Federer 18, lo Zeitgeist del Re
Il Giornale del Popolo, 30 gennaio 2017
Si chiude con un diritto sulla riga, e un Falco di frustrazione dell'avversario, una delle partite più iconiche nella storia recente del tennis.
Un momento, che dà l'illusione dell'infinito e che in tedesco definiremmo Zeitgeist: un attimo che cattura il tempo, e nel quale lo sport, il costume e la società (globale) si incontrano.
Pare un romanzo, scritto da uno bravo, invece è la realtà: Roger Federer vince gli Australian Open 2017 battendo Rafa Nadal in cinque set sulle montagne russe (6-4, 3-6, 6-1, 3-6, 6-3), e aggiorna a diciotto il conto dei suoi Slam.
Cinque titoli a Melbourne e ottantanove complessivi nella carriera professionistica.
Potremmo compilare paginate sui numeri messi assieme dal basilese, più anziano trionfatore in un titolo maggiore dal 1972 (Ken Rosewall allora trentasettenne, anche quella volta down under).
Ecco, fatte salve le sostanziali differenze, all'epoca l'Aussie Open era il major di scorta, un punto di contatto (tecnico) con Muscles ci sarebbe. Rosewall, un ballerino, aveva un rovescio straordinario: molto simile, per efficacia, al meraviglioso gesto coperto esibito dal Re in queste due settimane. Col servizio, la chiave della vittoria.
LA PARTITA
Match dall'andamento prevedibilmente rapsodico, fin dalla vernice però si comprende che il gioco, favorito anche dal campo (veloce) e dall'assenza di vento, è nelle corde della Wilson di Federer.
Sono un rovescio esterno e volée, più un mirabile contrattacco di Roger a siglare il break - decisivo - del 4-3.
L'elvetico avanti (tutta) e l'iberico almeno mezzo passo (troppo) indietro: Federer anticipa e comanda.
Col suo primo passaggio a vuoto, cinque minuti fuori sincrono, Nadal pareggia i set: eppure, nella rincorsa che porta al 3-6, i temi tattici sono sempre più definiti.
Sono tre breakpoint annullati dal Campionissimo rossocrociato, col servizio (a uscire), nel primo gioco del terzo parziale, a (ri)spostare l'inerzia.
Consolidata, sulla battuta di Rafa, da tre punti incredibili del Mago Merlino: l'ultimo, un diritto lungolinea in controbalzo, roba da playstation.
Il 6-1, travolgente, arriva velocissimo, come nei piani di coach Ivan Ljubičić.
Nel quarto, Nadal alza l'asticella, la pressione da fondo campo, ma è un game così così di Roger, che, sul primo punto, sbaglia un forehand (per lui) banale - a far girare l'ambaradan.
Il che ci porta, in appena due ore e trentotto minuti (a dispetto di tutto, un ottimo segnale per Federer), al sesto quinto set della loro rivalità.
Un'apparente nemesi per Rogi che, otto anni orsono, sempre a Melbourne, perse uno scontro epico (5-7, 6-3, 6-7, 6-3, 2-6) quanto doloroso.
E a dodici anni dal Fedal del Mille di Miami, quando l'allora numero uno del mondo rimontò un Rafa bambino, ma già pronto alla battaglia (2-6, 6-7, 7-6, 6-3, 6-1).
Lo stesso Medical Time Out come contro Stan Wawrinka e un'apertura di parziale frettolosa, imprecisa, sembrano far riemergere quei fantasmi.
Dal break immediato di Nadal, Federer risale in cattedra: è un rovescio fotonico del maiorchino, verso il 3-1, a respingere il primo assalto del rivale.
Il quale ritorna sotto, sul 3-pari, concretizzando il sesto breakpoint del game.
Nel pandemonio del pubblico, con un Federer propositivo, il momentum - all'ottavo gioco - è uno dei pochi scambi (apparentemente) alla Nadal, un long rally di ventisei colpi concluso da un diritto regale del basilese, a decidere il duello.
Sul 5-3, con l'Arena elettrica, il Mago Merlino deve salvare due palle-break - sul 15-40 - prima di scrivere diciotto sul libro dei record.
IL BORDONE
La lettura della contesa, al di là dell'enfasi (giustissima), è assicurata dalle impressioni visive e dalle cifre (nude e crude).
Rispetto all'èra aurea, l'anno e mezzo 2008-09 ancor meglio che nelle stagioni 2010 e 2013, il tennis quantitativo di Nadal, di trasformazione della fase difensiva in attacco, ha più qualità nel servizio.Il che, su un cemento veloce, viene esaltato nella curva slice, velenosa.
Ecco, Maestro Federer - paragonato al Federerissimo migliore (2004-07) - è uscito dalla diagonale maledetta, quella del toppone mancino di Rafa che sbatte sul suo backhand a una mano, colpendo il rovescio in anticipo perenne.
Evitando il più possibile il back, e spostando avanti il baricentro, ha alterato il timing dei rallies.
Nadal non possiede più la stessa solidità nel (leggendario) diritto, ma sa variare (e improvvisare) di più.
Il bordone (vincente) di Federer, non solo nella finle, è stato implementato da una battuta hors catègorie: prima e seconda, illeggibili e potenti il giusto.
La statistica-base del trentacinquesimo Fedal sono i punti conquistati sulla prima di servizio: 65 su 85 di Roger (il 76%) contro il 69 su 110 di Rafa (63%).
Cifre che giustificano i settantatré vincenti e i venti ace del primatista di ogni cosa; a fronte dei trentacinque winner e quattro ace del fuoriclasse di Manacor. E i 3.218 metri coperti da uno, rispetto ai 3.306 dell'altro (che inseguiva): di rimbalzo, i ventotto winner di diritto e i quattordici di rovescio, opposto a un fondocampista de luxe, sono un dato clamoroso.
LA MISTICA
Per i due assieme, in una domenica, potrebbe essere la chiusura del cerchio. Il canto del cigno? Pensiamo invece che, separatamente, questo 2017 sia aperto a soluzioni interessanti.
Nadal, a maggio, se aggiunge ancora fieno in cascina, nel Philippe Chatrier, la camera delle torture (altrui), vorrebbe la decima al Roland Garros.
Questo Federer, pienamente recuperato, a luglio, nel Campo Centrale di Wimbledon, il suo giardino, avrebbe lo chassis per salire a otto titoli.
L'anno scorso, su una gamba e mezzo (gli spostamenti laterali erano da Senior Tour), è arrivato - con Milos Raonic - a un paio di prime dalla finale numero undici.
La mistica del Mago Merlino, nel robosport di oggidì, non ha eguali.
Perché affastella i record con la bellezza: Crono non si batte, ma Federer si permette di beffarlo da anni.
È un unicum tecnico e atletico, che coniuga l'iperviolenza del tennis postmoderno con il tocco, l'eleganza e la fantasia dei gesti bianchi.
Re Roger è il filo diretto che parte da Bill Tilden, l'inventore del gioco come lo conosciamo, e che ci porta nel ventunesimo secolo.
Alla Hopman Cup, la competizione a squadre che ha cominciato la stagione, Federer ha affrontato Alexander Zverev, probabile capintesta dell'ATP che sarà.
Il fratellino di Mischa è un classe 1997: quando Alex aveva un anno, Roger si aggiudicava Wimbledon junior, l'Orange Bowl e il primissimo incontro nel circuito dei Grandi.
Sempre a Perth, il Re si è allenato un po' coi colleghi e le colleghe: illuminanti le parole di Kristina Mladenovic.
La francese ha negato qualsiasi paragone con gli altri, seppure fortissimi: la palla di Federer sembra teleguidata e i suoi piedi paiono danzare.
Postura decontratta, colpi fluidi e perfetti che suonano (acusticamente) diversi.
E il controbalzo, sempre e comunque, a mo' di estensione naturale del proprio smisurato talento: il colpo che lo separa dal resto della ciurma. Ieri, oggi e domani.
Del resto, uno che torna - a trentacinque anni e mezzo - dopo sei mesi di inattività, non fosse un fenomeno fuori del mondo, non vincerebbe uno Slam battendo quattro top ten.
Prima di lui, lo fece Mats Wilander - diciassettenne - nel 1982 a Parigi; laddove Gaston Gaudio, nel 2004, si impose vincendo tre partite al quinto set: come Federer nell'Happy Slam.
La logica, se il vecchio Re è di mezzo, prende sentieri inediti. In fondo, ha sconfitto la sorte del diciassettesimo major colla testa di serie numero diciassette, nel 2017...
TITOLI DI CODA
Siamo a quattordici anni di distanza dal prologo Slam di Rogi: all'All-England Club, nel 2003, l'avversario era Mark Philippoussis. Fu un pomeriggio all'insegna del serve and volley.
Il Mago Merlino si è aggiudicato tre Wimby diversi: (quasi) classica, terbivora e poi indoor.
Anche in Australia le superfici sono cambiate: nel 2004 batté Marat Safin sul Rebound Ace, abbastanza veloce, e il penultimo trofeo lo alzò sul (colloso) Plexicushion del 2010 (finalista, Andy Murray). Di certo meno performante, per chi attacca, rispetto a questo (scorrevolissimo).
L'allenamento agonistico contro Tomas Berdych, novanta minuti di Stradivari suonato da Paganini, la rimonta esaltante con un notevolissimo Kei Nishikori e il Ferro e Piuma del derby elvetico: polaroid, con l'atto finale, di un capolavoro.
Sono stati Aussie Open di alto livello: gli organizzatori, benedetti dalla tradizione (che conoscono) e dal coraggio, proseguono nella loro opera. Hanno riportato il cemento a standard meno robotennistici, che premiano la versatilità e stilemi più offensivi.
Tre giocatori con il rovescio classico, in semi, non comparivano dal 2007 - inutile ricordare che uno fosse (il solito) Federer - e il quarto è un incontrista atipico (appunto, Nadal).
Il manifesto programmatico è stato il S&V - à bloc - di Mischa Zverev, che, negli ottavi, una discesa a rete dopo l'altra, ha smontato il tennis percentuale di un isterico Andy Murray.
Più variabili, persino impazzite, e meno schemi. Lo ribadiamo ancora: il domani del tennis, al netto della calcistizzazione degli atleti-brand, è nelle sue origini, nel suo passato. Anche per sconfiggere la nostalgia preventiva del Fedal: perché uno come Roger Federer, se non l'abbiamo ancora capito, non ci ricapiterà più.
SIMONE BASSO
Pubblicato da Il Giornale del Popolo, il 30 gennaio 2017
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