La lezione di Brighton
Dal 2011 il club è uno dei migliori in Championship e punta alla Premier League. Merito di un nuovo stadio e di un presidente con la passione per il poker.
Fino a qualche anno fa Brighton era considerata la destinazione ideale per chi volesse imparare l’inglese. Lontana dalle ibridazioni e storpiature della lingua di metropoli come Londra e Manchester, questa città affacciata sul canale della Manica offriva ai giovani quanto di meglio potessero chiedere al loro soggiorno-studio all’estero: giornate soleggiate, un lungomare pieno di locali, un turismo tra i più attivi in Inghilterra e agevoli collegamenti con la capitale inglese. Non che adesso le cose siano cambiate, semplicemente hanno sconfinato altrove. Da ormai cinque anni, infatti, Brighton ha affiancato al concetto di destinazione ad hoc per studenti stranieri quello di modello ideale nella gestione di uno stadio. Una lezione cominciata nel 2011, quando è stato terminato il Falmer Stadium, costato 94 milioni di sterline e successivamente ribattezzato Amex Arena dopo la cessione dei diritti di rinomina alla società finanziaria statunitense American Express.
L’impianto ha una capacità relativamente piccola (30.750 posti a sedere), ma incredibilmente funzionale, che guarda più alla qualità che non alla quantità. Lo si percepisce leggendo la scritta Think like a winner presente sul corridoio che porta allo spogliatoio della squadra. Dalle parole ai fatti, perché quella del Brighton è una filosofia vincente e ambiziosa, orientata a garantire il più alto livello di sicurezza, comfort e accoglienza. Steward cordiali ma all’occorrenza intransigenti controllano i biglietti anche dopo che gli spettatori hanno superato i tornelli, la segnaletica sulle tribune è chiara e precisa, la presenza della polizia è minima e tutti i seggiolini sono imbottiti. A beneficiarne sono soprattutto i tifosi: oltre 27mila a partita, dato che fa registrare la quarta attendance media più alta in Championship, superiore a quella di società storiche come Leeds e Nottingham Forest. Meglio solo Newcastle, Aston Villa e Derby County: i Magpies portano 51mila persone allo stadio, i Villans circa 33mila, mentre i Rams si attestano a quota 29mila.
Conseguenza di uno stadio quasi sempre pieno è la notevole partecipazione durante ogni incontro. Per Paul Camillin, responsabile dell’ufficio stampa del Brighton, «l’atmosfera è stata fantastica fin dall’inizio della stagione e non ci sono dubbi che abbia aiutato la squadra». Anche in trasferta i numeri sono altissimi: nell’ultima vittoria a Craven Cottage contro il Fulham, per esempio, i sostenitori ospiti erano quasi 7mila. L’attuazione di questi servizi ha permesso alla Amex Arena di aggiudicarsi due importanti riconoscimenti all’interno degli Stadium Business Awards, destinati ogni anno agli stadi che si sono maggiormente distinti per innovazione, efficienza e gestione di eventi sportivi. Nel 2012 è arrivato il premio di Best Venue of the Year, superando anche lo Juventus Stadium, seguito a due anni di distanza dal Safety and Security Award.
L’impatto ambientale è un altro dei punti forti: l’impianto è eco-friendly, sorge nel distretto di Palmer, località vicina a un’area naturale protetta ricca di papaveri, è collegato al centro città da una pista ciclabile e si avvale di un sistema di trasporti gratuito adoperato dall’80% dei tifosi. Le attività collaterali per coinvolgere ragazzi e famiglie sono uno dei maggiori punti di forza. Prerogativa della struttura è soprattutto la presenza di aule universitarie, utilizzate dagli studenti del vicino complesso della Sussex University per le proprie attività. Questa partnership ha consentito il lancio dell’applicazione Digital Stadium, che permette di risolvere il problema di sovraccarico della rete internet dentro l’Amex Arena, mettendo a disposizione dei tifosi risultati in tempo reale e indicazioni stradali. L’idea di uno stadio concepito non solo come luogo per assistere alle gare, ma anche come simbolo di appartenenza alla comunità, si ravvisa nei 1200 posti di lavoro offerti durante la sua costruzione e nella presenza all’interno di sale destinate a eventi e conferenze.
La molteplicità di iniziative e opportunità ha portato all’organizzazione della prima edizione di “Football Avenue”, una giornata dedicata allo scambio di idee e al rapporto tra società calcistiche italiane e straniere, tenutasi nel marzo del 2014. Paul Barber, Chief Executive del Brighton, ha invitato una delegazione di dirigenti italiani – tra cui quelli di Juventus, Sassuolo e Sampdoria – per mostrare da vicino i segreti della Amex Arena. Un incontro arrivato a circa un anno di distanza dalla visita in Lega Calcio di Angelino Alfano, allora Ministro dell’Interno. In quell’occasione parlò di stadi e di sicurezza dei tifosi durante le partite: «Discuteremo sulla costruzione di nuove strutture che sul modello di Brighton possano rappresentare luoghi accoglienti per bambini e famiglie, rendendo anche più moderne e architettonicamente più belle tante zone delle nostre città».
Dietro il successo gestionale all’apparenza immediato del club si nasconde tuttavia la lungimiranza e il coraggio di due personaggi fondamentali per la sopravvivenza del calcio a Brighton. Uno è Dick Knight, fedelissimo tifoso che nel 1997 guidò una campagna popolare per costringere alle dimissioni la dirigenza. Era un periodo di crisi finanziaria, la società militava in quarta serie, rischiava il fallimento e l’allora proprietario Bill Archer venne accusato di aver venduto il vecchio Goldstone Ground a una società di costruzioni per tornaconto personale, senza nemmeno aver individuato un terreno alternativo dove disputare le partite casalinghe. L’iniziativa di Knight ebbe successo, tanto che fu proprio lui a diventare il nuovo presidente, ma la squadra dovette condividere per due anni lo stadio del Gillingham, distante oltre cento chilometri da Brighton, prima di traslocare fino al 2011 al Withdean Stadium, impianto di atletica posto in periferia e di proprietà del Consiglio cittadino.
La svolta arrivò nel 2009, quando il 39enne Tony Bloom rilevò il 75% delle quote, divenendo azionista di maggioranza nonché nuovo presidente del Brighton. Per prima cosa decise di sostenere di tasca propria le spese necessarie alla costruzione del nuovo stadio. Un investimento importante, forse persino coraggioso per una realtà, nel frattempo giunta fino alla League One, con una media di 6mila spettatori a partita, ma comunque necessario per capovolgere la narrazione di un club che per oltre dieci anni aveva vissuto sulla linea della precarietà finanziaria.
La parola rischio da sempre accompagna le azioni di Bloom, che alla professione di agente immobiliare affianca dal 1994 quella di giocatore d’azzardo professionista, tanto da aver fondato nel 2002 la piattaforma di scommesse online Premier Bet. Ha partecipato a importanti tornei di poker – tra cui le World Series del 2005, arrivando quarto – e i suoi avversari lo conoscono come The Lizard per il sangue freddo da alligatore con cui sceglie ogni mossa da fare. Un soprannome più che azzeccato, considerando quanto di buono ottenuto sia al tavolo da gioco che alla guida del club, per il quale ha investito circa 200 milioni di sterline dal 2009 a oggi.
La sua scommessa si sta rivelando vincente. Ha saputo unire a un elemento irrazionale come l’amore per il Brighton tramandato dalla famiglia – suo zio è stato a lungo membro del consiglio di amministrazione, mentre il nonno fu vicepresidente negli anni Settanta – un’attenta gestione societaria, lontana dalle speculazioni e dagli interessi personali. Come in una partita di poker, sostituendo alle carte le risorse umane a disposizione, Bloom è stato perspicace a capire quando era giusto foldare in attesa di una mano migliore. Appena rilevato il Brighton, per esempio, ha nominato manager Gus Poyet e nel 2011 la squadra ha ottenuto la promozione in Championship. Poyet è stato esonerato due anni più tardi dopo aver perso i playoff per l’accesso in Premier League ed è stato sostituito da Oscar Garcia.
Un’altra sconfitta, sempre in post season, ha provocato un nuovo cambio, questa volta con Samy Hyypia: l’ex difensore del Liverpool, tuttavia, ha raccolto solo una vittoria in 18 partite ed è stato sollevato dall’incarico a dicembre 2014. Al suo posto è arrivato l’attuale manager Chris Hughton, reduce dall’esonero al Norwich di otto mesi prima, ma capace nel 2010 di condurre il Newcastle in Premier League alla prima esperienza da allenatore dopo anni di gavetta tra Tottenham e Nazionale irlandese. Luke Edwards del Telegraph l’ha definito «One of football’s good guys», una persona cordiale, preparata e poco incline a cambiare le proprie convinzioni tattiche.
Hughton ha ereditato una squadra terz’ultima e l’ha condotta fino al 20° posto, salvandola. Un risultato comunque negativo dopo le belle cose della passata stagione, riconducibile a un mercato estivo troppo massiccio e confusionario (31 acquisti e 24 cessioni, prestiti compresi), incapace di sopperire alla partenza del capocannoniere Leonardo Ulloa. L’annata successiva è stata invece la più agrodolce dell’ultima decade: il Brighton ha totalizzato una striscia di 21 partite consecutive senza sconfitte (eguagliando il record del West Ham del 1990-91), perdendo la prima volta solo a dicembre contro il Middlesbrough. Ha poi accarezzato la Premier League fino all’ultima giornata, fallendo però la vittoria contro lo stesso Boro, diretto rivale per la promozione, finendo a pari punti dietro al Burnley ma con una peggior differenza reti. Anche stavolta ai playoff, nonostante fosse favorito, è arrivata la sconfitta al primo turno contro lo Sheffield Wednesday, poi battuto in finale dall’Hull City.
Aver fallito per tre volte negli ultimi quattro anni la promozione è servito da insegnamento al Brighton, che ha scelto di rivoluzionare il modo di agire sul mercato. Comprare meno, ma comprare meglio (14 acquisti, la metà rispetto agli anni precedenti), trattenere i migliori elementi della rosa e affiancare a giocatori di esperienza giovani in prestito da altri club. Grazie a questa ricetta Hughton ha costruito l’ossatura di un gruppo unito e affiatato. Il modulo è il 4-4-2, per sua stessa ammissione un fattore chiave dei risultati sinora ottenuti: «Sia che giochiamo in casa o in trasferta, il nostro approccio è il medesimo: mettere in primo piano la fase difensiva, assicurandosi che ognuno offra il proprio contributo, per poi sfruttare le doti dei giocatori con maggiore qualità».
Le sue idee gli stanno finora dando ragione, dal momento che la squadra è prima in classifica ed è una delle più coriacee da affrontare. Non perde da settembre, segna tanto, concede poco (ha la miglior difesa con 15 gol subiti in 24 gare), ma soprattutto pare destinata a un finale di stagione diverso rispetto alle precedenti. Viene da 5 vittorie consecutive e si trova a +2 sul Newcastle, formazione che avrebbe dovuto ammazzare il campionato in virtù di una rosa da 85 milioni di sterline, la più costosa di sempre nella storia del Championship. Il loro duello è fatto di continui sorpassi e contro sorpassi e il distacco sulla terza posizione è abbastanza rassicurante. Finisse così, significherebbe promozione in Premier League per la prima volta dal 1983.
Forse mai come quest’anno sembrano esserci condizioni tanto positive e incoraggianti: uno stadio nuovo, bello e soprattutto avveniristico, una squadra che ha trovato il giusto mix di esperienza e gioventù, un manager apprezzato dalla piazza e dai giocatori; e poi un presidente, che a volte viaggia anche in treno mischiato ai tifosi durante le trasferte. Ha avuto il merito di fare una puntata coraggiosa quando molti si sarebbero tirati indietro. Le fiches sul tavolo sono parecchie, così come le ambizioni del Brighton: bisogna solo vincere il torneo, sperando che l’ultima carta sia più fortunata delle altre.
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