BIKE PORTRAITS - Stan Ockers, l’idolo che fece piangere il piccolo Merckx


di CHRISTIAN GIORDANO ©
 
Sempre troppo giovane, povero Stan. 
È così che in famiglia chiamavano Constant Ockers, nato il 3 febbraio 1920 a Borgerhout, sobborgo di Anversa. Terra di ciclismo se ne esiste una, ma non per lui: da grande gli sarebbe piaciuto arruolarsi in Marina. Per quello lascia la scuola presto. Troppo per imbarcarsi subito, e così deve arrangiarsi come verniciatore ai cantieri navali. La nuova e inattesa carriera, però, dura poco, perché quando il fratello maggiore Jos gli compra una bicicletta, Stan si scopre corridore. 

All’epoca Stan giocava a calcio, sport che mal si concilia col ciclismo perché nelle due discipline lavorano muscoli antagonisti; così, un po’ a malincuore, lascia il pallone per le due ruote. 

Ockers scala in fretta le categorie dilettantistiche e nel 1941, con il Belgio già occupato dai nazisti, passa professionista. Al primo anno, sulle strade di casa vince da indipendente i criterium di Sint-Niklaas, Stekene e Schoten. E mostra del gran potenziale imponendosi nella Grote Scheldeprijs, la corsa più antica che si tiene nelle Fiandre. A frenarne la carriera però c’è sempre qualche fattore esterno. Il calendario internazionale in tutta l’Europa è stato azzerato dal secondo conflitto mondiale, così è solo nel dopoguerra che l’ex promessa sale alla ribalta internazionale. 

Stan ha già 27 anni quando chiude terzo al Giro di Svizzera del 1947, dietro gli italiani Gino Bartali e Giulio Bresci, piazzamento poi migliorato nel 1955 con il secondo posto tra gli idoli di casa Hugo Koblet e Carlo Clerici. 

Ockers è due volte secondo anche al Tour de France: nel 1950 a 9’30” dallo svizzero Ferdi Kübler e nel 1952 a 28’17” da Fausto Coppi, alla seconda doppietta Giro-Tour dopo quella del ’49. 

Nel 1953, conquista la sua prima Freccia Vallone. Il piccolo grande Stan (un metro e sessantotto scarsi) era molto popolare, ma aveva anche lui i suoi detrattori. Per alcuni era un pigro, per altri un tattico sagace che sapeva con esattezza quando, dove e come attaccare. Non a caso lo chiamavano “il Matematico”. Di lui il giornalista Jos Van Landeghem disse: «Stan non era il miglior talento della sua generazione, ma sapeva leggere la corsa come nessun altro. E questo a volte non veniva capito». 

Su di lui anche il gruppo era diviso, i tifosi invece lo adoravano. Perché era, e viveva, come loro: da uomo qualunque, che però ce l’aveva fatta. In Belgio piaceva a tutte le classi sociali, ed era noto per il tanto tempo che spendeva ad aiutare i giovani corridori a migliorare. 

Quella del 1955 è la sua miglior stagione. Bissato il successo di due anni prima nella Freccia Vallone, domina il Weekend delle Ardenne vincendo pure la Liegi-Bastogne-Liegi. All’epoca la Doyenne si correva il giorno dopo la Freccia, l’impresa quindi sa ancora più di leggenda. 

Alla Freccia, attacca prima della Côte des Forges e in salita incrementa il vantaggio per andare a vincere in solitario di tre minuti. 

Nella Liegi, il giorno seguente, attacca con Raymond Impanis, suo compagno di squadra alla Elvé-Peugeot. La fuga va in porto, con Ockers che allo sprint batte comodamente il connazionale. 

In precedenza la doppietta era riuscita solo a Kübler (1951 e 1952), poi solo in cinque la centreranno nello stesso anno: i belgi Eddy Merckx (1972) e Philippe Gilbert (2011), gli italiani Moreno Argentin (1991) e Davide Rebellin (2004) e lo spagnolo Alejandro Valverde (2006, 2015 e 2017). 

Quell’anno Ockers potrebbe centrare addirittura il tris con la Parigi Roubaix, ma si rifiuta di lavorare contro l’amico Impanis. E così a imporsi sarà Jean Forestier della Follis-Dunlop, davanti a Fausto Coppi e Louison Bobet, staccati di 15 secondi. Impanis, già autore di storiche doppiette – due Gand-Wevelgem in fila (1952 e 1953), Fiandre e Roubaix nello stesso anno (1954) –, chiuderà quinto, a 42 secondi dal vincitore. 

Tre mesi dopo, al Tour de France, Ockers conquista la maglia verde, introdotta proprio dal 1953, di leader della classifica a punti. La prima di due consecutive. A trentacinque anni, età in cui un corridore già si è ritirato o è prossimo a farlo, sembra più forte che mai. E sulla scia di quella sua straordinaria Grande Boucle, punta a un’altra maglia: quella iridata. 

Cinque anni dopo Varese ’51 il mondiale, per la seconda volta nel dopoguerra, torna in Italia: a Frascati, venti chilometri a sud-est di Roma. Ockers il titolo lo aveva già sfiorato a Lugano 1953, finendo terzo dietro a Coppi e a un altro belga, Germain Derijcke. A cinque giorni dalla rassegna iridata, Stan scalda la gamba vincendo una kermesse a Bertrix, in Belgio, la sua ultima corsa di preparazione prima del viaggio in Italia. 

Per indossare l’arc-en-ciel i favoriti sono i francesi Jacques Anquetil e Louison Bobet, Fausto Coppi e Fiorenzo Magni co-capitani azzurri con Gastone Nencini terza punta, Kübler e il tedesco dell’ovest Heinz Müller, iridato a Lussemburgo ’52. 

Il 28 agosto, all’indomani del podio tutto italiano (Sante Ranucci, Lino Grassi e Dino Bruni) nella prova dei dilettanti, sul circuito il vero protagonista è il caldo: su 65 partenti, solo in 21 taglieranno il traguardo dopo 293,132 km e quasi nove ore di gara. 

In testa restano in dodici, compresi Anquetil e gli italiani Nencini (che chiuderà quarto), Pasquale Fornara e Agostino Coletto. Staccato di cinque minuti, Ockers comincia un inseguimento disperato e invece sensazionale: pianta lì Bruno Monti che aveva tentato di stargli a ruota e raggiunge i battistrada al 13esimo giro, per poi staccarli sulla salita di Grottaferrata e arrivare da solo, a braccia alzate, con 1’03” sul lussemburghese Jean-Pierre Schmitz e 1’15”, anche qui, su Derijcke. Il ragazzino che il mondo voleva girarlo in Marina, c’è salito in cima in bicicletta. 

La maglia arcobaleno, però, sa anche essere maledetta. Chiamato a difendere il titolo a Copenhagen ’56, sul circuito di Ballerup adatto ai velocisti, Ockers chiude quarto allo sprint dietro i connazionali Rik Van Steenbergen e Rik Van Looy e l’olandese Gerrit Schulte e davanti ad altri due compagni, Alfred de Bruyne e il solito Derijcke. Quattro belgi nei primi sei. È il 26 agosto. 

Il 29 settembre, cade in pista allo Sportpaleis di Anversa. Muore, per fratture multiple alla scatola cranica, due giorni dopo, il 1° ottobre. A trentasei anni, lascia la moglie Rosa e il loro figlioletto di sei, Eddy. 

Al suo funerale scendono in strada in diecimila. L’anno successivo, in suo onore viene svelato un monumento in cima alla Côte des Forges, a Sprimont, nel sud del Belgio; salita scelta perché è lì che era andato in fuga per andare a vincere la prima delle sue due Freccia Vallone, e perché ancora oggi è nel percorso di un altro suo grande trionfo, la Liegi. 

Quell’anno fu organizzata la prima edizione del Grand Prix Stan Ockers. La vinse, non per caso, Raymond Impanis, l’amico e compagno che Stan, alla Roubaix di due anni prima, non aveva voluto inseguire. La corsa durerà fino al 1963, mentre a perpetuarne il ricordo c’è un altro monumento, quello sulla scena della tragedia, al velodromo di Anversa. 

Quel giorno anche un altro ragazzino di nome Eddy, di appena undici anni, aveva pianto come si riesce solo a quell’età. Il suo idolo era andato in fuga per sempre. 
Sempre troppo giovane, povero Stan. 
CHRISTIAN GIORDANO ©

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