 2016. Col primo contratto Luka compra ai suoi la casa: una villetta a due piani a 5 km da quella distrutta in guerra. 

LE MERAVIGLIE DEL CROATO

A Zagabria trova Vedran Ćorluka, poi compagno al Tottenham e nel 2010 suo testimone di nozze; Zoran Mamić, al rientro da nove stagioni in Germania e suo futuro ds oltre che co-agente assieme al discusso fratello dg Zdravko; e infine Eduardo, brasiliano naturalizzato croato con cui firmerà a Livorno il 2-0 alla prima Italia di Donadoni. Il suo primo gol in nazionale. «Avevamo un gruppo giovane – dice Mamić di quella Dinamo – e dal primo giorno giurammo che avremmo vinto il titolo con 10 punti di vantaggio. Ci prendevano per pazzi». Alla fine saranno 8, per il primo dei 5 trofei di Modrić in tre anni a Zagabria. Lì nel 2007, alla Mamić Sports Agency conosce un’assistente di Mario Marić, la Vanja Bosnić, di tre anni più grande, che sposerà nel maggio 2011 e gli darà, il 6 giugno, il piccolo Ivano. È tempo di ricominciare. Nel 2008, per 26 milioni di euro, è al Tottenham di Juande Ramos, che lo schiera mediano. La velocità e la fisicità della Premier impongono nuovi adattamenti. Redknapp lo avanza sulla trequarti sinistra poi al centro. Luka esplode. Lo vuole il Chelsea, che si spinge fino a 40 milioni di sterline. Lui, tifoso del Barcellona del suo idolo Cruijff (cui somiglia in campo e fuori e pure nei tratti), indossa la 14 degli Spurs ma posa con la 14 blaugrana e flirta col Real Madrid, con cui 36 ore dopo vince il primo trofeo: la Supercoppa Spagnola contro il Barça. Il gol al Manchester United negli ottavi di Champions lo ha rimesso sulla mappa. A 27 anni, con quel cartello nel cuore, altro che Miedo Escénico: il Bernabéu è casa sua. Luka non ha più paura. 
CHRISTIAN GIORDANO
Guerin Sportivo n. 5, maggio 2013



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