STORIA DI BUGNO, IL RAGAZZO DEL ' 90


la Repubblica, 21 marzo 1990

GIANNI BUGNO, il magnifico vincitore di una Sanremo che ha rimesso in corsa il ciclismo italiano, è un corridore nuovo. Voglio dire che non trovo nel passato un campione che molto gli assomigli. Frugo i ricordi. Lo chiedo a Giorgio Albani che conosce Bugno dai giorni in cui il nostro era un apprezzato dilettante del Ciclisti Monzesi. Una testolina bruna, che il sole e l' aria delle corse tostavano come un chicco di caffè, due occhi azzurri, la prodigiosa vitalità del campione in erba. Albani ha veduto crescere Bugno ma non gli riesce di paragonarlo a chicchessia. Gli ho parlato, mi dice, in occasione di una vittoria di tappa, al Giro d'Italia, a Prato. Era stato in fuga solitaria: direttore di corsa in seconda, mi ero premurato che nessuna macchina del seguito facilitasse, con un vortice d'aria, il compito dei suoi inseguitori. Aveva vinto per distacco: e lui, la sera, incrociandomi nella hall dell'albergo, mi aveva ringraziato. Ho avuto la sensazione di una personalità molto bene controllata. Bugno è Bugno, abbiamo concluso, sorridendo, io e Giorgio. Ogni qualvolta ho accostato Bugno, gli ho strappato monosillabiche interviste. L'impressione che Bugno possedesse il crisma dell'uomo di qualità, però, l'ho sempre avuta. Un suo collega toscano, per dirne la serietà assoluta, lo chiamava il cipresso. Il suo direttore sportivo, il primo direttore tecnico di Bugno, Franco Cribiori, si doleva soltanto dello stato di tensione che lo affliggeva, che lo divorava nell' approssimarsi della gara. Cribiori sentiva in Bugno la classe: e, impaziente, non poteva tollerare che un'emozione intensa, esagerata non gli permettesse di esprimerla. Quando Bugno usciva dai colloqui con Cribiori aveva l'aria irritata del gatto accarezzato contropelo.

Gli è che il mondo delle corse si intriga di sospetti, di maldicenze, anche di idiozie. E tutti noi non si ha il tempo di aspettare come si dovrebbe nel delicato momento in cui fiorisce o si impianta un atleta. Il ciclismo è un abito mentale, una seconda vita, è un rifugio faticoso. Gianni non è mai stato un ragazzo svaporato, distratto. Rompe con Cribiori, la cui critica era tanto schietta quanto ruvida. Credo di essere stato tra i pochi a non importunarlo, in quei giorni, con domande, a cui non avrebbe risposto. Ora che ha vinto la Sanremo e si è lasciato un poco andare capisco che Bugno odia il trambusto, tutto ciò che lo fa ammattire. Non sopporta il manto di porpora della retorica e l'iperbole dei quotidiani sportivi, che, più leggere, scorre. Lo attraggono, all'opposto, i giornali politici e le pagine economiche, ad essi accluse.

Gianni è nato a Brugg, nel cantone di Argovia: a tre anni è stato accompagnato in Lombardia dai genitori, di origine veneta, che, a Monza hanno messo su una lavanderia. Tutto nella sua vita è stato ed è serio. Massimamente il lavoro, nel caso ciclistico. Un monzese, che conosce i Bugno, mi parla del Gianni ragazzino, alto, con gli occhi chiari sotto una zazzerina castana, che il padre teneva per mano, passeggiando verso casa. Quel monzese, pur interessandosi a Gianni Bugno, e alla sua carriera: pur incontrando i Bugno, per anni, non è andato mai al di là di un cenno di saluto. Il che è molto lombardo e brianzolo.

Il mondo clamoroso delle corse: le vittorie, gli incidenti, che una vita sui pedali comporta: anno 1989 puntiamo sugli italiani di qualità: sono Argentin, Fondriest, Bugno. Proprio Bugno, che non si tira mai indietro, occupa una casella speciale nella tavola pitagorica del ciclismo nazionale. Nell'88 ha lasciato, dunque, l'Atala: approda alla Chateau d'Ax che gode delle attenzioni dei Moser. Lo vuole e lo ha preso a ben volere Luigi Stanga, un piemontese dotato di molto senso pratico e che gli pone affianco un ex corridore, Claudio Corti che, in carriera, per l'incomprensione dell'ambiente ha attraversato più di una crisi d'animo.

Gianni ha già incontrato Vincenzina, la dolce figliola che ha sposato e che gli darà di questi giorni un maschietto, Alessio. Vincenzina era un arbitro del ciclismo (un ufficiale di gara). Anche il ciclismo produce evidentemente tenerezza. Quel lieve senso di vertigine, regalo di una caduta, con ritiro, in una tappa del Giro d'Italia (1988, Rodi Garganico) che gli infastidiva le discese, giungendogli sgradevole all'orecchio, come il gracchiare di un corvo, è scomparso. A vincerlo è una terapia sofisticata che ha per base la musica di Mozart. Mi hanno confidato che Gianni si è detto molto contento che la terapia fosse tanto aderente ai suoi gusti.

Poi, è la storia di ieri. La Sanremo, la concorrenza distratta o meno, dissolta o irrimediabilmente staccata. Che farà Bugno? Giorgio Albani mi conforta nell'opinione. L'exploit della Sanremo potrebbe avere finalmente rotto quel cerchio d'ansia che lo racchiudeva così da fargli pesare il pronostico in modo greve. Gli occorre ora un'altra classica la Liegi-Bastogne-Liegi ad esempio per fare di Bugno un grande. Quanto ai Giri e ai Tour, questi seguiranno: Bugno al primato delle gare a tappe non è arrivato né può arrivare subito, alla maniera dei corridori che per esse sono nati (che so?, i Gimondi, i Motta, i Giupponi che subito vi si affermano). Ci giungerà per gradi e con particolari concomitanze. Bugno ha molta classe: ha classe d'uomo. Non è un grattugiaselle. Diamogli credito.
MARIO FOSSATI

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