Villach 1987 - ECCO ROCHE DEMONIO E ANGELO
di MARIO FOSSATI
la Repubblica, 8 settembre 1987
VILLACH - Stephen Roche in maglia iridata. È stanco, piange: è felice. Ha eguagliato l'Eddy Merckx del '74: Giro d'Italia, Tour de France, Campionato del mondo nello stesso anno. Ha battuto Moreno Argentin, la punta di diamante della nazionale italiana e lo spagnolo Juan Fernández Martín.
Nella smilza squadra di Irlanda, Roche corre per Kelly. Lavora per l'amico-nemico, che è pure lui un cavallo fino. La storia è presto raccontata. Quando Kelly si affloscia, Roche incarognisce il ritmo. Diventa capitano. Accade al diciannovesimo giro, attorno al 220-esimo chilometro. Squagliano Argentin, van Vliet, Fernandez, Nevens.
Il macadam, all'undicesima tornata lucido di pioggia, asciuga. Una bruma immensa sui colli. Prati e alberi sono di un verde di smalto, molto irlandese. La nazionale italiana ha lavorato e lavora bene, come tutte le squadre di Martini, del resto. Roche se ne è accorto.
Ha veduto Argentin in palla e i gregari Bombini, Amadori, Piccolo che tappano buchi a favore di Bontempi e Saronni. Nonché Fondriest, puledro di qualità, che di un soffio manca l'aggancio al quartetto che gli fa vedere rosso. Non tirerà sicuramente Fernandez, uno spagnolo che ignora la corrente incantata della generosità. Seguirà al traino pure Nevens (il belga Vanderaerden in seconda fila). Ma Argentin (immagina Roche) non esiterà ad accostare van Vliet per suggerirgli di condurre. E poiché gli olandesi amano la guerra fratricida, a van Vliet non sembrerà vero di ricevere un consiglio tanto aderente ai suoi personalissimi interessi. Roche allora si batte: sollecita Kelly, dà una mano robusta agli inseguitori. Il quartetto-Argentin dura, in testa, due giri: il povero Lieckens, che lo sostituisce al comando, una sola tornata. La febbretta del mondiale che si avvicina al traguardo, cresce a dismisura. In testa fanno quattordici.
Parte Sørensen (dai 14). Roche dà la voce a Kelly, che scrolla il capo come si fa con una vecchia sveglia che non va più. Il campione del mondo Roche nasce qui. Balza su Sørensen. Nella sua scia, Gölz, van Vliet e Winterberg. È il penultimo giro. Al traguardo mancano tre chilometri. Roche sente che la vittoria lo prende in braccio. È troppo vecchia volpe, Roche, per non capire che le gambe di van Vliet e Gölz si faranno alla distanza (276 chilometri) di cotone. Winterberg si volge, in attesa di Mueller, che pedala nella pattuglia di Argentin.
PER ROCHE un allarme. Duecento metri alla fettuccia. L'avanguardia fa pericolosamente pretattica. Roche intuisce che la minaccia Argentin ancora esiste. Gli inseguitori stanno piombando sulla pattuglia sua e Argentin, che vi si nasconde, che ragiona gelidamente da quell'ex pistard che è, potrebbe fare valere la sua perfida stilettata. Un lampo. Roche, ispirato dal suo dio, infila il corridoio alla sua sinistra. Una progressione sprintata. Si spalanca un vuoto incolmabile. Argentin bello e furente dribbla tutti. Una lama che affonda in un pane di burro. Ma Roche gli è sfuggito quanto basta, di misura fuori dalla sua portata. Braccia levate al cielo, Roche ha vinto.
Poiché sono italiano ho tifato Argentin. Davanti a Roche, però, mi cavo il cappello. Leggo il suo record nell'anno e convengo che c'è un "ordine Roche", che molto si approssima all'"ordine Merckx". Dove ordine sta per ordine di misura (perché Merckx era di una proporzione più vasta).
Sceso di sella, Stephen Roche ha stemperato la tensione nelle lacrime. È miliardario, ha sposato una franco-bergamasca, ha due figlioletti, una casetta alla banlieu di Parigi, con un prato rullato all'inglese. Ventotto anni a novembre, la nuova Casa, la Fagor, che lo ha strappato alla Carrera, gli avrebbe versato per l'88 un miliardo tondo (800 milioni per lui e 200 milioni da suddividere tra Schepers il luogotenente e il meccanico-massaggiatore di fiducia, Valcke).
Ma Roche è un corridore che si volge al passato. Ogni qual volta vince (immagino) la vita di dublinese povero, che approda a Parigi per imparare il ciclismo con un pullover addosso, una sella, un manubrio e una valigetta, nel... tepore del febbraio 1980: gli scampoli d'Italia, di Francia, di Spagna guadagnati con fatica: i paesaggi meditativi leggeri, le piccole valli che gli ricordano la sua Irlanda e che mentre pedala gli caracollano dappresso: il pane di sale del Ventoux, ecco, Roche li deve avere tutti presenti. Il carattere di ferro: la pelle del suo viso di eterno adolescente non è velluto ma carta vetrata. E ne deve sapere qualcosa il suo... compagno Visentini, che al Giro ha assaggiato la determinazione di Stephen. Perché Roche è mezzo demonio e mezzo angelo. Al Giro come al Mondiale o al Tour, Roche avrebbe avuto ragione da sé o avrebbe sbagliato da sé. Lo ascoltavo alla conferenza stampa. Un'intelligenza fotografica che metteva a fuoco l'essenziale.
Osservavo, a fianco di Roche, Moreno Argentin. Ecco, pensavo, Argentin ha fatto del campionato del mondo conquistato lo scorso anno il faro della carriera, una gemma, un diamante di pura luce, un bersaglio e un trofeo. Una stagione racchiusa nel campionato del mondo. Un solo punto di forza nell'anno, il mondiale. Nello spazio di tre anni Argentin ha ottenuto un bronzo, un oro, un argento. Argentin, checché ne dica Saronni, non ha sbagliato a filarsela, a cinque chilometri dal traguardo. Ha avuto la jella di incontrare nel quartetto in fuga il micragnoso Fernández. Argentin sapeva che i velocisti - si chiamassero Saronni o Bontempi - non erano interamente convinti della bontà (per i loro mezzi) del percorso.
MARIO FOSSATI
ORDINE D' ARRIVO:
1) Roche (Irl);
2) Argentin (Ita) a 1";
3) Fernandez (Spa) s.t.;
4) Goelz (Rft); 5) Kelly (Irl); 6) Rooks (Ola); 7) van Vliet (Ola); 8) Soerensen (Dan); 9) Breukink (Ola); 10) Criquielion (Bel).
2) Argentin (Ita) a 1";
3) Fernandez (Spa) s.t.;
4) Goelz (Rft); 5) Kelly (Irl); 6) Rooks (Ola); 7) van Vliet (Ola); 8) Soerensen (Dan); 9) Breukink (Ola); 10) Criquielion (Bel).
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