Nel maggio '68 sotto ai sampietrini c'era anche un campo da calcio


di QUIQUE PEINADO
Calciatori di sinistra (Futbolistas de izquierdas)
ISBN Edizioni
Traduzione di GIOVANNI DOZZINI

Nel 1961 l'attaccante Thadée Cisowski, stella del racing Club di Parigi, una celebrità del calcio francese, guadagnava poco più di quattrocento franchi il mese, il 20% in meno dello SMIC, il minimo di stipendio orario vigente nel Paese. Raoul Scholhammer del Metz, altro giocatore francese abbastanza conosciuto, ne percepiva centosettanta, ovvero la metà del minimo consentito per qualsiasi lavoratore. Il presidente del Sedan Ardennes, Lucient Laurent, faceva alzare i suoi giocatori alle sei del mattino per dimostrare loro che erano dei lavoratori alla stregua di quelli di una qualsiasi fabbrica. Da calciatore, al 19' di Francia-Messico 4-1 a Uruguay 1930, aveva segnato il primo gol nella storia dei mondiali. Dirigente della Peugeot, dove aveva lavorato tutta la vita predicando con l'esempio, aveva accettato di partecipare al mondiale solo a patto che nella sua impresa riducessero la paga al salario minimo dell'epoca. I calciatori firmavano con i club vincoli che arrivavano fino al compimento dei trentacinque anni e non avevano aclun diritto di decidere sul proprio futuro. Se negli anni sessanta la condizione lavorativa dei calciatori europei era precaria, in Francia obbligava quasi a una ribellione. 

Almeno così la pensava un giovane colto che negli anni cinquanta era arrivato in Francia dal Camerun per studiare, Eugène N'Jo Léa (nella foto, fermato dal portiere). Un tipo che, narra la leggenda, segnò undici gol nella prima partita disputata sul suolo francese, e che fu capace di lasciare una delle grandi di Francia, il Saint-Étienne, per andare prima al'Olympique Lione e poi al Racing di Parigi, in cerca delle migliori università in cui poter studiare legge. Paradossalmente, l'appoggio maggiore lo ricevette da Just Fontaine, l'attaccante dei tredici gol al mondiale di Svezia 1958 (il record più antico nella storia del calcio), nato a Casablanca, in Marocco, e di madre spagnola, il giocatore che meno avrebbe avuto interesse a ribellarsi. Lui sì che era un privilegiato. Allo Stade de Reims, la grande squadra francese che cercò di fare ombra al Real Madrid, aveva un ottimo stipendio, e poteva già considerarsi sistemato per tutta la vita. Fontaine però non tollerava la situazione in cui versavano i suoi compagni. Nel novembre 1961, insieme con un altro gruppo di calciatori di alto livello, i due fondarono la Union Nationale des Footballeurs Professionels (UNFP), il primo sindacato nazionale di calciatori professionisti.

Trovarono un grande appoggio mediatico alle loro rivendicazioni da una rivista unica nella storia del calcio Miroir du Football. Fondata nel 1900, era pubblicata da J Éditions, la casa editrice del Partito Comunista Francese, e fu il supporto cartaceo a un calcio ideologizzato e trattato ai più alti livelli giornalistici. Alcuni dei redattori aveano giocato da professionisti, e fecero da megafono ale rivendicazioni dei calciatori. Nell'ottobre 1962 appoggiarono il tentato sciopero - alla fine revocato - della nazionale francese in una partita della fase preliminare degli Europei di Spagna 1964 (ai tempi erano previsti due anni di eliminatorie andata e ritorno; solo la fase finale, con semifinali e finale, si giocava in un'unica sede). Un'altra azione - stavolta la minaccia di far fermare il campionato per una giornata - garantì migliorie salariale per i giocatori.

Con l'appoggio di Miroir du Football, in Francia i calciatori si sentivano incoraggiati a cercare di fare sempre nuovi passi in avanti. Quello definitivo fu merito di colui che in quel momento era l'uomo più popolare nella storia del calcio francese: Raymond Kopaszewski, il figlio di immigrati polacchi assurto a leggenda con il nome di Kopa. L'ala, che giocò nel grande Real Madrid dal 1956 al 1959 e si aggiudicò il Pallone d'oro nel 1958, era ritornato allo Stade de Reims dopo aver vinto nei blancos due campionati spagnoli in tre stagioni. Il 4 luglio 1963 pubblicò l'articolo che avrebbe fatto esplodere per sempre il calcio francese. Il titolo era abbastanza esplicito: "I calciatori sono schiavi". Nel pezzo, uscito sul settimanale France Dimanche, Kopa scriveva che «oggi, in pieno ventesimo secolo, il calciatore professionista è l'unico essere umano che può essere ceduto e acquistato senza tenere conto della sua opinione».

Incontrò, come'era logico, l'opposizione dei club, ma anche quella dei tifosi e, soprattutto, della stampa. L'Équipe scrisse: «I giocatori guadagnano abbastanza denaro grazie alla generosità dei presidenti. Sono dei privilegiati, e sbagliano a lamentarsi dei piccoli inconvenienti della loro professione». Sempre contro la propria categoria e a favore dei calciatori, ecco invece che cosa scrisse il direttore di Miroir du Football, François Thébaud: «Le sue parole sono giuste, perché definiscono con esattezza la condizione sociale del calciatori di calcio oggi». Kopa fu sospeso per sei mesi, qualcosa di mai visto prima. Quando finì di scontare la squalifica, il Commissario tecnico Georges Verriest non lo convocò per il successivo incontro della nazionale, nonostante la Francia avesse vinto solo una delle precedenti dodici partite, e disse, senza nascondersi, che non lo aveva convocato proprio a causa di quella insubordinazione. Quando al selezionatore non rimase altra soluzione che convocarlo di nuovo, visto che la nazionale stava sprofondando, Kopa pretese che il Ct ritrattasse pubblicamente quanto lo stesso Verriest affermato. Verriest rifiutò e così Kopa, che nel 2003 sarebbe stato proclamato miglior calciatore francese della seconda metà del XX secolo, rinunciò a tornare in nazionale. Fu di nuovo sanzionato, ma il suo carattere di contestatore non si placò: la dignità veniva prima di tutto.

Questa lezione di insubordinazione potrebbe rappresentare il legame tra il movimento studentesco del maggio '68 e il calcio? Sebbene il malcontento dei giovani francesi dipendesse da molte ragioni, l'ultima goccia fu una partita di calcio. Intorno alla metà di marzo, sei studenti dell'Università di Nanterre (a Parigi) membri del Comité Vietnam Nacional (CVN), che si opponeva alla guerra, furono arrestati. Il fatto provocò un'ondata di protesta tra gli universitari, alla quale si mescolarono rivendicazioni meno idealiste. Fra queste la protesta contro la divisione per sesso negli studentati del campus che - si diceva - impediva ai ragazzi di accedere all'unico televisore, che si trovava nella sezione femminile (e quindi di poter guardare le partite). Era il 22 marzo e a cominciare da allora i fatti si susseguirono con una velocità vertiginosa. Studenti e lavoratori si unirono nelle loro rivendicazioni, meno ludiche e più dure di quello che lo slogan «Abbasso la noia!» avrebbe fatto pensare. Uno slogan rimasto legato a quei giorni, nei quali alle occupazioni di fabbriche e università si aggiunsero i duri scontri per le strade. I manifestanti, che indissero uno sciopero generale molto riuscito, staccavano da terra i sampietrini per lanciarli contro le forze dell'ordine. Gli esegeti del movimento raccontarono molto poeticamente che sotto i sampietrini c'era la spiaggia, anche se in realtà le pietre staccate da terra erano servite per attaccare la polizia. Un gruppo di calciatori credette che sotto l'asfalto ci fosse anche l'erba, il terreno di gioco per un calcio migliore. 

Il 22 maggio 1968 un gruppo di calciatori capeggiati dai redattori di Miroir du Football (che essendo  stati giocatori semiprofessionisti erano tesserati della Federazione), occuparono la sede federale, al civico 60/b della Avenue d'Iéna, a Parigi, in piena zona istituzionale. Erano perlopiù giocatori di club dilettantistici, ma non mancavano professionisti della allora Division Nationale (diventata Division 1 dal 1972 e l'attuale Ligue 1 dal 2002), come André Merelle e Michel Oriot del Red Star, squadra del Comune di Saint-Ouen, a nord della capitale. Trattennero i dipendenti della Federazione e si organizzarono sotto il nome di Comitato d'Azione dei Calciatori. Presto stilarono un manifesto di sei punti con richieste lavorative concrete, e sulla facciata appesero due striscioni recanti le scritte: «IL CALCIO PER I CALCIATORI» e «LA FEDERAZIONE PROPRIETÀ DEI SEICENTOMILA CALCIATORI».

Tra le loro rivendicazioni, la principale era la richiesta dell'eliminazione della cosiddetta «licenza B», che penalizzava i giocatori che volevano cambiare luogo di lavoro senza il consenso del loro capo. La norma stabiliva che i calciatori non potessero militare con la prima squadra del club nel quale decidevano di trasferirsi, e che fosse loro permesso di giocare solo nelle squadre-satellite (da qui il nome «licenza B»: di fatto si trattava di un biglietto per la schiavitù). Il resto erano rivendicazioni più o meno generiche o critiche ai dirigenti del calcio francese, come la richiesta di un'assicurazione sanitaria per coprire il rischio di infortuni di gioco che potessero mettere fine alla carriera dei calciatori (eventualità relativamente comune all'epoca: lo stesso Just Fontaine, per esempio, si ritirò per un infortunio ricorrente), lo scarso investimento dei club nel settore giovanile e l'autoritarismo di certi presidenti. «I gerarchi della Federazione hanno espropriato il calcio per servirsene nel proprio interesse egoista» recitava il manifesto, che affermava anche come i dirigenti operassero «contro il calcio», cedendone il controllo ai politici «e minandone l'essenza popolare». 

E poi, oltre alla battaglia puramente sindacale, i reclusi nella sede federale si facevano carico di una rivendicazione stilistica. La rivista Miroir du Football si era distinta come sostenitrice del calcio sudamericano - ritenuto più creativo - di contro alla più fisica e più disciplinata scuola europea alla quale si allineava invece L'Équipe. I ribelli esigevano anche questo: che la Francia cambiasse stile di gioco. E per questo attaccavano il selezionatore Louis Dugauguez, un tipo arido e conservatore nel calcio e fuori: era l'allenatore del Sedan, e aveva appoggiato con entusiasmo la decisione del suo presidente, Lucient Laurent, di fare alzare i giocatori alle sei del mattino. Il Comitato d'Azione dei Calciatori sarebbe potuto essere un fenomeno di puro colore se non avesse ricevuto l'appoggio di giocatori in attività quali Kopa, Yvon Douis (attaccante del Cannes), Rachid Mekhloufi (leggendario centrocampista algerino del Saint-Étienne la cui storia merita un capitolo a parte) e appunto Just Fontaine. Persino la UNFP, allora presieduta da Michel Hidalgo, futuro Ct campione d'Europa in casa nel 1984, si schierò al fianco di quelli che la stampa già chiamava gli enragés du football (i rabbiosi del calcio), in un parallelismo con i giovani scrittori rabbiosi che avevano rivoluzionato la letteratura britannica (i cosiddetti angry young men). 

L'azione durò cinque giorni. Gli Accordi di Grenelle - con i quali il governo di Georges Pompidou, i sindacati e le associazioni patronali accordarono migliorie salariali per i lavoratori di tutto il Paese e lo stipendio minimo aumentato del 35% - non fermarono la protesta nelle strade, ma quella calcistica sì. L'occupazione terminò il 27 maggio 1968, senza avere raggiunto obiettivi concreti ma finendo per contribuire moltissimo allo sviluppo dei miglioramenti delle condizioni di lavoro che invece sarebbero poi stati ottenuti dalla UNFP (che peraltro durante l'occupazione aveva ritirato il proprio appoggio ai reclusi perché, come dichiarò Michel Hidalgo, i calciatori non volevano essere partecipi «dell'anarchia e del disordine»).

 Miroir du Football continuò le pubblicazioni fino al 1979 e rappresentò una delle avventure più appassionanti nella storia del giornalismo sportivo (ci furono poi vari tentativi di resuscitare la testata e il suo spirito, ma fallirono tutti). Oggi, il suo ricordo si può rintracciare sul web, e su miroirdufootball.com si può accedere al suo lascito. Quello di François Thébaud, il quale riteneva che un altro calcio fosse possibile. Come il mondo intero immaginava potesse accadere durante il maggio 1968. 

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