Josef “Pepi” BICAN


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Quando giocava lui la “Scarpa d’Oro” europea non era ancora stata istituita, ma se tale riconoscimento fosse esistito, lui, Josef “Pepi” Bican (si legge Bitsan), l’avrebbe vinto per cinque stagioni consecutive, dal 1939-40 al 1943-44 (con, nell’ordine, 50, 38, 45, 39, 57 gol).

Josef nacque a Vienna il 25 settembre 1913 da Ludmila, una viennese di origine cecoslovacca, e da Frantisek, boemo di Sedlice, che emigrò in Austria, dove giocò nell’Hertha Vienna. A soli 8 anni però perse il padre: questi, infatti, tornato indenne dalla Prima Guerra Mondiale, si era infortunato ai reni durante uno scontro di gioco ma si era rifiutato di farsi operare e morì a soli 30 anni. Nonostante il lavoro della madre Ludmila nella cucina di un ristorante, la perdita del padre significò per Josef anche crescere nella povertà: secondo “Pepi” proprio da tale situazione di difficoltà economiche, che lo avevano costretto, quand’era bambino, a giocare a calcio scalzo, derivò la particolare sensibilità di tocco dei suoi piedi.

A 12 anni Josef entrò nelle giovanili dell’Hertha Vienna: per ogni gol che segnava riceveva, come premio e incentivo al contempo, uno scellino. A 18 anni fu notato dal Rapid Vienna, il club più importante in città, che gli fece firmare il suo primo contratto da professionista: lo stipendio, che inizialmente era di 150 scellini, salì vertiginosamente nel giro di due anni fino a toccare i 600 scellini, tanto era il desiderio del club di trattenerlo. Leggenda vuole che in quegli anni sua madre Ludmila, durante una delle rare occasioni in cui andò a vederlo giocare, prese a ombrellate, dopo aver invaso il campo scendendo dagli spalti, un avversario, reo di aver steso l’adorato Josef.

Bican, dotato di una struttura fisica possente (1,78 m x 77 kg) si impose presto per le sue qualità di finalizzatore (si racconta che sbagliasse un’occasione da gol su venti) ma anche di velocista (correva i 100 metri in 10,80), nonché di giocatore tecnico (calciava con entrambi i piedi). Esordì nella nazionale austriaca, il Wunderteam, a 20 anni e 64 giorni, il 29 novembre 1933 nella trasferta contro la Scozia conclusasi sul 2-2.
L’anno successivo partecipò ai Mondiali italiani: l’Austria arrivò fino alle semifinali (dove venne fermata dall’Italia, padrona di casa, e dal gol di dubbia regolarità di Guaita) e “Pepi” segnò un gol, quello che permise al Wunderteam di sconfiggere ai supplementari la Francia per 3-2 negli ottavi di finale; ai quarti, invece, in una partita segnata dal nervosismo (vi fu l’unico espulso del torneo, l’ala destra ungherese Markos), contro l’Ungheria (battuta 2-1) si fece notare per un intervento criminoso, che non fu però punito con l’espulsione dall’arbitro Mattea, sull’ala ungherese Toldi, costretta a lasciare il campo. In totale con la maglia austriaca disputò 19 incontri ufficiali e segnò 14 gol.

Nel 1935 si trasferì dal Rapid (61 presenze, 68 gol e un campionato vinto e un titolo di capocannoniere) al SK Admira Vienna (l'attuale Admira Wacker): lì vinse due campionati (1936, 1937) e segnò 21 gol in 31 partite. 

Il 1937 segnò il suo addio al calcio austriaco. Probabilmente per sfuggire al regime nazista che si sarebbe imposto di lì a poco con l’Anschluss, e per ritornare alla sua terra d’origine dove era solito passare da bambino i due mesi di vacanze estive (i mesi definiti da lui come i più felici), si trasferì allo Slavia Praga e lì raggiunse l’apice della propria fama: in 11 stagioni segnò, solo in campionato,  385 gol in 204 partite (media: 1.88).

Tornato in Cecoslovacchia prese la cittadinanza ma non poté giocare i mondiali del 1938 per problemi burocratici (e rifiutò di vestire la maglia della Germania nazista): esordì con una tripletta il 7 agosto 1938, 6-3 alla Svezia. Successivamente, giocò qualche altra partita prima di dover lasciare la maglia della Cecoslovacchia, in seguito all’annessione di quest’ultima da parte della Germania, maglia che rindossò solo al fine della Seconda Guerra Mondiale: nel complesso disputò 14 incontri ufficiali conditi da 12 gol. Pare che comunque “Pepi” non fosse troppo amato dagli altri membri della nazionale cecoslovacca, i quali, probabilmente invidiosi della sua fama, sembra fossero soliti chiamarlo «bastardo austriaco».

A quel periodo di transizione appartiene uno degli episodi più interessanti della carriera di Bican: il 12 novembre 1939 disputò con la Boemia-Moravia un match contro la Germania finito 4-4: “Pepi” segnò 3 gol e diventò così l'unico ad aver segnato con la maglia di tre nazionali diverse (Alfredo Di Stéfano, che pur avrebbe vestito le maglie di Argentina, Colombia e Spagna, non segnò mai, nei quattro incontri disputati con la selezione colombiana).

Bican divenne subito il simbolo della polisportiva dello Slavia Praga, tanto che il presidente Valousek gli disse che lui, “Pepi”, avrebbe dovuto, tramite la propria fama e le proprie prestazioni, permettere al club di mantenere economicamente tutte le 14 sezioni di cui era composto: «Non ti dimenticare che abbiamo una sezione equestre» gli disse «devi fare i soldi anche per il fieno per i cavalli!». 

Negli undici anni consecutivi in cui rimase allo Slavia Praga vinse 4 campionati di Boemia-Moravia (1939-40, 1940-41, 1941-42, 1942-43), un campionato cecoslovacco (1946-47 più uno non ufficiale nel 1948), 3 coppe di Cecoslovacchia (1941, 1942, 1945), una Mitropa Cup (nel 1938, capocannoniere con 10 gol) più 10 titoli di milgior realizzatore (4 del campionato cecoslovacco – nel 1937-38, 1945-46, 1946-47 e, ex aequo, nel 1947-48 – e 6 del campionato di Boemia-Moravia – nel 1938-39, 1939-40, 1940-41, 1941-42, 1942-43, 1943-44).

Narra la leggenda che i tifosi dello Slavia assistessero volentieri ai suoi allenamenti, pagando qualche corona, perché “Pepi” si sarebbe esibito in numeri circensi: mentre il resto della squadra svolgeva lavori atletici, Bican mirava a delle bottiglie vuote poste sulla traversa; posizionati poi diversi palloni al limite dell’area, avrebbe colpito una a una tutte le bottiglie. 

Alla fine della Seconda Guerra Mondiale diverse squadre europee, prima fra tutte la Juventus, provarono ad assicurarsene le prestazioni ma “Pepi” rifiutò perché temeva, stando alle sue, poco attendibili, fonti, che in Italia si prospettasse un governo comunista. Ironicamente tale sorte toccò non all’Italia, dove s’era rifiutato di trasferirsi, ma alla "sua" Cecoslovacchia, dove invece pensava sarebbe rimasto al sicuro dalla minaccia comunista: nel 1948 infatti i comunisti presero il potere in Cecoslovacchia e Bican, come aveva fatto in Austria col nazismo, rifiutò di aderire al partito. A causa di ciò i Bican furono isolati («Perdemmo i nostri amici. Il loro telefono non squillava più. Non ricevevamo più posta» ricorda Ludmila Bicanova, la moglie di Josef) e alcune loro proprietà gli furono sequestrate, e restituite solo dopo il 1989; inoltre a fine carriera fu mandato a lavorare come operaio alla stazione ferroviaria di Holesovice a Praga.

Nel tentativo di migliorare la propria posizione agli occhi del regime, che lo accusava di essere un borghese viennese, ignorando volutamente o no le sue umili origini, lasciò lo Slavia Praga, club tradizionalmente della borghesia, e firmò per il Vitkovicé Zelezarny (Zelezarny significa acciaieria), una società con un largo seguito nella classe operaia: vi rimase tre anni e vinse (nel 1950) un altro titolo di capocannoniere.

Nel 1951 si trasferì all’FC Hradec Králové, in seconda divisione, ma disputò poche partite (le rare fonti parlano di 10 gol segnati, a seconda delle versioni, in 8 o 10 presenze) prima che il Partito Comunista, stanco della sua popolarità, lo costringesse a lasciare la squadra. Il primo maggio 1953 Bican fu persuaso dalle autorità locali a partecipare alla parata; accadde però che «mentre dagli altoparlanti si sentiva gridare “Lunga vita al presidente Zapotocky! Lunga vita al presidente Zapotocky!”, la gente, scesa in strada, iniziò a gridare “Lunga vita a Bican! Lunga vita a Bican!”».

La commissione locale del Partito Comunista, irritata da quanto successo, lo fece chiamare e, portatolo in disparte, gli disse che avrebbe dovuto lasciare Hradec Králové nel giro di un’ora. Fu accompagnato alla stazione da due “compagni” che vigilarono su di lui finché il treno, con lui a bordo, non fu partito: «Fu un miracolo che non mi salutarono!». Nel tragitto dall’ufficio della commissione locale del Partito Comunista alla stazione, Bican e i due “compagni” si imbatterono in una cinquantina di lavoratori che li fermarono e chiesero a “Pepi” se ci fosse qualche problema; Bican rispose che non c’era alcun problema e uno di loro rispose che allora era tutto a posto, perché, se invece ci fosse stato qualche problema, loro avrebbero scioperato: Josef si compiacque della risposta perché all’operaio sarebbero toccati minimo vent'anni di prigione se avesse istigato uno sciopero. 

Bican tornò allora al club a cui più aveva legato le proprie fortune, lo Slavia Praga (ai tempi rinominato Dinamo Praga), dove giocò fino ai 42 anni, età-record ai tempi, disputando in tutto 29 presenze con 22 gol (o 28, secondo altre fonti).

Ritiratosi nel 1955, intraprese, con minor fortuna, la carriera di allenatore, guidando Slavia Praga, Spartak ZJS Brno, Slovan Liberec, Banik Pribram, Spartak Hradec Králové, FK Vitkovice, Spartak Skoda LZ Plzen e, infine, grazie a un permesso speciale ottenuto durante la Primavera di Praga del 1968, il Tongeren, in Belgio, che condusse dalla quarta alla seconda divisione. In seguito a problemi cardiaci morì il 12 dicembre 2001 a Praga, a 88 anni.

Bican detiene ancora il record di segnature (218) nel campionato cecoslovacco, oltre a quello del torneo, istituito nel periodo bellico (durante il quale in Cecoslovacchia si succedettero diversi governi militari), del protettorato di Boemia-Moravia (232). In totale vinse 12 titoli di capocannoniere. Secondo le statistiche di RSSSF è considerato anche il miglior marcatore di tutti i tempi, in partite ufficiali, con oltre 800 gol (contando anche le amichevoli si arriverebbe a una cifra vicina alle 1500 segnature in poco più di 900 partite).

Nel gennaio 2001 l'IFFHS gli assegnò il Pallone d’oro di miglior attaccante del XX secolo (premio assegnato in base al numero di titoli di capocannoniere nel proprio campionato): il premio gli riconobbe i gol segnati da Bican durante la guerra. In precedenza, nella prima assegnazione del riconoscimento, non gli erano stati conteggiati in quanto in quel periodo la Cecoslovacchia non era indipendente. Bican allora boicottò la cerimonia di premiazione, lamentando il fatto che gli avessero “rubato” dei gol, e se ne stette in albergo, insieme alla moglie, a sorseggiare del tè.

Bican toccò l’apice della propria straordinaria carriera negli anni in cui molti calciatori erano a combattere nella Seconda Guerra Mondiale: resta il fatto, però, che di quei giocatori non partiti per il fronte, Josef “Pepi” Bican fu l’unico a toccare vette così alte.

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