Shiffrin, la Mozart sugli sci

di SIMONE BASSO, Il Giornale del Popolo
18 febbraio 2017

L'epilogo iridato di St Moritz viene affidato, nel fine settimana, ai pali stretti dello Speciale. Lo Slalom femminile di oggidì, nemmeno fosse la normalità, offre - da più di tre anni - un pronostico scontato: dipenderà quasi esclusivamente dalle lune di Mikaela Shiffrin, la regina della disciplina.

Ventidue anni il prossimo 13 marzo, l'americana sta riscrivendo la storia dello sci alpino moderno, aggiornando primati che parevano imbattibili.

Con l'infortunio di Lara Gut, Shiffrin vede anche la prima Coppa del Mondo della carriera: dopo l'argento di giovedì nel Gigante, un oro confermerebbe che siamo entrati nella sua era. Sarebbe il quarto consecutivo in uno Slalom di un evento internazionale. Una roba mai vista prima: Wendy Holdener, le (ex) cecoslovacche, Frida Hansdotter sembrano sfidare un'aliena, più che una (giovane) collega. 

Mikaela è la secondogenita di Eileen e Jeff: gli Shiffrin, appassionati di sci e agonisti al liceo, nel loro girovagare (per lavoro, il babbo è medico anestesista) tra il Colorado e il New Hampshire, intuirono subito le potenzialità della figlia sulla neve.

Fu un allenatore, Rick Colt, quando Mikaela aveva appena otto anni, a svilupparne il talento precoce.
Il carattere a sé della sua storia è già in nuce: la più grande sciatrice tecnica dell'era moderna, crebbe a migliaia di chilometri di distanza dalla culla americana di questo sport (il Colorado).
Da bambina, preferirono l'allenamento alla competizione. Come dichiarò Kirk Dwyer, il guru (...) della Burke Mountain Academy: «Se vai a una gara, quel giorno scenderai due volte. Se te ne stai a casa e ti alleni, farai un pendio dodici o tredici volte».

Gli Shiffrin e Dwyer coltivarono e pianificarono il futuro della pupa: rientrati nel Centennial State, approcciato l'agonismo a tredici anni, Mikaela cominciò a separarsi dal resto del mondo.

Nel 2010, la prima apparizione europea al Trofeo Topolino, una sorta di Mondiale adolescenti che si disputava in Italia: si aggiudicò due titoli e nello

Speciale scavò l'abisso (tre secondi) con la concorrenza. Un'anticipazione di ciò che sarebbe accaduto, da lì a qualche stagione, pure nel Circo Bianco; dove esordì, ancora quindicenne, nel 2011, a Špindlerův Mlýn (Repubblica Ceca) in Gigante.
Il 29 dicembre dello stesso anno, a Lienz, in uno Slalom, la vernice sul podio: scese col pettorale quaranta, chiuse dodicesima la prima manche; nella seconda rimontò, col miglior parziale, fino al terzo posto. 
A vederla, quella volta, fu evidente il manifestarsi di un unicum, di una fuoriclasse che avrebbe stravolto i (vecchi) parametri.
Pensarono la stessa cosa alla Barilla, azienda alimentare leader nel brand sportivo, che le propose una sponsorizzazione ad hoc.
La terza, dell'universo sci, nella storia della multinazionale italiana: considerando che gli altri due campioni si chiamano Alberto Tomba e Bode Miller, un'investitura regale.

La stagione successiva, il 20 dicembre 2012, ad Are, in Svezia, il primo successo in Coppa e un altro segno del destino: la striscia cominciò nella terra di Ingemar Stenmark.
Nell'alveo tecnico, di primo acchito, a mo' di predestinazione, solo lo stesso Ingo e Lise-Marie Morerod con Mikaela.

A diciassette anni, in quel di Schladming (2013), l'incipit iridato con l'oro nello Speciale: uno dei tre - fra Mondiali e Olimpiadi - di una sequela ancora aperta.
Il trionfo a Cinque Cerchi (Sochi 2014) ne fece l'atleta più giovane di sempre a essersi imposta in uno Slalom olimpico. Una gara che, se analizzata bene, regala una perfetta fotografia di questo fenomeno: algido, intoccabile, quasi inavvicinabile. 

Shiffrin, capintesta, affrontò la seconda prova con un bel vantaggio: in un momento, preparando una porta verso sinistra, l'attimo fuggente. Perse l'equilibrio, sbilanciandosi sulle code: pochi centesimi di secondo, con la prospettiva immediata di un presentatàrm che l'avrebbe fatta cadere, per reagire. La bionda, con la reattività di un felino, si salvò su un piede - il destro - e ricostruì subito il ritmo dell'esercizio. Un numero straordinario, degno di Stenmark e di Tomba.

Eppure, vedendola così fredda, distaccata, quella giornata ci rivelò ancor più. Vinta la manche mattutina, fece pranzo in un caffè alla moda di Rosa Khutor, firmò qualche autografò e poi se ne andò in albergo a schiacciare un pisolino. A diciotto anni e 345 giorni, contro avversarie molto più esperte e una pressione addosso inimmaginabile, Mikaela Shiffrin dormiva a comando.
Sembra vivere in una bolla tutta sua, e la fa apparire una cosa normale: così ci si stupisce se - al Sestriere - emette un gridolino dopo una vittoria o se a Zagabria esce tra i rapid gates, per la prima volta dal 2012 (!), interrompendo un filotto di sette affermazioni in Coppa. 

Poche parole di Dave Garett, coach di un'accademia del Vermont, ne definiscono l'aurea: «Prodigiosa, è Mozart sugli sci».
La Shiffrin zerodiciassette, alternando gli slalom a un po' di velocismo, si sta preparando per la seconda parte del romanzo. Non sappiamo quanto i SuperG, che allenano i suoi piedi intelligenti alla velocità, possano togliere alla marziana dei pali stretti.
A Semmering, contro Zuzulova e Holdener d'assalto, replicò con un finale-monstre: nell'ultima sequenza parve dotata di un accelleratore. In altre occasioni è sembrata più battibile.
Al picco della forma, in Slalom, legge il pendio e si adatta; aggiusta le linee, anticipandole.
Sulle doppie e le triple strabilia per la capacità di incrementare il divario.
Scia leggera, come se capisse dove lasciarsi guidare dagli sci e quando invece imporgli il proprio volere tecnico.

Nel 2014 a Lenzerheide, alle finali, la manche d'apertura disegnata da Mauro Pini era difficilissima per gli standard femminili: arrancarono tutte, la Maze scioperò (...), tranne lei.
Ad Aspen, nel novembre 2015, sulla Lower Ruthie's, i 3"07 sulla seconda (la solita Veronika Zuzulova) divennero il margine più alto di sempre in uno Speciale donne.
Due mesi e mezzo più tardi, reduce da un'operazione al ginocchio e uno stop agonistico, a Crans Montana, rivinse di giustezza: Shiffrin trasforma l'eccezionalità in routine. 

La mamma, Eileen, la segue come fosse una sorella. Erede mediatica di Lindsey Vonn, come approccio non potrebbe essere più lontana: tanto l'ex signorina Kildow è appariscente, presenzialista, aggressiva; quanto Shiffrin è riservata, silenziosa, tranquilla.
Elegante, il viso di una bellezza preraffaelita, al di là delle dichiarazioni di rito preferisce ascoltare.
Sulle nevi, ha fatto dell'essenzialità del gesto uno spettacolo.
Sembrano passati secoli, eoni, da quando - neofita - condivise il podio con la grande Marlies Schild - primatista di vittorie in Coppa (trentacinque) nello Speciale - e le confessò che era lei la sua ispirazione. In sei anni, quella biondina ha messo assieme ventiquattro Slalom: Marlies, come noi, sa benissimo come la vicenda andrà a finire.
SIMONE BASSO
Pubblicato il 18 febbraio 2017 da Il Giornale del Popolo

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